23 ottobre 2018

BEPPE SALA, O DELLA SOLITUDINE DEL SINDACO

Il “decisore unico” e il ruolo dei cittadini


A due anni e mezzo dall’elezione di Beppe Sala, tirando il bilancio di metà mandato, si resta come dire colpiti dall’indurimento del profilo decisionista del sindaco mostrato in alcuni passaggi essenziali della sua amministrazione (scali, navigli…)

Un piglio che pare assecondato dall’intreccio tra il suo stile direttivo, diciamo così, e l’impianto normativo che regola dal 1993 la nuova governance dei comuni italiani, contesto tanto favorevole che si dubita se Beppe Sala, come altri prima di lui, desideri o sia condannato ad essere solo: la solitudine dell’uomo al comando.

Secondo Wikipedia, “con la legge 25 marzo 1993, n. 81 venne introdotta l’elezione diretta del sindaco e, correlativamente, la nomina dei componenti della giunta da parte dello stesso, mentre in precedenza sia il sindaco sia la giunta erano eletti dal consiglio comunale. In questo modo la forma di governo del comune, in precedenza riconducibile al modello parlamentare, venne avvicinata al modello presidenziale”.

Dunque, torsione presidenziale di un precedente assetto rappresentativo. Ottimamente riassunto il tema in poche righe, vorrei suggerire una chiave di lettura unitaria tra il bilancio dei primi 25 anni della legge che ha ridisegnato la vita politico – amministrativa dei comuni, e quello dei primi 30 mesi dell’amministrazione Sala.

Teatro Ambra Garbatella - Giuliano Pisapia a Campo Progressista

La furia antipartitica di Tangentopoli ha accompagnato la nascita del nuovo sindaco “decisore”, e sembrava a pochi passi dal sistema presidenziale nazionale (ricordate il Sindaco d’Italia?). Se così non è stato, bisogna pur ammettere che nel ’93 si è introdotta una innovazione politico istituzionale di grande rilievo. Non vi è dubbio che i partiti ne siano state le principali vittime, ma è forse altrettanto legittimo chiedersi se non ve ne siano state altre.

L’elezione diretta del Sindaco da allora è nelle mani del “popolo” che elegge direttamente il “suo” sindaco, a sua volta autorizzato a scegliersi i “suoi” assessori. L’investitura diretta popolare è oggi la fonte di legittimazione del potere del Sindaco ed è “esterna” alle oscure stanze dei partiti. Ma è anche vero che i cittadini, esaurito il compitino elettorale, la sera se ne tornano a casa, lasciando il Sindaco padrone della scena vuota. Dal momento in cui si insedia, il Sindaco diviene deus ex machina, mentre il Consiglio Comunale poco più che un luogo di ratifica di decisioni prese altrove. Bene, molti diranno, se ai partiti vengono finalmente tagliate le unghie: obbedite al “proconsole” del popolo, altrimenti dimissioni e nuove elezioni, cosa assolutamente indesiderabile, e desiderata in Italia solo una volta dal PD per mettere fine alle vicende del povero Ignazio Marino.

Dunque, una volta eletto, il Sindaco fa e disfa come vuole, potendo sempre ricordare a quanti lo mettono in discussione che “io so’ io, e voi non siete un c……o” (Alberto Sordi, “Marchese del Grillo”). Una vera goduria per i fan della lotta alla casta, ma passata l‘estasi, fa capolino una domanda tanto banale quanto essenziale: se non trova limite nel voto del consiglio comunale, dove si trovano i pesi ed i contrappesi all’azione politica del sindaco? E non pare che così il suo profilo tenda a sovrapporsi a quello di un capo azienda che, nominato dalla proprietà (il popolo) con amplissima delega, semplicemente “comanda”, tanto più seccamente tanto meno condizionato dal consenso di partiti resi ahimè eunuchi politici?

In realtà, così a me pare, la finalità della riforma del ‘93 non doveva portare all’azzeramento del sistema politico fondato sui partiti, ma piuttosto una riconversione del loro ruolo, perseguendosi da un lato il bene della stabilità (l’amministrazione-sindaco) e, dall’altro, quello della rappresentanza della volontà popolare (la dialettica politica-consiglio comunale). Da un lato, il potere legislativo e dall’altro l’esecutivo. Condizione essenziale di equilibrio del nuovo sistema era la capacità dei Partiti di assumere e manutenere costantemente la rappresentanza degli interessi, e su questa base elaborare indirizzi politici.

Così però non è andata: il contrappeso allo strapotere del Sindaco non è stato esercitato né dal Consiglio Comunale, né tantomeno dalla Giunta sua debole creatura, e neppure dai cittadini, che, sia pur volenterosi “partecipanti”, non dispongono di luoghi istituzionali dove discutere né di poteri con cui concorrere alla decisione. Della dialettica sindaco – consiglio si son perse le tracce e neppure, nell’ossessione partecipativa di questi anni, se ne sono generate significative modalità di partecipazione che non fossero porgere il benevolo orecchio del sovrano alla voce del popolo. La vicenda Navigli l’ha pure mostrato in pratica, tanto che neppure lo straccio del débat public ha potuto rivestire un Re reso Nudo da una decisione già presa.

La debolezza del Consiglio Comunale, l’assenza o carenza di forme partecipative effettive, lasciano dunque solo il Principe. Tanto meglio dirà qualche profeta della semplificazione della complessità (Niklas Luhman, chi era costui?), ma la solitudine in politica non va bene, è fonte di autoreferenzialità e di decisioni sbagliate. Non necessariamente nelle intenzioni, ma nelle conseguenze effettive quando non si comprende che la decisione politica nasce e si struttura correttamente sempre nella dialettica equilibrata dei poteri, sempre nella trasparenza degli interessi rappresentati, sempre nelle forme di un dibattito che offre alla maggioranza l’occasione di manifestarsi non una tantum (elezione) ma ogni qual volta ve ne sia necessità (forme della rappresentanza e della partecipazione).

Beppe Sala ha avuto il grande merito di tradurre la crisi di Expo 2015 in un successo planetario: gliene saremo sempre grati e certamente in quell’occasione la sua managerialità è stata risorsa preziosa. Oggi che governa un grande Comune come Milano, anzi un’Area Metropolitana, dovrebbe comprendere che il maggior lascito del suo mandato (o, come gli auguriamo, dei suoi mandati) non saranno grandi opere, ma l’irrobustimento degli strumenti con cui porre limiti dialettici alla vigoria della sua leadership, rafforzando così la casa politica comune.

Se desidera, il carnet è per larga parte pronto: maggior autonomia ai Municipi, rafforzamento ed utilizzo degli strumenti di decisione e consultazione popolare, conferenze di servizi su specifiche tematiche, sviluppo dell’Area Metropolitana, adesione alle decisioni del consiglio. Noi ci siamo.

Buon lavoro.

Giuseppe Ucciero



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