4 marzo 2015

ANCORA SUI PREZZI DELLE CASE, PROBLEMA SOCIALE PRIMARIO


Una premessa: le tre repliche che ho avuto (Gregorio Praderio, Sergio Brenna e Giorgio Origlia) provengono da persone che credo ne sappiano più di me, e li ringrazio. Io sono un economista dei trasporti che si è avventurato, con qualche intento provocatorio, in un altro settore. Credo però che ci accomunino due cose importanti: la preoccupazione per la gravità sociale del problema, e l’osservazione che nonostante il vistoso eccesso di offerta, i prezzi non scendano.

06ponti09FBProvo a riassumere quel che ho capito delle loro argomentazioni, sperando di non distorcerle per brevità: Gregorio Praderio osserva che il settore è già piuttosto liberalizzato, che le case anche vuote sono “collaterals” del credito, e che c’è una preferenza per case in aree nuove e non compromesse. Raccomanda interventi per abbassare i prezzi dell’usato, delle aree già edificate ecc.

Sergio Brenna è più radicale: non vede soluzioni che in diritti edificatori non coincidenti con la proprietà dei terreni, e con eventuali meccanismi di esproprio a prezzi agricoli. Una nuova “legge Sullo” adattata a un contesto cambiato. Auspica anche un intervento pubblico “più keynesiano”. Infine Giorgio Origlia vede il problema essenzialmente nel “mismatching” tra domanda abitativa e offerta: sono vuoti sul mercato moltissimi uffici, capannoni e negozi, dei quali non si può facilmente mutare la destinazione d’uso a causa di pastoie burocratiche irragionevoli. Sottolinea poi che il suolo non urbanizzato vada difeso soprattutto per ragioni idrogeologiche (impermeabilizzazione).

Provo a fare dei ragionamenti. La posizione di Praderio sul ruolo delle banche mi sembra del tutto condivisibile, era una lacuna del mio pezzo, ma mi chiedo in pratica quanto pesi sui prezzi d’attesa “eterni”, problema tra l’altro presente da moltissimi anni. La preferenza per il nuovo non compromesso invece non mi convince: nell’usato, e nelle aree compromesse ecc. i prezzi dovrebbero crollare, e invece non mi sembra affatto che avvenga. Purtroppo però per ignoranza non ho capito bene le raccomandazioni tecniche finali. I problemi idrogeologici infine mi sembrano enormemente maggiori in aree montane soggette a erosione o cementificazione degli alvei, che non quelli che si generano in pianura (altrimenti non ci sarebbero città grandi come tutta la Lombardia …).

La posizione di Brenna mi sembra ideologicamente coerente, ma di problematica attuazione, e non tenta spiegazioni del fenomeno della mancata discesa dei prezzi. Inoltre devo osservare che Keynes era uno strenuo difensore della proprietà privata, e vedeva la spesa pubblica anticiclica solo in termini di immissione indifferenziata di liquidità nell’economia. La posizione di Origlia mi sembra perfettamente condivisibile: auspica un aumento dell’offerta residenziale via una liberalizzazione delle destinazioni d’uso del costruito. La trovo migliore del mio rozzo liberismo, ma non in contrasto di fondo, anzi: meglio iniziare con questa liberalizzazione, che con quella dell’edificabilità “green fields“. Se i prezzi non calano ancora, vedremo.

Un altro aspetto forse da tener presente è connesso alla tragica frammentazione del mercato del lavoro: chi ha un lavoro fisso può comprarsi una casa anche se relativamente costosa, e in questo modo incentiva indirettamente i prezzi d’attesa, chi non ce l’ha (e questi sono in numero rapidamente crescente, giovani soprattutto) non solo non accede a quel mercato, ma nemmeno a quello dell’affitto, data la debolissima tutela italiana dalle insolvenze degli inquilini: i proprietari di case vuote non affittano a persone con redditi bassi o incerti, e a questo fine mi era parsa eccellente la proposta di Stefano Boeri quando era candidato a sindaco, di costituire un’agenzia pubblica di mediazione e garanzia tra proprietari e potenziali inquilini.

Nel complesso tuttavia mi sembra che le spiegazioni del fenomeno dei prezzi d’attesa non siano del tutto soddisfacenti, e ovviamente tra queste ci metto la mia. Si può solo concludere che il tema richiede ancora un grande sforzo di comprensione, anche per poi poter proporre soluzioni efficaci. Mi permetto di credere, dal numero delle risposte, che la mia provocazione sia stata utile per il dibattito. Ma anche sull’agricoltura sarebbe urgente un dibattito senza retoriche che troppo ricordano la “battaglia del grano”….Insomma, c’è molto da lavorare.

Marco Ponti



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