5 febbraio 2019

IL MISTERO DEL “CONTRIBUTO STRAORDINARIO”

Rendite da trasformazione urbana, una vicenda inquietante


Gli oneri urbanistici, come è ben noto, costituiscono lo strumento più adeguato per la tassazione delle rendite emergenti dalla trasformazione urbana e per fornire ai comuni le risorse per il miglioramento delle città: essi vengono imposti nel luogo e nel tempo in cui la rendita di trasformazione si manifesta nonché sotto la diretta responsabilità e il controllo delle amministrazioni pubbliche. Purtroppo gli oneri pagati per prestazioni pubbliche in Italia rappresentano una quota quasi irrisoria delle rendite (fra il 3 e il 5% del valore del costruito, contro il 28-30% della Germania), e gli effetti si vedono bene: le trasformazioni arricchiscono le rendite ma lasciano sul terreno solo briciole per la collettività(1).

190205_Camagni-04Fortunatamente, ma in modo inaspettato, una importante riforma degli oneri di urbanizzazione è stata introdotta nel nostro ordinamento con l’art. 17 del DL 12.9.2014 n. 133, cosiddetto “Sblocca Italia”, e integrata nel Testo Unico delle disposizioni in materia edilizia (DPR 6.6.2001 n. 380, art. 16(L) comma 4.d-ter): esso introduce, al di là degli oneri tradizionali per le urbanizzazioni, un “contributo straordinario” sul maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso (…) in misura non inferiore al 50%” (2).

Si tratta di una norma che finalmente e potenzialmente porta il paese nella schiera dei paesi avanzati e moderni, fortemente federalista e non ambigua. La critica che è stata mossa, di operare un aumento della già elevata tassazione generale o di infierire su un settore, quello edilizio, ancora toccato gravemente dalla crisi, non ha alcuna rilevanza economica: la disposizione opera su un “paradiso fiscale” moralmente illegittimo e iniquo rispetto ad altri settori produttivi e, quanto alla crisi – che è crisi di domanda e non di profittabilità del settore edilizio – essa anzi ne favorisce il superamento in quanto la tassazione viene utilizzata direttamente e totalmente per incrementare la domanda di opere pubbliche e infrastrutture, in un contesto che chiamerei win-win fra settore pubblico e privato.

Alcuni hanno poi subito rilevato che la materia urbanistica ed edilizia è soggetta alla potestà legislativa concorrente delle Regioni (che nel testo del DL viene esplicitamente menzionata) e dunque allo Stato resta solo la possibilità di esprimersi su principi fondamentali. Tuttavia appare del tutto lecito affermare che proprio di un principio generale si tratti, confermato dal fatto che la legge dice esplicitamente che le Regioni possono intervenire solo sul quantum della ripartizione p/p e sulle modalità di versamento e utilizzo del contributo(3). In mancanza di leggi regionali successive alla legge nazionale, si applica quest’ultima (comma 4bis e 5 del TU).

Dobbiamo dunque considerarci soddisfatti? Purtroppo la risposta non è positiva. E non mi riferisco solo al fatto che molte possibilità esistono ancora di correggere la norma e di ridurre in sede di valutazione i veri plusvalori; ma mi riferisco al fatto che una legge nazionale di principi sia stata, a quasi cinque anni di distanza, quasi totalmente disattesa nella pratica legislativa e attuativa. Nei primi tre anni di vigenza delle legge, essa è stata completamente ignorata dalle Regioni e dalla grandissima maggioranza dei Comuni (oltre che, ed è quasi peggio, dalla nostra “cultura” urbanistica), mentre nel successivo biennio le Regioni l’hanno per la massima parte depotenziata se non disconosciuta con provvedimenti ai limiti – e a mio avviso oltre i limiti – della legalità.

Ho recentemente avviato una raccolta delle decisioni legislative e regolamentari delle Regioni, ancora da completare e verificare, con risultati del tutto sconfortanti. Elenco qui di seguito alcuni principali risultati. Ad oggi mi sembra che le sole regioni che hanno legiferato in modo (quasi) appropriato siano la Liguria (LR 15/2017, con la percentuale del 50%), le Marche (LR 17/2015) (4) e il Piemonte con delibera di Giunta 8 febbraio 2016(5).

La Regione Toscana, con la L.R. 65/2014 aggiornata nel 2017, all’art. 184 afferma: «Con deliberazione della Giunta regionale (…) vengono definite altresì le modalità di attuazione delle disposizioni introdotte con l’articolo 16 del d.p.r. 380/2001» ma non aggiunge alcuna disposizione attuativa. I Comuni sono lasciati soli: alcuni non recepiscono la legge nazionale, altri ci provano con buona volontà definendo criteri propri, altri ancora vanno in senso contrario riducendo gli oneri attuali (Empoli). Un comportamento bizzarro e ambiguo.

