7 novembre 2023

VENTI DI GUERRA

Oltre l'amministrazione delle cose, serve la politica


Copia di Copia di Copia di rification (6)

Il cielo annuncia tempesta.

Soffiano forte i venti di guerra da molte parti del mondo, sempre più vicine a noi però. La qualità profetica delle parole di Papa Francesco trova conferme che non credevamo possibili, non volevamo capire e neppure sentire.

La “terza guerra mondiale a pezzi”, presa la rincorsa dai mille conflitti “locali”, sembra precipitare in una condensa prossima a coinvolgere le grandi potenze in una prova di forza pericolosissima, inattesa fino a pochi mesi fa. Come la tempesta d’acqua di fine luglio, anche questa di ferro e di fuoco scuote a fondo la presunzione di essere al riparo dai pericoli globali che attraversano il mondo.

Soffiano forte i venti, scompigliano agende e coscienze, mettono allo scoperto nervi e questioni irrisolte e segnalano con chiarezza la distanza, dimenticata da tempo anche a sinistra, tra amministrazione delle cose e politica. “Amministrazione delle cose”, tecnica di gestione che si autodichiara come l’unica attuabile ben dentro le compatibilità (cosiddette) di un quadro di riferimento se disent al disopra delle parti, “apolitico”.

“Politica”, riconoscimento e messa a nudo della “parzialità” di qualsiasi quadro di riferimento, e per questo risorsa chiave per leggere la natura dei fenomeni di crisi e conflitto, prendendo parte attiva nella ricerca di soluzioni. Europa, Italia e pure Milano, quietamente adagiate all’ombra dell’amministrazione delle cose, erigono muri più o meno alti, più o meno presidiati, più o meno feroci, dietro cui cercare una tranquillità tanto illusoria quanto impossibile, negandosi al reale (persone e cose) vivente oltre quei muri.

Illanguiditi, imbolsiti, diremmo quasi rincretiniti, attorno a questioni che nel ristretto stagno milanese ci paiono di grande importanza, fatichiamo a comprendere la loro strettissima relazione con le dinamiche mondiali. E pretendiamo, povera “gated community”, di prescindere, di isolarci, e di essere s’intende “i primi della classe”.

Inutilmente: fenomeni globali non si governano con risorse e politiche locali.

Gestire l’immigrazione come fosse solo questione di “sentimento di accoglienza” o di “cannoni contro i barchini” è agli effetti pratici (non etici) del tutto indifferente: mentre ne salviamo o lasciamo morire alcune migliaia, oltre mare centinaia di milioni di altre, uomini e donne, vivono una realtà talmente disperata (irresponsabile, Piantedosi dixit…) da giocarsi la vita su bagnarole destinate ad affondare prima di essere avvistate o di morire di sete e stenti nel deserto o peggio di non evadere più dai campi di concentramento libici o tunisini. Se il Piano Mattei è una povera fola, una nuova politica per l’Africa è un passo obbligato, strategicamente non rimandabile per tutti.

Ma per immaginare nuovi scenari, servono Europa, sinistra e politica.

Inutile in realtà: che senso ha il limite di 30 km per la migliore qualità del vivere in città, se ogni giorno Milano è venduta sul mercato turistico a masse sempre più incontrollabili di “gitanti” in volo da ogni parte del mondo: il saldo tra “guadagno privato” di alcune categorie nostrane ed il “deficit pubblico ambientale” è insostenibile, localmente e globalmente. Intanto, la Giunta Sala prosegue imperterrita ed il PD tace, neppure consapevole.

Siamo parte attiva della crisi, anche se ci nascondiamo dietro al muro, narcotizzando la coscienza con qualche buon sentimento e qualche pannicello caldo.

