18 aprile 2023

POCHI IDEALI, SCARSA SPIRITUALITÀ, 25 APRILE: NON TUTTO È PERDUTO

La Resistenza manipolata


 Copia di rification (6)

Ho davanti a me il 25 aprile 2023, il primo, dopo 78 anni che si celebra con la destra al governo, come fosse un grande affresco, di quelli che colorano intere pareti di antiche chiese toscane, pieni di diavoli, lotte, mostri, corpi deformi, spade, cavalli, scheletri, cartigli da Giudizi Universali, squarci di luce, nubi nere, cieli attraversati da violenti chiaro-scuri. M’interrogo sull’impatto d’un tale immaginario in un Paese, il nostro, in un passaggio epocale in cui l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ha distrutto l’ultimo residuo di credibilità del diritto internazionale; la fine delle ideologie ha sotterrato anche gli ideali; la violazione dei diritti umani è tragica costante in ogni dove; i poveri crescono a ritmi esponenziali; clima e ambiente rendono la terra sempre meno ospitale; privo di figure autorevoli a livello mondiale, salvo papa Francesco, isolato da interessi, egoismi individuali e collettivi, pochi ideali, scarsa voglia di verità, deficit di spiritualità.

Il 25 aprile è la Festa della Liberazione dal nazifascismo, anche se invece del CLN che sfila in piazza Duomo con Ferruccio Parri in testa ora irrompe da destra il Presidente del Senato che non rinuncia a tenere in casa il busto di Mussolini e cerca di riscrivere la storia di via Rasella, come del resto giorni prima aveva fatto la Premier con i martiri delle Fosse Ardeatine.

Il 25 aprile è la Festa della Liberazione da discriminazioni e odi razziali anche se invece di veder un corteo ideale in cui si tengono per mano Liliana Segre, don Ciotti, don Puglisi, Danilo Dolci, Rocco Scotellaro, don Peppino Diana, i tg invadono lo sfondo della scena con l’ultima pensata del Governo: lo stato d’emergenza per l’immigrazione; nello specifico azzera la protezione speciale. Con una regressione ai decreti del governo giallo-verde. Siriani, afghani, curdi, palestinesi, iracheni, subsahariani sono le Ombre che agitano i sonni di Salvini e vengono usati dalla Lega per contendere a FdI la leadership della destra. Una competizione tra alleati invidiosi e rivali. Un po’ come accadde a Mussolini (l’esemplificazione è naturale visto il ripetersi d’un fenomeno di proiezione su vittime designate a pagare colpe non loro ma orrori di chi ingiustamente li perseguita). Il duce con le leggi razziali volle mostrare a Hitler d’esser lui il più antisemita (qualcuno ricordi a mamma Giorgia, italiana e cristiana, che autore della “macchia indelebile” fu il capo del fascismo: non piovvero dal cielo; lui marchiò a fuoco storia e coscienza italiane; lui, con la sudditanza interessata del re, fu la vergogna).

Il 25 aprile è la Festa della Liberazione perché il giubilo di gran parte di un popolo (operai, ceto medio, borghesia, qualche aristocratico, molti preti e suore) cantò il ritrovamento della dignità, dell’umano contro il disumano, della democrazia, d’un futuro più giusto, libero, condiviso. Mentre oggi Enzo Risso, attento ricercatore di tendenze e stili di vita avverte in Oltre il rancore (Rubbettino) che gli elementi caratterizzanti la middle class italiana possono essere descritti in un decalogo: una minor presa del senso del dovere; una maggiore valenza degli aspetti relazionali quali amicizia e equilibrio; una certa attenzione alla cultura; la ricerca di una vita dinamica e vitale; una maggiore valenza del tema sicurezza; il maggior peso del concetto di forza; una maggiore pulsione verso l’essere una persona aperta; una minore propensione alla leggerezza fine a se stessa; una non particolare propensione alla spiritualità e al credo; la ricerca del bello, dell’eleganza e dell’ammirazione. Non credo che il protagonista del decalogo trovi posto nel 25 aprile; mi sembra homo singularis et solus; poco uomo «animale politico» (il politikòn zôon della classicità, ma anche della Liberazione), in quanto tale portato (almeno dovrebbe) a unirsi ai suoi simili per formare delle comunità, dotato di innata socialità e quindi dedito al ritrovarsi con gli altri uomini alla ricerca di terreni su cui confrontarsi.

Conoscendo l’esperienza di Risso mi preoccupa quel decalogo. Comincio a capire i violenti contrasti di colori e figure del mio affresco. Mi domando come si possa immaginare che portino rispetto a 25 aprile e Liberazione dal nazifascismo gli esponenti d’una destra, che, oltre alle sue radici culturali e ai dividendi incassati in anni di opposizione grazie anche a errori, incoerenze, sbandate del centro sinistra, oggi possono far conto su un Paese la cui una middle class ha obiettivi ispirati al soddisfacimento di bisogni e interessi individuali, poco politici. Nota Risso che tale classe media ha ampiamente abbandonato la volontà di realizzare “nuovi futuri sociali”, ma è concentrata sul dare valore alle cose che “costituiscono il tutto dell’esistenza”, che generano senso narrativo per sentirsi su un gradino nella scala sociale più alto o particolare e differente. Gestire il tempo, dimostrare la distanza dagli altri, mangiare in modo ricercato, teatralizzare il proprio sapere e quello dei figli, mostrare il peso e il valore delle proprie relazioni sono i tratti complessivi del copione dell’esistenza che piace mettere in scena a una gran parte del ceto medio.

