21 marzo 2023

LAVORO. IL NUOVO WELFARE

Un approccio per tutelare il bisogno di lavorare


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Messaggio (con Auguri!) per Elly Schlein – che ha a cuore i diritti sociali – e per tutti noi. Lavoro: mettere il collaboratore giusto con l’imprenditore giusto. Fare in modo che l’impresa (e non solo) sia sempre più una Rete armoniosa di impegni e collaborazioni. Serve un Nuovo Welfare, semplice da Assicurare, non il “meno welfare” che umilia (Gabanelli): Politiche attive positive, anticipatrici dei problemi, per renderci protagonisti. Diamo un vantaggio fiscale a chi fa impresa inclusiva, che concorre nell’attrarre e soddisfare Talenti.

Per un’imprenditività innovativa diffusa; per crescere in valore e ridurre quantità, ingombri, inquinanti. È l’unica via per reggere i Rischi che accompagnano le Possibilità in campo. Con questo approccio sarà facile tutelare il bisogno

Nei due ultimi anni siamo cresciuti del 10,5% e il debito è passato dal 154,3% del Pil al 145%. Solo nel ’22 le esportazioni sono cresciute del 9%. E c’è il Pnrr, che vale 2 punti all’anno di crescita per 4 anni. Un bel traino. Neanche il debito fa più paura. Ottimismo. È questione di fiducia, dice Giavazzi sul Corriere della sera del 5 marzo.

Il clima di fiducia (che si respira nei territori, basta uscire dal centro di Milano) deriva in primis dalla qualità e affidabilità del nostro manifatturiero, che ha taglia piccola (5, 10 collaboratori dipendenti e autonomi) ed è secondo in Europa dopo la Germania. Piace anche all’India, con cui il governo sta opportunamente tessendo accordi. L’India è un esempio: supera la Cina per popolazione, è una democrazia radicata nelle tradizioni e insieme aperta, in ricerca; e ha una gioventù bella e composta che ne è emblema.

Noi, dunque, in un mondo di giganti statuali, culturali e ora anche economici che si vanno affermando (ho letto che l’Indonesia di Joko Widodo – 15mila isole – tra 10 anni avrà il Pil dell’Ue), come ci confrontiamo, collaboriamo, competiamo? Da un lato dobbiamo sempre più integrarci e proporci come Europa (e qui il governo Meloni gravemente tentenna). Dall’altro possiamo scartare e inventare prodotti, relazioni e servizi di cura nuovi, digitali, di alta qualità, utili e apprezzati; di maggior valore prospettico (vantaggi percepiti).

È un nostro punto di forza: pensiamo all’agro-alimentare di qualità garantita e alla meccanica di precisione, fatta di macchine che sono spesso autentici prototipi e hanno alti potenziali di crescita. E credo sia il trend dei Nord Milano e di Monza – Brianza (potenti e insieme deboli perché manca loro l’ottica metropolitana che invece ha – guarda caso – Assolombarda): crescere in valore e ridurre quantità, ingombri, inquinanti. Rimanere fermi ai dati economici, alla materialità e al modo di competere solitario, disgregato dell’ultimo scorcio non è degno di noi, non è proprio consigliabile. Ne è latente il rifiuto, l’impossibilità.

Abbiamo inventato il libero mercato, la responsabilità personale e il benessere materiale. Possiamo fare di meglio: mettere a punto la Rete delle libertà creative, responsabili, e un benessere armonico, contemplativo. Dobbiamo farlo per rendere Rischi misurati i Pericoli smisurati in cui siamo (Cigni neri incredibili, inimmaginabili – Nassim Nicholas Taleb); per poter guardare lontano e tenere in piedi la baracca, renderla sostenibile. Ricordiamo la sfida di Galileo Galilei: “Conta ciò che si può contare, misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è”. Se lo faremo (rendere gestibili Pericoli smisurati), che prospettiva si aprirà? Guarderemo negli occhi la tecnica, il Digitale, l’Intelligenza artificiale; daremo loro campo e correremo in scioltezza (come Valentino Rossi sulla sua moto) i Rischi / Possibilità mille volte maggiori che si prospettano, che si intuiscono. Se non facciamo questo passo, questo allineamento, lasciamo i nostri nipoti nelle canne.

