21 giugno 2017

SINDACO, GIUNTA, CONSIGLIO E DISCONTINUITÀ

Restare invischiati nel passato


Vorrei continuare il discorso sugli scali con una premessa: qual è lo scenario democratico? Il Sindaco nel suo programma e in molte dichiarazioni ribadì e continua a ribadire il concetto di partecipazione. Ne avevamo dedotto che volesse completare il percorso iniziato da Pisapia verso una democrazia deliberativa per riavvicinare gli eletti agli elettori, per governare col consenso, superando la democrazia rappresentativa con i suoi insuccessi. Insomma, nella scia delle idee di Habermas, della Arendt ma anche di Rodotà e di molti altri, un dibattito aperto anche a Milano.

01editoriale23FBSe facciamo eccezione per il bilancio partecipativo, lodevole eccezione, nelle altre vicende e in quella fondamentale degli Scali siamo ancora alla democrazia rappresentativa accompagnata da una pantomima della partecipazione.

Senza divagare oltre veniamo agli Scali e alla preoccupazione che ci agita: che si sia imboccata una strada sbagliata e pericolosa partendo dalla giusta esigenza del che farne degli scali, tra le più grandi aree dismesse cittadine, e che rapporti avere con la proprietà ossia con FFSS.

Il primo punto mai chiarito definitivamente è la qualità del soggetto Ferrovie dello Stato italiane e della sua partecipata al 100% FS Sistemi Urbani s.r.l.: soggetto pubblico o privato? Su questo argomento si sono già versati fiumi d’inchiostro senza arrivare a una soluzione definitiva, come potrebbe essere una sentenza della Cassazione o un parere del Consiglio di Stato. In questa situazione di incertezza il Comune, anche solo per serietà nei confronti di tutti coloro che partecipano al dibattito, ma anche per levare di mezzo incertezze che comprometterebbero la futura gestione di un eventuale Accordo di Programma (AdP), deve dichiarare pubblicamente da che parte sta: se consideri FFSS pubblico o privato e la stessa dichiarazione deve essere fatta da FFSS.

Se le FFSS vengano considerate pubblico, e dunque atte a sottoscrivere un Accordo di Programma, il Comune deve pretendere che da pubblico si comporti in particolare adottando il Codice degli appalti in vigore in tutti i casi nei quali spenda denaro, affidi incarichi e consulenze – cosa che non ha sinora fatto – ma per il futuro, in particolare, quando intenderà cedere le aree che possiede, o affidi appalti per opere o servizi.

Nel caso in cui invece il Comune si trovi di fronte a un privato la conseguenza, banale, è che il privato non può sottoscrivere un AdP, tipico accordo solamente tra pubbliche amministrazioni (1). Nell’AdP i privati possono partecipare alla definizione degli accordi con funzione collaborativa o chiarificatrice ma non sono “parti” dell’accordo (2): in caso di necessaria partecipazione di parti private si integra l’AdP con accordi collaterali del genere pubblico/privato (Convenzione).

Detto questo, fortissimi dubbi restano sulla legittimità di ricorso all’AdP nel caso degli scali milanesi. Requisiti essenziali perché si possa ricorrere a questo strumento sono: dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza. Quanto alla dichiarazione di pubblica utilità, difficile dire che non vi possa essere, ma l’indifferibilità e urgenza son tutte da dimostrare: una vicenda che si trascina da anni e che diventa urgente solo quando le FFSS hanno bisogno di valorizzare i loro asset patrimoniali, quelli di un partner probabilmente esterno all’AdP.

Quanto al ruolo di FFSS nel documento di presentazione che il Comune fa sul suo sito, dichiara come uno dei due obbiettivi da perseguirsi sia il “potenziamento e riqualificazione del sistema ferroviario milanese e del sistema della mobilità”: il tutto a carico di FFSS per un controvalore di 50 milioni.

Primo: nel campo dei lavori ferroviari l’unità di conto sono i miliardi, 50 milioni sono cipria. Secondo: il potenziamento del nodo di Milano va soprattutto nell’interesse di FFSS perché il nodo di Milano è un importante generatore di reddito per passeggeri e merci. Se lo faccia senza chiedere nulla alla comunità milanese che è già una sua risorsa.

Veniamo agli aspetti urbanistici.

La passione degli assessori per l’AdP è essenzialmente legata al fatto che va a costituire direttamente variante urbanistica senza passare attraverso le varianti o gli aggiornamenti al Piano di Governo del Territorio che comporta passaggi di consultazione (nota bene non di partecipazione) e la presentazione di osservazioni da controdedurre, non solo passaggio faticoso ma che apre il varco alla pretestuosa presentazione di migliaia di osservazioni.

L’attuale ipotesi di AdP, tra tavoli e dibattiti, va a congelare la situazione per i prossimi venti anni, incurante della velocità del cambiamento e della necessità del Comune di dotarsi di una “riserva” di aree urbanisticamente non classificate a fronte di futuri bisogni. Questo congelamento è particolarmente grave perché se una delle parti cha ha sottoscritto l’AdP si trova nella necessità di variare uno qualunque dei suoi aspetti, ha bisogno del consenso degli altri partners che possono chieder qualcosa in cambio. Vista la mano “leggera” di FFSS non vorrei trovarmi in quella situazione.

Due domande ai consiglieri comunali cui spetta l’ultima parola:

* siete proprio sicuri di non voler avviare questa volta un processo di democrazia deliberativa vera per restare ancorati alla democrazia rappresentativa che allontana gli elettori dagli eletti?

* siete sicuri di volervi assumere la responsabilità di congelare per vent’anni i destini di quelle aree o di far correre al Comune il rischio di una continua trattativa con i partner dell’AdP?

Se dipendesse da me, chiuderei la partita andando a concludere una semplice convenzione con FFSS che preveda la cessione al Comune delle aree non funzionali al servizio ferroviario stabilendone un prezzo, (sempre che sia dovuto) in moneta corrente da pagarsi ovviamente in rate distribuite nel tempo (come per altro sarebbero i ricavi di FFSS allo stato attuale dall’AdP) o in metri cubi di edificabilità libera, con qualche problema di tempi e di collocazione da risolvere.

Se non fosse possibile imboccare questa via, in subordine, come dicono gli avvocati rivolgendosi alla Corte, chiederei di riconsiderare il testo dell’AdP, per asciugarlo, rendere meno aleatorie alcune condizioni, definirne meglio i ruoli, togliere molti dei contenuti meramente descrittivi o “ottativi”, stabilire quali e quante aree verranno cedute al Comune e quando: tutto questo per evitare controversie su questioni di adempimento.

Da ultimo nominare sin da subito un organo di vigilanza sull’attuazione dell’AdP (art. 34 cap. 7 D.lg. n. 267/2000), sui tempi di esecuzione e sulla sua eventuale decadenza, che abbia le necessarie caratteristiche d’indipendenza e imparzialità.

Luca Beltrami Gadola

(1) Art. 27 legge 142/90 e art.15 legge 241/90

(2) Sentenza TAR Lazio, I, 20 gennaio 1995 n. 62

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