22 gennaio 2019

IL PALAZZO DI GIUSTIZIA. UNA TRISTE TELENOVELA MILANESE

Quando la cronaca riaccende i riflettori


La triste recente vicenda di un avvocato che precipita nella tromba delle scale del Palazzo di Giustizia riporta all’attualità il problema di questo edificio storico e dell’istituzione che vi ha sede. Dell’incidente che comprometterà per sempre la vita di un uomo le cause sono note: l’insufficiente altezza dei parapetti delle scale. Sembra impossibile ma in quell’edificio che rappresenta la Legge, le norme di sicurezza, non solo nel caso dei parapetti, non sono assolutamente rispettate. Lo si sapeva da tempo, da lustri, senza che nessuno abbia mai provveduto. Questa volta ci aspettiamo che i responsabili paghino come per tutti gli altri incidenti sul lavoro.

Come sempre in analoghe circostanze arriva un ministro, in questo caso Alfonso Bonafede, scarmigliato e barbuto as usual, che “indignato” promette interventi immediati. Ossia “mai”, come ricordano terremotati, alluvionati e vittime di catastrofi.

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Le vicende del Palazzo di Giustizia sono un classico italiano e milanese di come vanno le cose ma anche di come certi problemi affrontati con “piglio” decisionista lentamente sfumino e non se ne senta più parlare.

Sono passati dieci anni dal giorno in cui Angelino Alfano ministro della Giustizia, Roberto Formigoni Governatore lombardo, Filippo Penati Presidente della Provincia e infine Letizia Moratti sindaca, annunciano l’avvio del progetto Cittadella della Giustizia: “La prima in Italia”, dichiarano. La solita ansia milanese da primato.

190122_Editoriale-03Marco Alfieri il 21 luglio 2008 titola su Il Sole 24Ore: A Milano entro sette anni la cittadella della giustizia. Lo fà sula base di un Accordo di Programma convenuto tra i rappresentanti degli enti territoriali ma non ancora firmato. Non lo sarà mai.

Per sommi capi il progetto prevedeva la realizzazione di questa “cittadella” ricollocando tutti gli uffici giudiziari e il carcere circondariale di San Vittore nell’area della periferia sud di Milano chiamata Porto di Mare.

Dopo quell’annuncio il progetto si trascina mentre qualche operatore immobiliare comincia a leccarsi i baffi, soprattutto pensando all’area del carcere di San Vittore dove i vincoli di tutela sono meno stringenti. Gli oppositori al progetto si mobilitano con tutto l’armamentario storico, giuridico e tecnico che conosciamo quotidianamente.

Uno dei più forti oppositori è il mondo delle toghe, capeggiato da Angelo Mambriani Presidente di Sezione del tribunale, che dà vita nel febbraio 2010 al Comitato “Salviamo il Palazzo di Giustizia” ma certo vi si accoda il mondo degli avvocati che attorno al Palazzo di Giustizia hanno i loro uffici, magari di proprietà, pagati a caro prezzo e incorporando quindi una forte rendita di posizione.

Questo comitato si fa sostenitore di un’ipotesi alternativa, il “Borgo della Giustizia”, in sostanza l’allargamento a macchia d’olio degli uffici giudiziari, utilizzando tutti gli spazi disponibili nelle vicinanze, in particolare quelli che derivano dalla “spoliazione” della Società Umanitaria. Nel 2013 s’inaugurano i nuovi uffici all’angolo tra via Pace e via San Barnaba, alle spalle del Palazzo di Giustizia. La Cittadella della Giustizia è morta e sepolta. Questo “non progetto” ha la meglio come succede nelle vicende urbanistiche là dove gli interessi “particolari” prevalgono su quelli collettivi. Non so dire se questo trasloco fosse opportuno, il documento del Comune lo dichiarava tale ma gli argomenti del Comitato “Salviamo il Palazzo di Giustizia” hanno certo consistenza. Dunque il Palazzo di Giustizia resta dov’è: l’architetto è Piacentini, edificio inaugurato nel 1940 dopo 8 anni di lavori. Più piacentiniano di così non si può: iI Tempio della Giustizia.

Sembra ora stia prendendo le mosse un’iniziativa per ottenere una dichiarazione di Stato di Emergenza per dare una svolta alla questione.

Comunque oggi se lo si tiene così com’è, con un rapporto tra superfici utili e volumi a dir poco folle, dobbiamo rassegnarci a pagare un prezzo altissimo alla monumentalità della Giustizia che forse andrebbe rispettata per altre ragioni più che per la monumentalità dei suoi luoghi. Tuttavia un progetto di radicale ristrutturazione non è impossibile salvando le opere d’arte – affreschi e mosaici – e migliorando funzionalità e costi di gestione. Un bel concorso di progettazione, un bel progetto esecutivo, un bell’appalto? Tra bandi, dibattiti, ricorsi, varianti e proroghe gli otto anni della prima realizzazione ci sembrerebbero un sogno.

