9 gennaio 2018

musica – LA CONTEMPORANEA NON È TUTTA UGUALE


Ho confessato più volte di non essere amante della musica contemporanea (ma neppure della musica “leggera”, anche quando leggera non è ed ha il solo torto di appartenere ad un ambito diverso da quello della musica cosiddetta “colta”) e dunque non ho titoli spendibili per affrontare un tema che sempre più si impone alla nostra coscienza di musicofili: quello del diffusissimo rifiuto tout-court dei compositori che hanno cominciato ad esprimersi grossomodo dopo la fine della seconda guerra mondiale. E in particolare degli autori contemporanei italiani. Tuttavia un commento non posso evitarlo.

musica01FBIl problema si è posto acutamente nel mese di novembre dell’anno appena conclusosi, con quel “Festival Sciarrino” – o meglio quel XXVI° Festival di “Milano Musica” interamente dedicato al compositore palermitano in occasione dei suoi settant’anni – che ha invaso per cinque settimane tutti gli spazi musicali disponibili in città: dalla Scala all’Auditorium di largo Mahler, dal Teatro Elfo Puccini all’Auditorium San Fedele, dal Palazzo Reale al Planetario, fino all’Hangar Bicocca dove, fra i meravigliosi “Sette Palazzi Celesti” di Anselm Kiefer, sono stati eseguiti gli “Studi per l’intonazione del mare” con due orchestre di 100 flauti e 100 sassofoni! Confesso che le persone entusiaste ho potuto contarle con le dita di una sola mano, mentre di persone deluse – o addirittura inorridite – ne ho incontrate a bizzeffe.

In quell’occasione è stato più volte scritto e detto che Sciarrino è il più noto, o acclamato, o eseguito, compositore italiano ed io – che non ho statistiche al riguardo – sono incredulo perché è un musicista che non fa nulla per rendersi gradito al pubblico né si pone il problema di far avanzare la storia della musica lungo sentieri riconoscibili ed accattivanti; si vanta di essere “nato libero e non in una scuola di musica” e non riconosce di essere uno sperimentatore di linguaggi, peraltro non più tanto nuovi, praticamente incomprensibili ai più, e soprattutto di essere anch’egli figlio di quella tragica scuola di Darmstadt che fra il 1950 e il 1960 ha letteralmente distrutto la musica colta europea.

La scuola, per intenderci, da cui è nata quella sorta di dittatura culturale, basata sul radicalismo e sul formalismo astratto, che ha negato le ragioni della “comunicazione” musicale. In quegli anni, non solo nelle sale da concerto ma addirittura nei corsi di composizione dei Conservatori, venivano ignorate le opere di Šostakovič e di Prokof’ev perché erano considerate “reazionarie” o addirittura “inutili”; i compositori, si diceva, non devono essere “narrativi” e, quando sono “espressivi” sono sostanzialmente dei “nostalgici”. Si arrivò nientedimeno a dare del “fascista” al povero Luciano Berio che aveva il solo torto di essere uno spirito libero.

Come ascoltatore incallito di musica “classica” ritengo che compito del musicista non sia quello di educare il pubblico, né tantomeno di coinvolgerlo nelle personali e non sempre feconde ricerche sulla tecnica della composizione o sui dilemmi del linguaggio musicale, bensì quello di avvicinarlo alla bellezza della musica facendogli scoprire nuove e inesplorate gioie. Mi sorprende molto dunque che non sia esistito e che tutt’ora non esista un vero dibattito pubblico (fra gli amanti della musica e i frequentatori delle sale da concerto, intendo, cioè fra estranei al mondo dei musicisti ed ignari del loro mestiere) sullo strapotere di quella tirannica scuola. La quale, quasi come una religione per anni capeggiata da Luigi Pestalozza che ne ebbe l’indiscusso ruolo di ideologo, e con la complicità delle istituzioni che hanno sempre avuto il potere di erogare le pur magre sovvenzioni pubbliche, ha sempre ed ovunque imposto i propri adepti. Così la gente che va ad ascoltare Sciarrino, succube della sua fama, fa di tutt’erbe un fascio e insieme alle sue opere finisce per rifiutare in blocco tutta la musica contemporanea.

Ma la musica contemporanea non è affatto tutta uguale, tanto che persino dal mio modesto osservatorio di “ascoltatore impertinente” (chiedo scusa per l’autocitazione) sono rimasto folgorato da autori che con quella scuola e con quelle ideologie non hanno nulla a che vedere. Ricordo la grande emozione ed ammirazione che provai quando nel 2015 mi imbattei in due meravigliose opere appena scritte, e dunque in prima esecuzione assoluta, vale a dire il melologo “Sull’acqua, sotto di noi il diluvio” di Fabio Vacchi (ArcipelagoMilano del 14 ottobre) su un intenso testo di Michele Serra, e più tardi l’opera lirica “La paura” di Orazio Sciortino (ArcipelagoMilano del 9 dicembre) tratta da un commovente racconto di Federico De Roberto. Se Sciortino è un compositore ancora molto giovane (è del 1984) e dunque potrebbe essere imprudente darne un giudizio definitivo, le opere di Vacchi – che di Sciortino è stato maestro di composizione ma di Sciarrino è praticamente coetaneo – sono state e sono tuttora eseguite in tutto il mondo raccogliendo regolarmente ampissimi consensi e grande successo di pubblico. Tuttavia sorprendentemente non si sente mai dire che … è tutt’altra musica! La si percepisce sommariamente come “musica contemporanea” e – anche quando la si apprezza, la si gode e ci commuove – viene distrattamente ed istintivamente infilata in quell’unico “generone” in cui finiscono gli autori felicemente viventi o da poco scomparsi, egemonizzato come si è detto da quel che resta delle cosiddette avanguardie.

Nel bel volume di Ricciarda Belgiojoso “Note d’autore, a tu per tu con i compositori d’oggi” (Postmedia books, 2013) che contiene 30 interviste ad altrettanti compositori contemporanei, Fabio Vacchi sostiene che “il linguaggio è una stratificazione secolare, millenaria, che non si può ridurre a convenzione … non si può spazzarne via una e sostituirla con un’altra … l’ideologia della tabula rasa mi è estranea … l’identità è memoria e senza memoria e identità non c’è futuro”; nel presentarlo, l’autrice del volume dice che la musica di Vacchi è “espressiva e coinvolgente”. Secondo i dittatori dell’avanguardia – ne esistono ancora, nonostante i tanti anni trascorsi, e sono fra quelli che vanno in visibilio per Sciarrino – equivale a dire che è “inutile” e “decadente”.

Ma noi possiamo continuare a far finta di nulla?


Paolo Viola


questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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