La Regione Umbria (L. R. 1/2015) cita un contributo straordinario (non quello della legge nazionale), ma lo lega, al di là di ogni immaginazione, alla “adesione volontaria da parte del proprietario alla applicazione di norme premiali”.

Indubitabilmente i peggiori comportamenti sono quelli di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Il Veneto, che comunque possiede un istituto abbastanza simile come il “prelievo perequativo”, dopo aver invano impugnato la norma statale di fronte alla Consulta per violazione delle competenze regionali(6), non ha mai legiferato in materia, lasciando l’incombenza a un pugno di comuni volenterosi.

La Regione Lombardia con la LR 12/2005, aggiornata fino al 2017, non ha legiferato ma si è posta palesemente contra legem mantenendo, all’art. 103 comma 1, la dizione: «A seguito dell’entrata in vigore della presente legge cessa di avere diretta applicazione nella Regione la disciplina di dettaglio prevista: a) dagli articoli 4, 5,… 16, … del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». Una norma palesemente illegittima. E il Comune di Milano si guarda bene dal seguire, come dovuto, la legge nazionale.

La Regione Emilia-Romagna, con la nuova legge urbanistica del dicembre 2017, si rimangia una sua circolare favorevole del 2014 e all’art. 8c1a afferma: «Il contributo straordinario di cui all’art. 16 …. non trova applicazione all’interno del territorio urbanizzato …». Seguono tre pagine di incentivi, sconti sugli standard, premialità volumetriche, riduzione «fino alla completa esenzione» di contributi di costruzione, assegnazione in diritto di superficie di aree pubbliche, abolizione di limiti di densità e di altezza, .…! Il tutto mi pare illegittimo, ridicolo e irresponsabile nei confronti della finanza locale.

Trovo queste posizioni, assecondate dal silenzio della cultura, inquietanti a voler essere minimalisti. Mentre si moltiplicano le proposte di esperti e istituzioni a favore di una strategia opposta, di riduzione degli oneri per finalità di rilancio edilizio – proposte errate come ho già detto, ma anche totalmente inefficaci per la dimensione già omeopatica degli oneri attuali – si lasciano illanguidire le risorse pubbliche locali e con esse le possibilità di rilancio delle nostre città; e lo si fa disattendendo una legge nazionale e ponendosi, come amministratori, in una posizione oggettiva di procurato “danno erariale”.

Roberto Camagni
Politecnico di Milano

  1. Uno studio recente dell’Ufficio Studi della Banca d’Italia ci indica che nel periodo 1950-2012 più di 2/3 dell’aumento del valore reale delle abitazioni è rappresentato dall’aumento del prezzo dei terreni, una percentuale che addirittura sale notevolmente nelle città maggiori.
  2. “L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale (…) in relazione (…) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso. Tale maggior valore, calcolato dall’amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest’ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l’interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l’intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche.”
  3. La stessa ANCE in una nota del marzo 2016 sul “contributo straordinario” afferma che “la possibilità di poter escludere totalmente la corresponsione di tale contributo non sembrerebbe ammessa”.
  4. Fra le novità del TU sull’Edilizia cui si riferisce, la LR non nomina il contributo straordinario né gli oneri, ma all’art. 3 afferma: «Per quanto non previsto, si applica la normativa statale vigente». Strano modo di acquisire.
  5. La delibera afferma anche che «in sede negoziale potrà essere prevista, quale alternativa al versamento finanziario, la cessione di aree o immobili», prevista dalla legge nazionale. Ma è chiaro che la cessione di aree non colpisce la rendita se i volumi edificabili restano uguali!
  6. Sentenza 68/2016. Si veda anche la conferma nel merito della legge nella sentenza della Consulta 209/2017, nonché nelle sentenze del Consiglio di Stato 4545 del 2010 sul caso pionieristico di Roma e del Tar del Veneto n. 692 del 2017.