Lasciamo perdere. Mettiamo solo il Palazzo in sicurezza e facciamo funzionare la Giustizia lì dov’è. Come si dice a Milano: “L’è giamò un quai cos”.

Luca Beltrami Gadola

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  1. Maurizio SpadaIl Palazzo di Giustizia se ne deve andare di li. E una funzione anomala in un contesto assolutamente inadatto a ricevere il traffico conseguente sia interno che esterno. Fu un tipico prodotto del Regime, per quanto mi riguarda potrebbero ben abbatterlo, salvando magari qualche dipinto. il Piacentini fu l'archistar del fascismo, con tutta la spocchia tipica dell'architetto potente. Si fece un finto concorso di cui lui fu nominato presidente della giuria e al tempo s
    23 gennaio 2019 • 08:39Rispondi
    • Ennio GalanteDa cittadino milanese contesto nettamente la proposta di Maurizio Spada e, ovviamente quella di fare una "cittadella della giustizia" fuori o ai margini del contesto urbano. Sono contrario alla delocalizzazione delle attività istituzionali e culturali, quali la sciagurata proposta di traslocare l'Università Statale da Città degli Studi a Rho-expo. Questa tendenza ha già sostituito nel centro storico tutte le attività nelle quali non si può fare speculazione edilizia con il gan bazar dell'abbigliamento. Viceversa approvo la ricostruzione del Policlinico.
      23 gennaio 2019 • 17:52
  2. miro capitaneoil Direttore ci fa capire che una ristrutturazione sarebbe possibile utilizzando il surplus di volumi esistenti rispetto alle superfici. Una operazione simile a quanto è stato fatto in Stazione Centrale. A quel punto non andiamo a mangiare terreni liberi come Porto di Mare che con fitte piantumazioni darebbe un aggiuntivo polmone verde alla città.
    23 gennaio 2019 • 10:20Rispondi
  3. giovanna Franco Repellinila manutenzione dei grandi edifici storici pubblici è un incubo , in questo caso si tratta di una ringhiera architettonica da portare in sicurezza mantenendo le caratteristiche architettoniche e senza alterare l'insieme. Non è difficile ma occorre un progetto preciso e pensato: non cose faraoniche ma nemmeno una invenzione estemporanea
    23 gennaio 2019 • 11:24Rispondi
  4. Maurizio SpadaTogliere una funzione per spostarla in altro luogo più idoneo non significa distruggere il centro di una città. Il Palazzo di giustizia come il Carcere San Vittore non sono funzioni nobili per chi vive il centro né per chi lo visita dal punto di vista turistico sono concentrazioni di traffico che viene per lo più dall'esterno. Non si può fare l'area C e poi lasciare queste funzioni è un controsenso urbanistico. Del resto lo si vede anche nell'arrangiamento continuo del contesto che la funzione richiede, vedi l'edificio costruito sui laboratori dell'Umanitaria e i locali affittati agli ufficiali giudiziari dello stesso Ente.
    24 gennaio 2019 • 11:29Rispondi
  5. arch. Gianni ZenoniVorrei ricordare che l'associazione ARCHXMI ha lavorato con Angelo Mambriani contro la Cittadella della Giustizia, partecipando a convegni all'interno del Palazzo e sostenendo Il BORGO DELLA GIUSTIZIA, definizione coniata proprio da ARCHXMI e condivisa da Mambriani. Oltre ad averne sostenuto l'architettura attuale arricchita da sculture, pitture, bassorilievi e mosaici realizzati contemporaneamente al Palazzo. Riteniamo che l'immagine della Giustizia, sviluppata in un BORGO ben attrezzato urbanisticamente sfruttando per le espansioni edifici circostanti spesso male utilizzati e inserendo il tutto in una zona pedonale arricchita da fontane, monumenti, alberature e posti a sedere, e la posizione centrale che porta il suo nome, non rientri nella tendenza urbanistica Comunale attuale che INARCH combatte, che è quella di trasferire in anonime periferie centri attivi per la società, depauperando zone della città già ben collocate e fornite di tutti i servizi complementari ad essi. Come Città Studi, San Siro, gli ospedali San Carlo e San Paolo, l'Istituto dei Tumori, i Mercati alimentari ed altri. Questi importanti servizi devono essere recuperati in loco per evitare che l'utenza venga disorientata e la massa dei servizi commerciali esistenti che li sostiene sia costretta a chiudere. Molte cose sono già state fatte come l'impianto di riscaldamento e raffrescamento ecologico ed il nuovo padiglione su via Pace e non credo che il semplice e poco costoso innalzamento dei parapetti possa riaprire un discorso che sembra ormai chiuso.
