17 aprile 2018

musica – MUSICA E “PAROLE, PAROLE”


musica15FBDa tempo si va diffondendo l’abitudine di far precedere i concerti dalla presentazione del programma e degli artisti da parte di conferenzieri terzi o da parte degli stessi esecutori. E si dice anche che questa cosa piaccia molto e venga addirittura richiesta dal pubblico.

Stento a crederci e devo dire che sono molto irritato quando ciò avviene. Benché sia perfettamente conscio che alcuni interventi verbali possano essere di grande qualità ed anche risultare utili all’ascolto (ricordo ad esempio, l’anno scorso le introduzioni di Gaia Varon e di Oreste Bassini ai concerti della Società del Quartetto) credo che il solo rischio che possano essere noiose e fastidiose dovrebbe scoraggiare tali iniziative. Credo in altre parole che l’ascolto della musica e quello delle parole che la descrivono, la illustrano, la approfondiscono, non vadano confusi e debbano avere occasioni, sedi, e modalità diverse. Non è giusto che al proprio pensiero e al proprio sentire si sovrapponga il pensiero e il sentire di altri, per quanto interessanti. Credo anche che si debba poter ascoltare la musica senza essere influenzati da altri e che le indicazioni per la guida all’ascolto debbano comparire esclusivamente nel programma di sala ad uso di chi, impreparato o curioso, senta il bisogno o il piacere di leggerseli; credo invece che gli interventi verbali inevitabilmente distraggano il pubblico e impediscano di concentrarsi e dunque di “porsi in ascolto” prima di un concerto. (Lo stesso tema, se vogliamo, è quello degli sciagurati applausi che scrosciano quando non si è ancora spenta l’ultima nota e che regolarmente privano gli ascoltatori più consapevoli ed attenti degli istanti di silenzio e di riflessione con i quali concludere ed introitare l’esperienza emotiva e sensoriale appena vissuta).

Domenica, al concerto mattutino della Palazzina Liberty, la violenza imposta agli ascoltatori prima del concerto si è consumata a un livello tale che mi pare doveroso parlarne, anche perché la forzatura era in evidente contrasto con la grande qualità dei protagonisti!

Il concerto titolava “L’Arpa Magica, intorno al centesimo anniversario della morte di Debussy” e vedeva protagoniste sette giovani donne: l’arpista Luisa Prandina (titolare dello strumento nell’orchestra della Scala) e le componenti di un ensemble denominato “Le Cameriste Ambrosiane” Elisabet Franch (flauto), Raffaella Ciapponi (clarinetto) Eleonora Matsuno e Katia Calabrese (violini), Claudia Brancaccio (viola) e Ruta Tamutyte (violoncello). Il programma prevedeva due brani importanti: la “Introduction et Allegro” per arpa, flauto, clarinetto e quartetto d’archi di Maurice Ravel e la “Suite bergamasque” dello stesso Debussy arrangiata per gli stessi strumenti.

Nel programma di sala – già corredato di una bella, dotta ed esaustiva presentazione di Luca Ciammarughi – era inserito in curiosa posizione, dopo la Prandina e prima delle Cameriste, “Lorenzo Arruga conversatore”. Dunque era annunciato, oserei dire minacciato, ma i più non vi avevano fatto caso.

Arrivo al dunque: il concerto avrebbe dovuto iniziare alle 10.45; non si capisce perché sia iniziato alle 11, con un quarto d’ora di ritardo. Entrate le musiciste, una di esse ha parlato per cinque minuti senza microfono sicché, come spesso capita, solo chi era nelle prime file ha potuto intenderne le parole. Si è però capito alla fine che presentava Lorenzo Arruga; il quale è infatti arrivato, si è seduto al pianoforte e – per fortuna dotato di un ottimo microfono – ha iniziato una lunga conversazione sul mondo di Ravel e di Debussy, arricchita di gustosi aneddoti, acute osservazioni, esempi musicali eseguiti con grande raffinatezza.

Questa meravigliosa lezione è andata avanti fino oltre le 11.45 sicché coloro che, come me, avevano il tempo giusto per ascoltare Ravel ed avrebbero dovuto lasciare la sala durante l’intervallo (sovente, si sa, la mattinata della domenica è uso concluderla con impegnative colazioni…) si sono recati fino alla Palazzina che fu di Dario Fo e di Franca Rame per ascoltare una, sia pur magnifica, lezione di livello accademico ma neanche una nota. Si aggiunga l’evidente imbarazzo delle sette concertiste sedute in circolo sul palcoscenico con gli strumenti imbracciati, che hanno dovuto ascoltare un’ora di lezione proprio nei momenti in cui qualsiasi musicista ha bisogno di silenzio e di concentrazione prima di iniziare a suonare.

Ha senso tutto ciò? Non sarebbe opportuno che questi interventi si svolgessero prima dell’ora prevista per il concerto, in modo da dare al pubblico la possibilità di scegliere se ascoltarli o meno? Fa così, ad esempio, l’Auditorium e posso assicurare che quelle conferenze tenute nell’atrio del teatro prima dell’inizi dei concerti della Verdi sono estremamente gradite e nessuno guarda l’orologio per la nervosa attesa del concerto.

Sono sicuro che Lorenzo Arruga, cui va tutta la mia stima, è perfettamente d’accordo con me.

Paolo Viola

Questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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