Ora, noi (forse più di tutti in Europa) siamo nelle condizioni giuste per osare un salto di qualità. Dove in particolare? Nelle relazioni di lavoro, di collaborazione al fare impresa, che sono il punto di forza – e non ce ne siamo accorti – che sta sotto quello (la creatività) prima evidenziato. Per uscire dagli schemi, innovare e sorprendere il mercato, i clienti, serve l’uomo. O meglio: serve l’uomo in belle relazioni; e serve il gruppo, la squadra; sia l’individuo attivo, responsabile, sia il gruppo e le sue relazioni, personali e funzionali. Guai a separare!

Fare impresa creativa, che innova e cura la qualità, non è banale; richiede armonia di relazioni. Qui nella realtà – diciamolo – molto spesso siamo bravi. Meno nelle Istituzioni e in Politica. Qui siamo frenati. Quanta strada possiamo fare! Infatti, mentre le imprese si associano e vanno con successo nel mondo (più 9% nel ’22!), noi siamo inchiodati ad aspetti formali; ai diritti elargiti, ai bonus, alle tutele come flessibilità per le aziende (licenziare) e garanzia di reddito per i collaboratori (vivere e, oggi, potersi curare).

Il diritto/dovere atteso, latente (personale e collettivo, cioè sindacale) è una qualità nuova di coinvolgimento, partecipazione e dunque di ingaggio e impegno nell’impresa. Un diritto di libertà diffuso, precedente gli accordi e i contratti, perché “la libertà viene prima” (Bruno Trentin, mitico e sofferente leader Cgil negli anni dai ’70 ai ’90). Niente di meno. E il presupposto di ciò è la reciproca libertà di imprenditori e collaboratori, dipendenti o autonomi che siano. Altro che Articolo 18 (il posto, dato e sicuro) o Reddito garantito. Piuttosto: mettere l’imprenditore giusto con il collaboratore giusto. Dialogo. Basta, forse, dare un vantaggio fiscale a chi lo fa, a chi lo vuole fare. Sono Politiche attive positive, anticipatrici dei problemi, per protagonisti; mirate a inventare micro realtà utili e giuste.

Poi, certo, rimarrà il bisogno, chi non ce la fa: tutelarlo senza umiliarlo (che significa cercare modi di renderlo utile) sarà doveroso, facile e istruttivo. E costerà molto poco.

Tante le cose da chiarire. Una su tutte: va misurata la soddisfazione. Se non c’è, si deve cambiare. Vale sia per l’imprenditore (massima flessibilità; licenziabilità) sia per il collaboratore (diritto alla formazione, accompagnamento responsabile a nuova occupazione o impegno e salde garanzie di reddito). Salvo preavvisi e non discriminazioni. Queste condizioni sono facili da rendere sicure; facili da Assicurare. Tutto secondo chiari indirizzi europei, e oltre: siamo maestri della Rete o imprevedibilità diffusa; siamo l’Italia!

È ciò che bolle in pentola. E non solo qui. Non bastasse il flusso delle dimissioni e la scarsa e critica offerta di lavoro, osserviamo l’impresa, il suo Rischio chiave. In Usa è “Attrarre e trattenere talenti” (concorrere in questo ambito, per poter gestire e inventare, appunto, per innovare), oggi e nel “decennio di sconvolgimenti” che ci attende, dice Christine Ferrell – Enterprise Risk Management – North Caroline State University – sulla base di dati di ricerca Protiviti.

Il diritto sociale, allora, è prassi che mette in campo Istituzioni e mira ad anticipare i problemi e le insoddisfazioni. Non è certo attendere le crisi manifeste, i licenziamenti. Né dare bonus. Prevenire, non solo tamponare, tacconare, rimediare. Il Cigno nero tende a non avere rimedi. Che miseria di diritto quello che si limita a rimediare e assistere!

Può essere la lezione dell’Europa a sostegno della democrazia (e a critica delle autocrazie): noi miriamo alla collaborazione armoniosa, soddisfacente, dei diversi ruoli, funzioni e competenze; delle differenze, che sono risorse, miniere di risorse. E solo la collaborazione (non la sopraffazione, la guerra) offre speranza di futuro: speranza che diventeremo capaci di accettare e arricchirci di differenze; e capaci di reggere i Rischi che accompagnano le Possibilità e gli sviluppi della tecnica. Speranza di benessere vero, totale, rispettoso, sostenibile, spirituale. Speranza di salvarci.

Francesco Bizzotto

Networkassicuratoripd.blogspot.com

 



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