«Alla vigilia del 25 aprile lo dico a questo Governo non permetteremo a nessuno di riscrivere la storia antifascista di questo Paese». Lo ha detto Elly Schlein.

Ecco, non tutto è perduto, il 25 aprile può essere celebrato con rinnovato vigore proprio perché la destra è al governo se ribaltiamo l’affermazione della segretaria del Pd. Si bloccano La Russa, Meloni, Salvini nel riscrivere la storia non solo contestando ignoranza, malignità, bugie. La destra vuole questo tipo di competizione; Meloni, alla romana, è bravissima a buttarla in caciara. La sfida è cambiar noi di dentro e attualizzare lo spirito del 25 aprile proponendo un’agenda di indirizzi ideali, scelte politiche, gesti quotidiani coerenti. Un salto di qualità in termini di contenuti, stili, metodi. Un rompere le simmetrie del botta e risposta che a destra piace. E a mo’ d’esempio riprendo il riferimento a Francesco come autorità morale (Renzo Risso su Il Domani documenta che è col Papa il 64 per cento degli italiani). Nei 10 anni di pontificato Bergoglio ha indicato alcune sfide molto laiche a democrazia e rappresentanza che la politica farebbe bene a riprendere e poi declinare ovviamente in termini propri. Ne cito quattro come esempi.

Prima. «Quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri, e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i poveri, mi sembra tante volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema. […] Così la democrazia si atrofizza, perde rappresentatività, va disincarnandosi, perché lascia fuori il popolo nella costruzione del suo destino». […] «Il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli». Di mio aggiungo l’ammonimento a noi liceali di don Giovanni Barbareschi, prete “ribelle per amore”, eroe della Resistenza a proposito del 25 aprile: «Ricordate che non esistono liberatori, ma popoli che si liberano».

Secondo riferimento a Francesco: la denuncia della «tendenza sempre più accentuata ad esaltare l’individuo»; al «primato dell’individuo e dei suoi diritti» rispetto «alla dimensione che vede l’uomo come un essere in relazione»; alla autoreferenzialità dell’individuo che lo porta ad essere «al di sopra della stessa realtà». Si confrontino queste valutazioni con ciò che si è riportato sopra sulla middle class. La sfida politica è soprattutto culturale.

Terzo accenno. Ai giovani il Papa ha detto: «Voi avete la speranza nelle vostre mani, oggi. Ma vi domando: in questo tempo di crisi, voi avere radici? [..] Ognuno risponda nel suo cuore: quali sono le mie radici? […] Sono un giovane con radici, o sono un giovane sradicato?». È evidente il nesso tra critica culturale, antropologica, di costume e formazione con le implicazioni politiche forti. V’è «una necessità urgente di rivitalizzare le nostre democrazie». […] È impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione delle grandi maggioranze; e questo protagonismo trascende i procedimenti logici della democrazia formale».

Quarto passaggio: «Senti la vita della tua gente che ha bisogno, ascolta il tuo popolo […] Ascoltare il tuo popolo; l’unico populismo cristiano: sentire e servire il popolo […] senza gridare, accusare, suscitare contese». Linee di orientamento etico premessa di un agire politico. In Fratelli tutti, l’enciclica, che con Laudato sì segna i due grandi pilastri d’un pontificato preoccupato di una “miglior politica”. Francesco scrive: «Servono nuove forme di partecipazione […] che animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune». Nella sua Buenos Aires, prima di diventare Papa, Bergoglio diceva: «Governare è un’arte, un’arte che si può imparare; ed è anche una scienza, che si può studiare». Da uomo di Dio aggiungeva che è «un mistero». Espressione forte completata dall’indicazione per chi fa politica di coinvolgere tutto sé stesso. «Il governare autentico, e la fonte della sua autorità – disse Bergoglio nel 2010 sempre a Buenos Aires – è un’esperienza fortemente esistenziale. Ogni governante […] deve essere anzitutto un testimone». Si rappresenta la propria gente se si ha «l’attitudine a sapere progressivamente interpretare il popolo», se si ha «la capacità di assumere la sfida di esprimerne le attese, le sofferenze, la vitalità, l’identità».

Il 25 aprile 2023 può essere un’opportunità, memoria ed energia spirituale da cui ripartire, futuro da sognare, domani da costruire coi giovani, coi poveri, cogli emarginati, coi immigrati: unici “sognatori” questi ultimi di un Europa accogliente, dei diritti, delle libertà, dei doveri di una comunità. Pazienza, determinazione, fiducia, speranza necessarie le ha condensate un poeta, Rocco Scotellaro (1923-1953), tra i tanti dimenticati degli anni in cui visse e lottò, con alcuni versi che dovrebbero accompagnare le celebrazioni di quest’anno, come preparazione e pregustazione del “dopo la destra”. Titolo è La mia bella patria:

Io sono un filo d’erba

un filo d’erba che trema

E la mia Patria è dove l’erba trema.

Un alito può trapiantare

il mio seme lontano.

Marco Garzonio



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