5 dicembre 2023

CARRIERA ALIAS E DIRITTO AL BENESSERE

Tutelare il proprio "io" è ancora tutta una strada in salita


Copia di Copia di rification (2)

E’ cronaca dello scorso anno scolastico la vicenda di un giovane studente liceale, che consegna il compito in classe con il suo nome di elezione, diverso ovviamente da quello anagrafico, e il docente lo rifiuta, incurante del Piano personalizzato di studio per le persone in transizione e del regolamento della carriera alias, adottati dall’istituto scolastico in cui insegna.

In questi giorni la cronaca lombarda documenta che in aula in Regione è stata messa ai voti e non è riuscita a raggiungere il quorum la mozione contro le carriere alias e la creazione di spazi “gender neutral”, dopo un acceso dibattito su un testo che ha trovato contrarie non solo l’opposizione – che l’ha definita una “mozione transfobica senza precedenti” -, ma anche parte della maggioranza[1].

La procedura della carriera alias intende tutelare i diritti dei ragazzi e delle ragazze in transizione, offrendo loro la possibilità di sostituire il nome anagrafico con quello adottato, fino all’ufficiale rettifica anagrafica.

Si tratta al momento di un servizio interno e limitato solo a alcune università e a poche scuole secondarie superiori (29 in Lombardia),  che –    in assenza di linee guida ministeriali – hanno inteso tutelare l’ambiente formativo per chi ne fa richiesta, offrendo garanzie di rispetto, dignità e privacy e evitando il misgendering, ovvero l’uso di termini che fanno riferimento al sesso biologico e non all’identità di genere, in cui l’individuo si riconosce.

Nella consapevolezza che non tutti gli studenti rientrano nel costrutto di genere binario, in queste realtà  professori e compagni utilizzano il nome di elezione al momento dell’appello, sul registro elettronico della classe, nella modulistica ufficiale dell’istituto, evitando così il rischio di creare situazioni di imbarazzo, di essere offensivi e di avere un impatto negativo sull’autostima e sulla salute mentale.

Promuovere un ambiente inclusivo significa fare in modo che nessuno si senta in qualche modo costretto o spinto a modificare qualunque propria attitudine culturale o fisica al fine di sentirsi “adatto”.

Il rispetto verso una persona parte dal nome e, poi, dal pronome; per questo la scelta di usare quello prescelto, e non quello di nascita, costituisce un segno di rispetto e in questo modo risulta attenuato il disagio per la persona transgender, posta costantemente di fronte all’incongruenza tra nome e genere nello spazio pubblico e nei luoghi di socialità.

In un’intervista apprendiamo dalle parole di uno studente che cosa significherebbe se la sua università non prevedesse più la carriera alias: “Io avrei rinunciato anche solo a presentarmi in un’aula di università sentendomi chiamare con un nome che non è il mio. È vero, è sui miei documenti, ma non è il mio nome. (…) Le carriere alias salvano letteralmente la vita. La carriera alias ha salvato la vita anche a me. Io non mi sarei mai iscritto all’università se non avessi avuto la possibilità di dimostrare quello che veramente sono”[2].

Un tema, quello dell’identità di genere,  che ha molto a che vedere con il diritto a essere se stessi e con il benessere e l’equilibrio psicofisico.

Come recita una sentenza della Corte Costituzionale, “il diritto all’identità di genere è elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona”[3].

Pratiche semplici possono facilitare la vita quotidiana, per esempio una X su passaporti e certificati, che renda possibile la dichiarazione di un’identità non binaria, la possibilità di frequentare servizi igienici, spogliatoi e squadre sportive corrispondenti al genere in cui ci si identifica e, come già detto, la previsione di una carriera alias nel regolamento di Atenei e scuole superiori.

Il genere percepito è una questione che esiste da sempre, ma che è stata a lungo considerata un tabù e ancora oggi acquista rilevanza spesso soltanto in relazione a casi di cronaca che fanno scalpore o a atti di bullismo e violenza che destano l’attenzione di un pubblico vasto.

Siamo di fronte a un argomento di interesse trasversale per il mondo dell’educazione, del lavoro, della medicina e dello sport, che dovrebbe essere affrontato con consapevolezza scientifica e con atteggiamento laico, uscendo finalmente da uno schema binario, superando stereotipi culturali e liberandosi di dogmi fondati su interesse, pregiudizio e paura. La discriminazione è sempre dovuta, infatti, a mancanza di conoscenza. Per superare rigidità e pregiudizi possiamo e dobbiamo pertanto fare appello alla scienza, alla ricerca scientifica come strumento per migliorare la qualità stessa della vita.

Attualmente in Europa sono 11 gli Stati che prevedono tutele per le discriminazioni anche per identità di genere, 20 se si considera il perimetro del Consiglio d’Europa. In questi elenchi ancora non figura l’Italia.

In Italia la strada da percorrere è ancora lunga e in salita. L’ISS insieme all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha creato il portale Infotrans[4], dedicato al benessere e alla salute delle persone transgender, che promuove campagne di comunicazione e sensibilizzazione, mette a disposizione dei cittadini informazioni sanitarie e giuridiche, oltre a una mappa dei servizi, e realizza corsi di formazione.  La leva della formazione può consentire di fare i necessari passi avanti nel campo dei diritti civili e a favore della difesa e dell’empowerment di quelle che definiamo minoranze: proprio la conoscenza della condizione transgender rappresenta infatti il necessario passaggio per infrangere l’invisibilità che spesso la circonda e per contrastare stereotipi e pregiudizi[5].

Per entrare più a fondo nel tema offro due suggerimenti di lettura:  un saggio dell’avvocata e attivista Cathy La Torre, che si batte per i diritti non ancora riconosciuti e considerati di serie B, ma che non possono più essere rimandati e un romanzo di Silvia Ferreri, in scena anche a teatro, che narra attraverso il monologo di una madre il dramma di un figlio, che abita un corpo femminile che sente alieno e decide di sottoporsi a un intervento di transizione[6]. Pagine intense che ci introducono in modo complementare nella complessità di una questione ancora troppo condizionata da sensi di colpa, paure e pregiudizi.

Rita Bramante

[1] C. BALDI, “Al Pirellone il dibattito sui diritti”, in “Corriere della sera”, 6 settembre 2023; “Carriere alias a scuola. Centrodestra spaccato. Bocciata la mozione che voleva cancellarle”, in “Corriere della sera”, 11 ottobre 2023

[2] S. CHIA,” Lascerei l’università se cancellassero il mio nome”, in “Corriere della sera”, 11 ottobre 2023

[3] Sentenza n. 221 del 2015

[4] https://www.infotrans.it/

[5] C. LA TORRE, Ci sono cose più importanti. I diritti che non possono più essere rimandati, Mondadori, 2022.

[6]C. LA TORRE, Ci sono cose più importanti. I diritti che non possono più essere rimandati, Mondadori, 2022.

  1. FERRERI, La madre di Eva, Neo Edizioni, 2017. La riduzione teatrale dell’omonimo libro è di e con Stefania Rocca.


Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.



Ultimi commenti