26 novembre 2014

LA GRANDE SCOMMESSA: RIGENERAZIONE URBANA, ONERI, CONSUMO DI SUOLO


Siamo disposti a vivere in case più piccole? Siamo disposti a non comprare (più, altre..) seconde case? Siamo disposti a pagare un onere urbanistico come individuale contributo di cittadinanza? Siamo disposti a traslocare temporaneamente mentre demoliscono e ricostruiscono le nostre case, perché inadeguate, non sicure, energeticamente dispendiose? Siamo disposti a rinunciare all’auto? Perché quando parliamo di densificazione non dovremmo in primis liberare il suolo urbano dalle auto?

09mattace41FBQuesta è la scommessa. Quanto siamo disposti a cambiare i nostri comportamenti, il nostro modo di abitare la città e il territorio, a rispondere sì ad almeno una o a tutte insieme le domande qui sopra. Un modo piuttosto radicale di affrontare la questione del consumo di suolo, ma forse quello più diretto, la prova del nove del cittadino qualunque.
Per accettare la scommessa si dovrebbe avere contezza della contropartita: queste le rinunce, quali i benefici. La sfida della rigenerazione urbana andrebbe raccontata fino in fondo. Solo così si potrebbe capire che riqualificare e ristrutturare l’edilizia priva di qualità (estetica ed energetica) non è solo una strada per tentare il riequilibrio delle città, del territorio e la tutela del paesaggio, ma anche l’occasione per “intervenire sia sul degrado fisico e ambientale che sull’eliminazione dell’esclusione e della marginalità comune, potenziando il “capitale sociale” presente e facendo grande attenzione alle fragilità collettive ed economiche delle minoranze e delle identità culturali.”
Il grande presupposto è avere un politica urbana (abitativa e urbanistica), una politica assente a livello nazionale dal punto di vista strategico da quando il controllo del territorio è stato appaltato alle regioni. E il confronto fra le diverse normative regionali (lombarde, toscane, sarde..) non fa che raccontare dell’ipertrofia legislativa e dei tentativi molteplici e disomogenei di affrontare lo stesso problema.
Un problema così complesso che richiede competenze e funzioni diverse, “sinergia tra istituzioni, università, urbanisti, associazioni ambientaliste e costruttori, oltre che con tutti i gruppo sociali portatori di interessi, sistema bancario, sindacati e forze culturali.” Sono quelle che ArcipelagoMilano ha chiamato a raccolta – lunedì 17 novembre 2014 – intorno a un tavolo metaforicamente rotondo per discutere di una proposta che ha trovato ospitalità sulle pagine del settimanale: l’ipotesi di incentivare fiscalmente la Sostituzione Edilizia, nuovo strumento del Regolamento Edilizio di Milano, al fine di dare slancio ad attività minute ma non meno essenziali alla trasformazione urbana.
Una discussione intensa e stimolante (la registrazione audio integrale è scaricabile qui, o ne trovate una sintesi efficace sul sito dell’Ordine degli Architetti di Milano) proprio per la ricchezza dei punti di vista e dei nodi emersi: la fiscalità come leva, la necessaria riforma organica della fiscalità locale (gli effetti distorsivi degli oneri di urbanizzazione utilizzati nella spesa corrente; la fiscalità di profitto più che di onere); la semplificazione normativa e la certezza dei tempi amministrativi (quindi di tempi di percorrenza dell’investimento per ridurre i costi finanziari e non dissipare valore) come unico strumento per attrarre capitali da attuare all’interno di una “politica industriale della costruzione”.
Il confronto con le realtà europee, gli strumenti regolativi adottati e gli asset di sviluppo che hanno messo in atto processi di rigenerazione urbana: la scelta della Francia che ha individuato come chiave di volta della politica sulla casa il tema dell’energia. Il paradigma energetico declinato sul tema della obsolescenza del patrimonio edilizio e al tempo stesso delle infrastrutture di urbanizzazione primaria, il bilancio idrico della rete fognaria pensata nell’800 con la logica dello smaltimento “a valle” in un contesto mutato di tappeto urbano. Il rischio idrogeologico e la rottamazione dell’abusivismo.
Il valore di una buona pianificazione urbanistica (che richiede tempo e costanza più lunghi dei cicli amministrativi) come strumento per costruire trame di socialità. La necessità di introdurre indicatori di sostenibilità dei progetti per aprire la gestione della complessità. I (non) effetti di una urbanistica “coercitiva”, l’ipotesi di una trasformazione urbana a somma zero, l’onere perpetuo come contributo di cittadinanza, riconoscimento di valore della qualità urbana in essere.
L’assunzione del paradigma che vede nelle città la ricchezza data dalla densità di capitale umano (di conoscenza): il suolo smette di essere l’unico parametro significativo, quanto invece è il sapere con conseguente ribaltamento dell’approccio.
Tante istanze a confronto che hanno bisogno di approfondimenti e sintesi successive: il dibattito on line continuerà sui prossimi numeri di ArcipelagoMilano,  meglio rimanere sintonizzati.

 

Giulia Mattace Raso



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