27 febbraio 2018

musica – CONTAMINAZIONI


musica08FBSempre più spesso ci imbattiamo in programmi di concerti non più “classici”, come siamo abituati ad ascoltare, ma in certo qual modo contaminati. Ad esempio concerti di musiche trascritte da un organico o da uno strumento a un altro, oppure eseguite su uno strumento per il quale non furono composte, o ancora musiche più o meno riscritte da capo e riproposte (non sempre limpidamente) con il prefisso “da”, o trattate come musica jazz o country, o accostate ad altre in modo talvolta provocatorio, magari con la pretesa di avere identificato un fil rouge che le tiene insieme. Alla base di queste proposte spesso vi è l’illusione che siffatte forme di contaminazione possano “andare incontro al pubblico” o meglio “avvicinarlo” alla musica colta. Vera grande illusione perché sappiamo bene che non è la cultura che può andare incontro al prossimo ma è il prossimo che le si deve avvicinare compiendo gli sforzi necessari per raggiungerla e per goderla. Partecipano di questa tendenza, anche se con un approccio culturalmente diverso, i registi di opere liriche che, ignorando le indicazioni degli autori, si inventano situazioni totalmente diverse da quelle raccontate nel libretto, quando non addirittura opposte e rovesciate, come nel recente caso della Carmen di Leo Muscato che a Firenze ha ucciso Don José! Ma oso dire che appartiene allo stesso genere persino la diffusa ed accettatissima abitudine di utilizzare, per le colonne sonore dei film, musiche scritte per altri contesti. Mahler, quando nel 1905 scriveva l’Adagietto (proprio così, con la “i”) della Quinta Sinfonia, non poteva prefigurarsi di certo il racconto di Thomas Mann del 1912 né tantomeno il film di Luchino Visconti del 1971.Mi chiedo fino a che punto queste contaminazioni siano tutte o in parte lecite, ma anche quanto facciano bene alla musica ed in genere all’avanzamento della cultura. Azzardo alcune risposte. Nel citato esempio della Sinfonia di Mahler, amando molto quel film di Visconti, ho la sensazione ch’esso mi fuorvii quando ascolto l’Adagietto in concerto, e che la mia mente vada inevitabilmente alla figura di Dirk Bogarde errante fra le calli veneziane piuttosto che ai tormenti e ai rovelli di Mahler. Avanza nella mente un’altra cosa, si viene trascinati in una lettura del tutto particolare che di fatto impedisce di dare altre interpretazioni e di godere altre sensazioni. È quel che accade, peraltro, con i brani musicali usati per gli spot pubblicitari che, se insistentemente ripetuti, finiscono per condizionarne definitivamente l’ascolto. E questo trasferimento di attenzione dalla musica all’immagine colpisce le persone tanto più quanto meno esse conoscono e comprendono la musica d’accompagnamento.

Altro esempio è quello dei testi bachiani magistralmente cantati dai Swingle Singers (quando comparvero, negli anni sessanta, furono una vera rivelazione!). Per quanto magnifiche siano quelle esecuzioni, a loro modo fedeli e rispettose del testo, anch’esse risultano fuorvianti al punto che ancora oggi riescono a condizionare l’ascolto dell’Aria sulla 4a corda (diventata la sigla di una notissima trasmissione televisiva) o la Suite per orchestra detta Badinerie, entrambe di Bach. Ovviamente, anche in questo caso, le prime vittime dello straniamento storico e della confusione culturale che ne deriva, sono proprio coloro che hanno conosciuto e goduto le esecuzioni “jazzate” del gruppo franco-inglese ignorando la musica originale di Bach.

Ho scelto non a caso esempi colti (o alti, come si dice oggi), ma immaginate cosa accade se prendiamo esempi più modesti o semplicemente più commerciali; se il famoso film Fantasia di Walt Disney ha portato ad una vastissima platea opere meravigliose come la Sesta Sinfonia di Beethoven, la Notte sul Monte Calvo di Musorgskij, l’Apprendista Stregone di Dukas, Le Sacre du Printemps di Stravinskij eccetera, mi chiedo quanti giovani e giovanissimi spettatori abbiano poi tratto positivi insegnamenti da quella fantastica (è il caso di dirlo) colonna sonora.

Altra storia è, come dicevo, la “modernizzazione” dell’opera lirica. Nessuno può mettere in dubbio il diritto-dovere di un regista di ambientare l’opera in un contesto diverso da quello per cui essa fu pensata, quantomeno per dimostrarne l’attualità, ma la condizione ferrea è che il significato della vicenda, il sistema delle relazioni psicologiche, il gioco degli affetti e delle tensioni fra i protagonisti dell’opera non ne vengano stravolti. Altrimenti si dovrebbe essere obbligati a scrivere che l’opera “è” del regista Tizio, “liberamente” tratta dal libretto di Caio, “su” musiche di Sempronio. E credo che, a dimostrazione di ciò, il botteghino ne risentirebbe non poco!

In conclusione credo fortemente che le opere musicali del passato vadano rispettate con rigore e non ci si possa permettere di farne usi impropri, neanche se di grande levatura artistica. Non potendo chiedere a Bach o a Mahler il permesso di utilizzare le loro opere per produrne altre di natura diversa, dobbiamo non solo stare attenti a come queste nuove vengono presentate, ma anche accertarci che non producano improprie derive nella percezione di quelle prese in prestito. Se nel 1919 fece scandalo la Gioconda con i baffi di Marcel Duchamp, come dovremmo reagire oggi ascoltando una Marcia Turca di Mozart che accompagna lo spot per un formaggino?

Paolo Viola

Fotografia di Pietro Paolini

Questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.it



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