Eppure si sa (commedia del sapere fingendo di non sapere), la genesi più profonda dei conflitti nasce dall”iniqua distribuzione della ricchezza e del potere (a pochi, in Occidente) e dei danni (a molti, nel Sud) generati da un modello socio economico insostenibile. Il mondo esplode localmente per l’intreccio devastante tra questioni antiche, fanatismi religiosi, paure dell’altro da sé, e interessi globali e di potenza. Il mondo infine esplode per la drammatica distanza tra processi planetari e povertà degli strumenti di governo internazionale: crisi sistemica dove un’istituzione (ONU), ritagliata sul profilo delle potenze vincitrici del ’45, è oramai geriatrizzata, inetta, superata dai fatti, dai poteri reali, dalle risorse, che la nuova geografia internazionale impone.

Si aprano gli occhi.

Il conflitto ucraino – russo ha innescato linee di faglia e dinamiche ben lontane ormai dalla rappresentazione di comodo offerta dalla pubblicistica nazionale ed internazionale: Russia condannata, disprezzata, ed isolata da tutto il mondo. Certamente, la Russia paga nel rapporto con l’Occidente il prezzo della sua brutale aggressione, ma quanto al mondo, beh è un’altra storia, se raccoglie così larga messe di vicinanze crescenti, pur inquietanti. E’ agevole dipingere il nascente sistema di alleanze come una sorta di “impero del male”, composto com’è da dittature politiche (Cina), teocrazie (Iran), autocrazie (Corea del Nord), ma come spiegare in questa chiave la vicinanza di Brasile (Lula, icona della sinistra mondiale) e Sudafrica (erede di Mandela) o il silenzio dell’India, se non con la necessità esistenziale per queste nazioni di trovare un’alternativa ad un sistema di potere (l’Occidente) che non li soddisfa. E se Russia e Cina si pongono alla guida di questo malessere globale, un problema grave esiste.

Non c’è muro che lo possa nascondere e neppure che ci possa proteggere.

La crisi israelo–palestinese infine ha impresso una pericolosissima accelerazione al sentimento “antioccidentale”. Nel momento in cui Putin ha chiamato Hamas a Mosca, con questo solo gesto si è posto in sintonia con le masse arabe e musulmane di mezzo pianeta. La saldatura ancora potenziale, ma in atto, tra larga parte del mondo arabo – mussulmano ed il sistema di alleanze che fa perno sulla Cina come ente egemone è un rischio grave. Gli USA, l’Occidente, in realtà la stessa Israele, possono permetterselo? E se no, come, con quale iniziativa politica? Qui è il nodo vero, e se il Vaticano si propone come mediatore etico, la questione, di nuovo, è politica: verso quale assetto andrebbe un accordo che per molti richiede di chiamare al tavolo tutte le potenze globali e regionali.

In tutto questo, che fa l’Europa e cosa la Sinistra? Divise entrambe tra antiche simpatie pro Palestina e nuove preoccupazioni per il risorgente, inaccettabile ed orrendo antisemitismo, più che altro assistono al gioco di altri. Fanno più amministrazione che politica. Eppure. se è vero che le identità socio politiche maturano nel magma delle grandi vicende collettive, oggi siamo forse di fronte ad un passaggio storico dove la sinistra è sfidata a ritrovare la sua anima. Oltre il pallido sentire, oltre i confini della ZTL, oltre il quieto amministrare, oltre la neutralità obbligata della tecnica, la sinistra può reinventarsi come sistema di valori, come forza che va oltre gli steccati ereditati dal novecento proponendo una nuova visione internazionalista, sociale ed ambientalista. Sventolando la bandiera dell’eguaglianza e della salvezza del pianeta con quella.  della libertà e dei diritti, se si vogliono trovare orecchie attente negli altri mondi.

In una parola “socialista”, nel senso più antico, proprio ed esatto del termine, di chi vede nel legame sociale, oggi declinabile su scala globale, la condizione essenziale, questa sì obbligata, per lo sviluppo della persona e della società tutta, e non il laccio, il vincolo, la remora, che impedisce al soggetto (persona, gruppo, stato…) di esprimere la sua volontà di potenza.

Giuseppe Ucciero



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