8 febbraio 2022

IL LAVORO AGILE COME “PATTO DI LIBERTÀ”

Non fermiamo il futuro


bisconti

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Giorni fa il Ministro Brunetta ha nuovamente offeso milioni di persone. ‘Basta far finta di lavorare’ ha detto in un’intervista su Sky TG 24. ’Piuttosto che stare chiusi a casa, con il telefonino sulla bottiglia del latte…’.  Lo stesso tono perentorio, offensivo – anche un po’ grottesco (sic) – utilizzato dal Sindaco Sala quando ha invitato i/le milanesi ad uscire dalle grotte e tornare in ufficio a lavorare. Dimostrando entrambi di non saper empatizzare con le persone e, allo stesso tempo, di non saper leggere il presente; figuriamoci di intravedere il futuro.

Ma nel futuro ci siamo già. La Pandemia ha accelerato un processo lento, sconvolgendo in modo irreversibile la nostra concezione di lavoro. Il fatto che per molti mesi la presenza fisica sul luogo di lavoro sia stata inibita, ci ha fatto conoscere la possibilità di lavorare diversamente. Una tecnologia di accesso immediato ci ha portato a capire che potevamo abbandonare lo schema casa/ufficio/casa, in cui l’ufficio era l’unico luogo strettamente deputato al lavoro. Siamo riusciti a farlo subito. E abbiamo capito che funzionava. 

Conosco il lavoro agile da più di 20 anni, da quando ho iniziato a introdurre le prime sperimentazioni nella multinazionale in cui ero Direttrice del Personale; ho poi portato le sperimentazioni con me nel Comune di Milano quando sono diventata Assessora con la giunta Pisapia. Sono nate le Giornate del Lavoro Agile – la prima nel 2014 – che hanno contribuito a portare l’attenzione delle istituzioni su questo modo di lavorare, fino all’approvazione della legge nel 2017.

In quegli anni il lavoro agile era terreno di innovazione, con grandi multinazionali che vi si avventuravano e qualche persona visionaria che provava a convincere gli scettici. Solo mezzo milione di persone faceva qualche forma di lavoro agile. 

La Pandemia, in particolare l’annuncio di Conte in televisione il 9 Marzo 2020, ha portato improvvisamente in Smart Working più di 8 milioni di persone. 

Come lo definisce la legge 81 del 2017, il lavoro agile è la possibilità di eseguire la propria prestazione lavorativa ‘in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro‘.

Detto in parole semplici è la possibilità di scegliere il luogo i cui lavorare: l’ufficio, la casa, ma anche un coworking, una biblioteca pubblica, una seconda sede aziendale magari più vicina alla propria abitazione. Ed è anche la possibilità di scegliere il tempo in cui eseguire la propria prestazione. Sempre in accordo con l’organizzazione per cui si lavora. Perché di lavoro subordinato stiamo parlando.

La definizione di lavoro agile che io personalmente preferisco però è un ‘patto di libertà’. Cioè un accordo intelligente tra persone, che considerandosi reciprocamente adulte e instaurando tra loro un rapporto di fiducia, modellano il lavoro sull’incontro dei bisogni aziendali e di quelli personali.

Con queste definizioni in mente ci viene facile capire che in realtà la maggior parte di noi ha conosciuto il lavoro agile nel momento di massima costrizione e di privazione della libertà personale. Lo abbiamo incontrato durante il lock down, chiusi nelle nostre abitazioni, con figli che giocavano ai nostri piedi o seguivano lezioni a distanza; con le preoccupazioni per una situazione incerta o per i nostri parenti malati di cui faticavamo ad avere notizie.

Eppure lo abbiamo amato. Ne abbiamo immediatamente colto i vantaggi. Pur nella sua versione più costretta e limitata, questo modo nuovo di lavorare ha dimostrato che il nostro benessere personale poteva aumentare. Su possibilità semplici: la possibilità di ridurre il numero di ore in viaggi su treni stracolmi o in tangenziali trafficate; la possibilità di conciliare impegni di cura e lavorativi; la possibilità di mangiare meglio, cibo cucinato a casa al posto di un panino consumato in piedi al bar; la possibilità di riposarsi a metà giornata lavorativa qualche minuto sul proprio divano, sgranchirsi facendo ginnastica on line dopo ore di call, distrarsi nel modo più consono ai nostri desideri. 

Chi conosce bene il lavoro agile sa che questi vantaggi sono solo una minima parte. Perché dall’abbandonare la vecchia concezione di lavoro in presenza ne traggono beneficio in primis le aziende. Che possono ridurre drasticamente i loro costi – gli affitti degli uffici, gli straordinari – e aumentare in modo rilevante la produttività, per citare solo i due vantaggi più evidenti. Ma ne trae vantaggio anche la collettività. Lavorare in modo agile, alternando presenza in ufficio ad altri luoghi, significa spostarsi in modo più intelligente, diminuire i picchi di utilizzo dei mezzi pubblici, ridurre il traffico, migliorare l’aria.

