5 marzo 2024

RICICLO EDILE: COME? DOVE?

Ritrovare la "parsimonia" nell'edilizia


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Partiamo dalla fine. Dalle leggi che, sia a livello Europeo sia nazionale, hanno normato tutte le azioni per contrastare l’enorme fabbisogno, e spreco, energetico del settore delle costruzioni sia nella fase di costruzione sia in quella di demolizione. Leggi che però non sembra vogliano incidere, e modificare, le consuetudini di un mercato edilizio e immobiliare al fine di mitigarne, alla radice, gli effetti energivori.

Senza entrare nei dettagli, che potete approfondire qui, il 50% delle materie estratte è destinato al settore delle costruzioni mentre un terzo dei rifiuti prodotti nell’Unione Europea deriva dal settore edilizio. Il tutto senza contare l’enorme consumo energetico necessario a tutto il ciclo produttivo del settore.

In Italia, dove i sistemi costruttivi sono ancorati alla tradizione del “mattone” e del cemento armato, e alla convinzione che l’edilizia, unico elemento di sicuro investimento, debba durare in eterno, la maggior parte dei rifiuti edili è rappresentato dagli inerti quali sabbia, calcinacci, macerie, conglomerati bituminosi, cemento, mattoni, mattonelle, ceramiche, intonaci. Tutti materiali che, secondo le norme, devono essere riciclati e reimmessi nel ciclo produttivo a costo di un notevole dispendio energetico. Una circolarità che interessa, forse e in minima parte, solo l’aspetto estrattivo.

Fondamentale quindi sarebbe partire dall’inizio, dalla necessità di costruire con prodotti che siano essi stessi riciclabili senza richiedere il dispendio di energia.

Questa riciclabilità dovrebbe interessare: 1) tutto l’edificio, 2) gli elementi che lo compongono.
Entrambi questi propositi devono essere perseguiti già nella fase progettuale. Nel primo caso pensando a immobili che possano assolvere nel tempo a funzioni diverse, con semplici operazioni di adattabilità, che trasformino, ad esempio, ciò che era terziario in residenziale, o viceversa.

Nel secondo caso invece è necessario lavorare sui sistemi costruttivi, privilegiando quelli “a secco”, caratterizzati dall’assemblaggio di elementi che, facilmente smontabili, possano essere riaggregati in maniera diversa. Un’operazione che, grazie alla creatività di alcuni progettisti, ha interessato con funzione diversa alcuni manufatti che però non erano stati concepiti con questa seconda finalità. Una seconda, terza, quarta finalità che invece dovrebbe essere già presente quando nasce la prima opera.

Potete farvi un’idea di quali risultati possano essere raggiunti con prodotti non modificati visitando  la mostra “Miniere Urbane” che abbiamo allestito alcuni anni fa per l’associazione Giacimenti Urbani. https://www.bonessa.it/fa-la-cosa-giusta/

Alla politica dobbiamo però chiedere che si adoperi per premiare e incentivare questo processo progettuale non solo a posteriore, con il riutilizzo di quanto già realizzato (o demolito) ma incidendo innanzitutto anche sui processi produttivi e sui sistemi costruttivi. Un’azione che però manca sempre, facendo arrivare sempre l’azione legislativa alla fine del processo. Con una battuta: quando i buoi sono già usciti dal recinto.

In tale prospettiva si inserisce anche il C40 Clean Construction Declaration, a cui, tra le altre città, ha aderito anche Milano, sottoscrivendo un impegno complesso e importante.

Otto punti assolutamente condivisibili a cui manca però un collegamento con una realtà quotidiana, fatta di piccole ma costanti azioni, la cui sommatoria può generare un cambiamento.
Un esempio per tutti. Nel momento in cui si intende incentivare il riciclo dei materiali edili, che non sono solo quelli inerti distrutti dalla demolizione di un fabbricato, ma sono anche porte, pavimenti, arredi, complementi che vengono smontati e non rotti, dove è possibile stivarli per un loro successivo riutilizzo?

Oggi siamo costretti a portarli nelle discariche comunali gestite da Amsa che li tratta come rifiuti di cui è impossibile il riutilizzo. Ma visto che Amsa è un’azienda partecipata, se non sbaglio, al 100%, da due municipalità, perché non realizzare dei centri di recupero del materiale edile dove i cittadini possano portare, ma anche ritirare quanto è ancora in buono stato e riutilizzabile? Un’operazione in netto contrasto con le volontà del mercato ma di sicuro effetto climatico. Un’azione a costo ridotto ma che indirizzerebbe la cittadinanza, per interesse, verso comportamenti virtuosi.

In tal senso avevamo promosso, come studio di progettazione all’interno di uno dei bandi di Reinventing Cities, l’utilizzo delle palazzine liberty di Viale Molise 68, quelle dell’ex Ortomercato, come cittadella del Riuso e del Riciclo, destinando molto spazio al settore edile. Un progetto che purtroppo non venne neanche preso in considerazione. Un progetto per delle palazzine che, ancora oggi, non hanno trovato una loro nuova destinazione, avendo rinunciato, anche i partecipanti selezionati, tutti al loro riutilizzo.

Andrea Bonessa



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