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  1. Sergio BrennaAssolutamente condivisibile la considerazione sull'inadeguateza degli oneri urbanizzativi come concepiti e determinati oggi con un'incidenza del 3-5% del valore del costruito, che dovrebbero tendere al 28-30% della Germania o al 50% del DPR 380/2001. Occorre però evitare che la quantità di costruito concesso dai Comuni venga stabilita "contrattatandola" in funzione della cronica "fame di risorse" loro o di altri Enti proprietari fondiari controllati dal pubblico, e non sulla base di criteri di ragionevolezza urbanistico/insediativa. E' quanto è avvenuto a Milano con l'area dell'ex Fiera di Milano (ora nota come Citylife) in cui l'indice edificatorio di 1,15 mq/mq (pari a 300.00 mq di slp o circa 1 Mln di mc!) è stato "contrattato" per coprire il buco di 250 Mln di€ nel bilancio di Fondazione Fiera, stimandolo ai valori di rendita fondiaria allora correnti di 800-900 € al mq commerciale realizzabile. Ciò rendeva matematicamente impossibile realizzare non solo i 44 mq/abitante di promessi nel piano urbanistico come verde e servizi di quartiere e parco territoriale (oggi sugli ex scali FS Boeri lo chiama Cintura Verde), ma nemmeno i 26,5 mq/ab. allora minimi per Legge Regionale del 1975 come verde e servizi di quartiere (sorvolo sul fatto che dal 2002 siamo l'unica regione tornata ai 18 mq/ab. del DM 1444/68, dimostrando che la Lombardia si pretende più ricca della Baviera, ma non sappia pretendersi altrettanto civilmente europea!). Infatti se ne sono potuti realizzare meno di un terzo, cioè 15 mq/ab., altrimenti gli edifici si sarebbero dovuti appendere in aria, non bastando rendere pubblica l'intera area+un altro 50% ancora mancante. Ma ancor peggio, all'asta di vendita Fondazione Fiera si vide offrire da 480 (progetto Pirelli RE/Renzo Piano) a 526 Mln di € (progetto Citylife/impianto urbano orfano di padri, ma edifici con bizzarie da archistar alla moda), cioè circa il doppio dell'atteso (ci si può spiegare come mai possa accadere considerarndo che a offrire furono non imprenditori immobiliari, ma finanziarie con una scommessa speculativa sui 15-20 anni che solo loro potevano permettersi di affrontare e in parte di perdere!). Un'amministrazione comunale avveduta avrebbe chiesto di ridefinire gli indici edificatori dimezzandoli, facendo comunque conseguire a Fondazione Fiera i 250 Mln necessari. Speranza vana di fronte alla sacra Trimurti CL Formigoni/Regione-Roth/Fondazione Fiera-Lupi/assessore comunale all'urbanistica: Fiera si tenne stretto il surplus di rendita fondiaria (fino all'ultimo Euro, scegliendo il progetto peggiore di Citylife!) e Milano il surplus di edificazione ammissibile. Ancor peggio: per lasciar edificabili aree pagate 2000 €/mq alla proprietà fondiaria di Fiera il Comune si fece indennizzare gli spazi pubblici lì irrealizzabili a 300€/mq, con cui si possono fare espropri solo in estrema periferia! Il meccanismo si è poi ripetuto con Porta Nuova/Hines-Catella e l'indice edificatorio It=1,00 mq/mq e rischia di ripetersi con gli ex scali FS e l'It=0,65 mq/mq che consente di realizzare solo la Cintura Verde o i servizi pubblici di quartiere, ma non entrambi, se non con edifici di nuovo alti più di 200 metri o molto addossati tra loro e, quindi, incombenti sul tessuto e sui servizi dei quartieri attigui. O bisogna far scendere l'edificabilità a 0,45 mq/mq (tutta di FS/Sistemi Urbani) con Cintura Verde e servizi di quartiere adeguati, o con 0,65 mq/mq occorre attribuire in perequazione una quota di edificabilità a chi farà realizzare la Cintura Verde altrove, dove i PRG la previdero in passato e oggi rischia di perdersi per decadenza dei vincoli pubblici. Giusto quindi pretendere una maggior compartecipazione del pubblico agli utili economici delle trasforrmazioni urbane, ma su un progetto di trasgformazione che abbia un'utilità pubblica pubblicamente individuata e non succube degli interessi economici privatistici!
    6 febbraio 2019 • 14:21Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaHo approvato il commento di Sergio Brenna anche se eccede molto rispetto la mia raccomandazione di brevità. Il suo intervento credo meriti molta attenzione.
      6 febbraio 2019 • 15:57