    24 gennaio 2019 • 12:44Rispondi
  6. Danilo Pasquinisono con Zanoni. Siamo fermi alla condanna dell'architettura del regime? o dimentichiamo che chi usa l'edificio del Piacentini (senza essere tacciato di fascismo che è parte dell'architettura italiana storica) lo ha trascurato, fermo restando esistenza vincoli BCCAP, quindi ne ha colpa?. Adeguare alle norme di sicurezza vigenti è possibile anche se non previste su edifici storici. Ma con scienza/coscienza si possono fare (cfr l'albero di Porta Ticinese!). Domando :per CITY LIFE , PORTA NUOVA et similia SI è PENSATO E PREVISTO LA MANUTENZIONE? o tra trent'anni verranno demoliti/sostituii? Credo tra i due estremi citati esista un comune percorso di essere nella storia della città. che sconvolgimenti nella sua struttura ne ha subiti sempre e soltanto a fini di ricapitalizzazione di aree ed edifici "centrali"(discorso perpetuo là dove si puote …). Ma l'uso ed il riuso di presenze che definiamo "culturali" e storiche non solo dovrebbe ma DEVE essere all'ordine del giorno di coloro che amministrano i beni comuni - terre e città - e d anche di coloro che fanno finanza scienza spettacolo arte culture la più diverse vale a dire coloro che hanno grande responsabilità nella 'educazione degli italiani.
    24 gennaio 2019 • 19:43Rispondi
  7. Danilo PasquiniConfermo quanto ho scritto più sopra, grazie
    24 gennaio 2019 • 19:46Rispondi
    • marco romanoNon ho molto da dire. L'architettura di Piacentini non era particolarmente fascista, nel campo delle opere pubbliche stazioni e uffici postali saranno affidati ad un architetto moderno, "Angelo Mazzoni, perché appunto Mussolini non ambiva a uno stile nazionale come invece Hitler. Il palazzo di Giustizia è la testimonianza di uno stile architettonico diffuso negli anni Venti e Trenta in mezzo mondo, e non sarei dell'idea di demolirlo: quanti edifici sono stati demoliti nel tempo, che noi oggi vorremmo vedere ancora intatti...
      27 gennaio 2019 • 18:49
  8. Carmelo MaugeriTrovo le affermazioni di Spada incommentabili, quindi passo avanti. Le vicende del Palazzo di Giustizia possono ascriversi senza tema di smentita alle tante storie italiane in cui quando si trascurano e/o non si adeguano in maniera corretta e tempestiva gli immobili si arriva "sbrigativamente" alla soluzione di rifare tutto. L'edificio piacentiniano è uno dei massimi esempi di architettura razionalista con una straordinaria spazialità interna ed un rapporto con la dignità delle funzioni svolta ineccepibile. Che i parapetti non fossero adeguati lo si sapeva da diversi decenni, sarebbe stato logico elaborare un progetto di adeguamento farlo approvare dalla Sovrintendenza ai BB.CC. finanziarlo e realizzare le opere. Per motivi che non sto qui a elencare ciò non è avvenuto. Grande rispetto per il Dott. Mambriani che ha sostenuto in maniera forte la permanenza di una funzione primaria come quella della Giustizia in un contesto nobile invece di trasferirla in quale nuovo "scatolone" in una triste periferia.
    14 febbraio 2019 • 16:51Rispondi
  9. Giorgio FortiNon sono al corrente dei retroscena di questo problema, ma...mettendo insieme il giudizio del Direttore e vari interventi che leggo sopra, vedo la solita lotta delle corporazioni con i loro interessi, economici e politici. Mi pare, che si possa concludere che quei molti soldi che si spenderebbero per fare la nuova "Cittadella della Giustizia si potrebbero spendere invece per fare le case per chi non le ha, cioè per l'edilizia residenziale popolare, una assoluta priorità a Milano. Altra priorità, la sanità per tutti quelli che hanno molte,troppe difficoltà ad utilizzare il Servizio Sanitario Nazionale.
    20 febbraio 2019 • 15:22Rispondi
  10. Carmelo MaugeriGentile Sig. Forti non sono d'accordo con lei. In Italia l'edilizia residenziale pubblica è un autentico buco nero dal quale non si esce se non si innova completamente il sistema. Quello attuale è superato e consente irregolarità a tutti i livelli e cattiva gestione dilagante. Questo è un paese, e lo ripeto fino alla nausea, dove si crede che i problemi si risolvono con i proclami e comunque affrontandoli con una superficialità disarmante. Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. L'attuale classe politica, di qualunque colore essa sia non lo comprende.
    31 gennaio 2020 • 17:29Rispondi
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