10 ottobre 2017

musica – TAMERLANO, UN ALTRO PUNTO DI VISTA


L’amico Sandro Gerbi, noto studioso di storia contemporanea, mi ha amabilmente “girato” una mail di Olga Visentini a commento della rubrica di settimana scorsa sul “Tamerlano” alla Scala. La cosa mi ha enormemente lusingato perché Olga Visentini è una grande musicologa e storica della musica francese e tedesca (celebri i suoi studi su Berlioz), ha insegnato iconografia musicale e teatrale all’Università di Venezia e insegna storia della musica al Conservatorio di Castelfranco Veneto. Cedo dunque a lei la parola, non senza averla ringraziata per l’attenzione e di averle porto i complimenti per la straordinaria dottrina profusa in questo testo.

musica33FBBella e ben scritta. Il resto dipende dai gusti personali, e in linea di massima concordo. Tuttavia, c’è una cosa che non dipende dai gusti. Händel ha scritto per due “alti” castrati. Andronico e Tamerlano sono due uomini che cantano in falsetto: voci di falsettisti, oggi sostituiti da contraltista e sopranista, che eseguono parti scritte originariamente per castrato.

La Scala non ha affidato le parti a controtenori, come suggerisce Viola. Il controtenore ha una voce virile da adulto che canta, in tessitura naturale di contralto, parti espressamente scritte per questa vocalità ed è impiegato, ben prima del belcantismo settecentesco, fin dall’antico medioevo cristiano (in Britten, che resuscitò questo ruolo vocale nel ’900, Oberon è un controtenore).

Ma la parte di Bajazet Händel l’ha scritta per tenore. È un fatto raro dare una parte così importante a un tenore per quell’epoca. Händel scriveva per chi aveva, e in quell’occasione aveva un fantastico tenore, Borosini, che contribuì anche a far modificare il libretto per mostrare la morte di Bajazet a scena aperta. Tenore con voce tenorile da bel canto, quindi “di testa”. Non “di petto” come, erroneamente, si definisce la voce dei tenori ottocenteschi.

Plácido Domingo era certamente l’unico sbagliato, la sua voce ha una risonanza cosiddetta “di petto” e non restituisce certo la voce di Borosini. Gli altri due invece sono perfetti: Fagioli, che faceva Andronico, e Metha erano bravissimi. Fagioli sta facendo una grandissima carriera, perché oggi anche in Italia si comincia ad apprezzare davvero il belcantismo barocco.

Dal punto di vista vocale quindi il Tamerlano della Scala a mio parere era ottimo, tranne Plácido. Ma alla Scala è stato dato certamente per lui, perché è lui che può attirare un pubblico senza competenza di opera barocca, che altrimenti non verrebbe, e anche perché è divertente vedere questo grandissimo istrione al lavoro. Era infatti del tutto fuori ruolo per un “barocchista doc”. Ma si è abituati a molto peggio, e lui ha fatto la sua parte correttamente.

Peraltro merita la sua grande passione e la forza che lo spinge a cantare musica barocca. Viva Domingo – che canta con passione e voce Bajazet, anche con una sonorità non esattamente appropriata – che i tanti che cantano Tristan o altro senza avere la voce adatta. Tenendo conto anche che, ancora pochi anni fa, un grande biografo di Händel (Lang) dedicava pagine e pagine a spiegare che era giusto nella modernità del Novecento cambiare tutti i ruoli barocchi in voci più moderne, cioè in voci maschili, piuttosto che restituire le “voci da tacchino”, come le chiamavano Stendhal e Berlioz, dei castrati. Le cose sono cambiate. Viva le voci dei castrati, e dei loro sostituti! Ma viva anche Domingo grazie al quale abbiamo potuto assistere a una rappresentazione scenica del Tamerlano.