    • Roberto CamagniCaro Brenna, leggo con ritardo il tuo commento. Condivido totalmente la battaglia che da tempo conduci contro l’urbanistica delle concessioni volumetriche allegre nelle negoziazioni col privato. Tuttavia, nella pratica corrente di coprire buchi del bilancio comunale (e non di altri enti come la Fiera di Milano) con tali graziose concessioni, l’imputato non è rappresentato dagli oneri urbanistici in quanto tali, ma proprio dal loro livello irrilevante nel nostro paese. Se essi fossero in media raddoppiati (misura comunque insufficiente), basterebbe la metà delle volumetrie concesse per raggiungere l’obiettivo sulle entrate pubbliche, e se fossero portati al livello tedesco basterebbe il 15%! Il vero imputato è la sudditanza delle amministrazioni verso gli interessi immobiliari (per incapacità negoziale? mancanza di giusti “incentivi”? debolezza dell’etica pubblica?). Nel caso del “contributo straordinario”, che è legge dello stato ( e che - attenzione! - tassa al 50% i plusvalori, non il valore di mercato: non creiamo panico!), ipotizzando un plusvalore pari al 50% del valore del costruito - una percentuale raggiunta facilmente anche oggi nelle città grandi e medio-grandi - ci avvicineremmo al caso virtuoso tedesco.
      14 aprile 2019 • 08:52
    • Davide Borsala contrattazione in sè non è un male assolluto da demonizzare, ma deve esserci una equa ripartizione di responsabilità e di utilità, con adeguate programmazioni a lungo termine. Se non erro, in Francia, le società pubblico-privato che si occupano di sviluppo urbano prevedono che la quota pubblica sia sempre al 51% nella società e i piani di sviluppo prevedono continuità amministrative che superino il decennio, quindi che non sono direttamente legate agli avvicendamenti politici. non mi sembra che ci sia da inventare nulla, come per la gestione dei rifiuti, per la sanità, ecc. ecc..... basta guardare ai migliori esempi europei, ormai operativi da decenni ed eventualemnte aggiornarli. Certo se si usa l'urbanistica per rimediare ai danni della finanza creativa per operazioni pubbliche insostenibili, siamo fuori da questo quadro di riferimento per il quale bisogna anche investire in risorse umane e competenze per garantirne l'operatività.
      17 aprile 2019 • 13:00
  2. Gregorio PraderioIl tema a mio parere è più complesso, e la normativa citata non facilmente applicabile. Se posso, rimanderei a un mio precedente intervento sul tema proprio su Arcipelago (http://www.arcipelagomilano.org/archives/47967), dove avevo cercato di fare un quadro più generale della questione, richiamando anche il tema delicato della tassazione delle plusvalenze
    7 febbraio 2019 • 15:57Rispondi
  3. Cesare MocchiRicordo anche il tema dell'IMU sulle aree fabbricabili e sulla necessità di pronto aggiornamento dei valori di riferimento a seguito delle innovazioni dello strumento urbanistico (cosa che molti Comuni non fanno, in primis il Comune di Milano...)
    8 febbraio 2019 • 12:06Rispondi
  4. Cesare MocchiAggiungo anche il tema del mancato reperimento degli standard urbanistici (e quindi della loro mancata monetizzazione) nel caso di cambio d'uso da produttivo a terziario, come si sta proponendo nel PGT di Milano in corso di adozione. A parte le perplessità di tipo tecnico-disciplinare (davvero cambiare l'uso da produttivo a terziario non genera nuova domanda di servizi o maggiore carico urbanistico?), a parte la perplessità sulla scelta di abbandonare la categoria "produttiva" (che poteva invece essere declinata in forme più innovative, comprendendo la produzione di beni immateriali e di servizi alla produzione) proprio in usa fase economica di ritorno delle attività produttive più pregiate nei centri urbani, a parte tutto questo dicevo, è evidente che questo comporta una valorizzazione di beni privati a cui non corrisponde nessuna disponibilità di risorse pubbliche aggiuntive, in misura ben superiore a quella del tema "oneri". Il tema insomma va visto nel suo complesso.
    12 febbraio 2019 • 11:02Rispondi
  5. Davide BorsaE sottolinerei risorse umane e competenze che siano, per quanto possibile al di fuori dei conflitti d'interesse e che non siano direttamente subordinati al ricatto politico
    17 aprile 2019 • 13:31Rispondi
  6. Massimo ContiLeggo con un pò di stupore questo articolo. A mio modesto parere, sia di avvocato che si occupa spessisimo di edilizia che di cittadino che ha acquistato e ristrutturato una casa in campagna, gli oneri nell'edilizia (tra lavori, materiali, pratiche amministrative, vincoli, contributi, pool di tecnici e professionisti) sono invece aumentati a dismisura, tanto è vero che in molte zone si assiste ad un inesorabile abbandono (e conseguente degrado) degli immobili. E senza contare l'assurda complicazione e proliferazione legislativa sia nazionale che locale. Mi chiedo se l'autore sappia a cosa va incontro un cittadino o un'impresa che oggi voglia costruire o ristrutturare un immobile.... Forse quanto detto nell'articolo può valere per i grandi centri urbani, per le aree di maggior pregio a Milano o Roma, ma non certo per l'intero territorio.
    2 gennaio 2021 • 15:19Rispondi
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