È sbagliato rimpiangere il fatto che Händel abbia dato parti di basso solo a ruoli secondari: il basso nell’opera barocca c’è, ma appunto in parti secondarie o in grandi parti caratterizzate come il sacerdote, il vecchio re, etc. Mentre il tenore è raro nelle parti principali, ma Händel lo impiega, ed è molto interessante perché prelude a una emancipazione della voce del tenore. Bisogna accettare il barocco per quel che è altrimenti lo si snatura. Il basso, nell’opera händeliana, fa le grandi parti del re cattivo (Claudio in Agrippina), del perfido (Argante in Rinaldo), del mago (Zoroastro in Orlando), etc.

Sul resto Viola dice cose giustissime. Tuttavia, c’è un punto ancora che vorrei precisare. Ed è una questione di gusti. L’opera – diciamo – di Verdi o di Wagner ha una connotazione scenica che dovrebbe essere intoccabile almeno nei principi generali (anche perché ancora molto vicina a noi). Don Carlos si svolge in Spagna durante la Controriforma di Filippo II, questo voleva Verdi e questo è anche nella musica; ma spesso non è così nelle scene. Tristan è studiato anche filosoficamente come lo descrive Wagner, è la storia di “Tristan” di Gottfried von Strasbourg e di altri prima di lui, è il medioevo immaginario di Wagner, il medioevo-mito, musica metafisica, metafora per eccellenza. Non puoi trasformare Don Carlo in un antinazista o Tristan e Isolde in due marinaretti che prendono il sole sulla nave e buttare tutto “a puttane”, come avviene spesso (soprattutto, e incredibilmente, con registi tedeschi affetti da egotismo).

L’opera barocca invece metteva in scena storie più o meno antiche (la storia di Tamerlano per l’appunto o gli intrighi di Agrippina o altro) vestendo gli attori in costumi del Settecento con poche connotazioni di epoche diverse. Quindi, dal punto di vista generale è più giusto inventare scene nell’opera aperta del barocco che nel romanticismo; che è pure vicino a noi ed evoca sentimenti e situazioni che, come detto, ancora ci toccano.

Tuttavia, se accettiamo il ribaltamento di un Tristan (e fino a un certo punto lo accettiamo, io ho dei limiti), non vedo perché non accettare quello di un Tamerlano. Peraltro Stalin in scena nel Tamerlano è quello Stalin storico che sappiamo ma solo per chi lo conosce bene; può anche essere idealizzato fuori del contesto storico cui noi siamo ancora sensibili. Basta che sia un bello spettacolo. Basta in un caso e nell’altro: i Meistersinger nella Norimberga bombardata dagli americani dell’anno scorso alla Scala sono passati. Bruttini, un po’ pezzenti, ma sono passati (forse meglio delle oleografiche regie di Karajan a Salisburgo negli anni ’80). La storia di Tamerlano/Stalin invece fa storcere qualche naso, chissà perché. È pretestuoso secondo me.

Meglio prendersela con Katharina Wagner che fa imprigionare Tristan e Isolde da Re Marco in una gabbia dove si svolge l’intero straordinario secondo atto che dice, con la musica, una cosa del tutto opposta a quella che dice la messinscena e la regia: la libertà di liberarsi dalla costrizione, la volontà di scegliere di morire, annullarsi, annegare, sprofondare. Per non citare stravolgimenti ancora peggiori che a Bayreuth oggi si fanno per l’inveterato vezzo che nulla ha della visione rivoluzionaria di Patrice Chéreau (che i tedeschi, allora, fischiarono tanto). Però poi dipende dai gusti, questo è il fatto. Comunque, caro Sandro, è un bell’articolo che mi ha fatto riflettere e ti ringrazio di avermelo passato.

E noi ringraziamo di cuore Olga Visentini e Sandro Gerbi per questo prezioso contributo che ha anche il merito di ricordarci quanto siano diversi i compiti degli storici e dei critici da quelli dei semplici ascoltatori (fra cui ci annoveriamo).

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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