Ne traggono vantaggio le città nel momento in cui questo nuovo modo di lavorare viene interiorizzato da chi le pianifica. E decide di sviluppare politiche urbanistiche che concepiscano le città stesse non più come periferie-dormitori e centri in cui le persone si riversano per lavorare, ma come luoghi pluricentrici – la città a 15 minuti – in cui le persone vivono e lavorano in modo fluido e flessibile.

Ne trarrebbe vantaggio l’Italia intera – ne sono fermamente convinta – nel momento in cui la politica capisse che il nostro Paese potrebbe essere il miglior paese al mondo in cui unire turismo a lavoro (agile appunto); e sviluppare di conseguenza politiche di promozione del territorio mirate ad attrarre quegli stranieri che già conoscono bene questo modo di lavorare.

Per tutto ciò, per il portato incredibile di cambiamento e positività che il lavoro agile porta con sé, le dichiarazioni del Ministro, che sono purtroppo ancora le stesse di molti manager e imprenditori, suonano incredibili. Mettendosi contro al lavoro agile non ci si mette contro ad un modo di lavorare. Si limita il benessere delle persone, i vantaggi a beneficio della collettività. Si cerca in modo goffo e anacronistico di fermare il futuro.

Chiara Bisconti

Autrice di Smart Agili Felici edito da Garzanti – novembre 2021 

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  1. Giuseppe GattulloStrumentalizzare l’emergenza, per poi incentivare una futura precarietà non è il Futuro, ma un colpo basso ai lavoratori. Il lavoro a distanza è la futura precarietà. Il lavoro senza confini (nessun spazio) senza tempo (nessun tempo) i collaboratori, usati e gettati, (nessun corpo) ossia, mobilità, flessibilità, e precarizzazione, le famiglie professionali sono, la rete, i social network, lo smart working o lavoro agile, e-learning, il self service on line ecc..ecc.. che saranno causa di destrutturazioni e probabili distruzioni delle amministrazioni pubbliche e delle società private. Sono completamente basito nel vedere il mondo accademico, scientifico, imprenditoriale, politico e istituzionale, continuare a promuovere e incentivare in modalità ossessivo compulsivo, digitalizzazione, smartworking o lavoro agile, che saranno causa di destrutturazioni e probabili distruzioni delle amministrazioni pubbliche e delle società private. La digitalizzazione e lo smartworking o lavoro agile, oggi in Italia vengono finalizzati non tanto, come processo di innovazione, crescita e sviluppo delle imprese, ma principalmente come strumento potenziale di esternalizzazione delle attività (interna/esterna) e di riduzione delle posizioni lavorative, col miraggio di far cassa e far brillare gli occhi di pochi pescecani. Pertanto è causa della perdita di numerosi posti di lavoro, sia nel settore pubblico che privato e conseguente perdita di governo del potere da parte delle aziende e autorità e regolamentazione dei diritti, da parte dei soggetti titolati per legge (un'impresa senza personale è destinata a fallire). Nel lavoro come nella vita, quel che conta e solo la consapevolezza di aver contribuito concretamente alla costruzione di qualcosa di importante, progetti, prodotti, studi, ecc.. destinati questi si a durare nel tempo, che danno autostima, fanno star bene e realizzano le persone. In conclusione non conta dove, né il tempo, né l’ologramma in remoto di un singolo collaboratore, ma è la consapevolezza, che è una squadra unita che lavora, a fare la differenza. Dopo la grande vittoria dei muscolosi imprenditori e dei guerrieri della politica Italiana contro i feroci subordinati Lavoratori, nemici della libertà di licenziare, resta soltanto un diroccato Statuto dei Lavoratori che non è mai stato una legge e non ha mai difeso nessuno, infatti hanno sempre licenziato come e quando volevano. Oggi la nuova vittoria dei muscolosi imprenditori e guerrieri della politica "le delocalizzazioni" che forza che coraggio! Giuseppe Gattullo 🌲🌲🌲🌲🖋
    9 febbraio 2022 • 14:42Rispondi
  2. Roberto BiscardiniCon lo smart workshop un cittadino milanese deve aspettare 60 giorni per avere una carta di identità quando con i dipendenti in presenza si poteva avere in tempo reale...chi ci ha guadagnato?
    10 febbraio 2022 • 15:56Rispondi
  3. Mauro ValentiniLa signora Chiara bisconti dice: “Come lo definisce la legge 81 del 2017, il lavoro agile è la possibilità di eseguire la propria prestazione lavorativa ‘in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro‘”... ...“Detto in parole semplici è LA POSSIBILITA' di scegliere il luogo i cui lavorare: l’ufficio, la casa, ma anche un coworking, una biblioteca pubblica, una seconda sede aziendale magari più vicina alla propria abitazione. Ed è anche la possibilità di scegliere il tempo in cui eseguire la propria prestazione. SEMPRE IN ACCORDO CON L'ORGANIZZAZIONE PER CUI SI LAVORA. Perché di lavoro subordinato stiamo parlando”... ...“La definizione di lavoro agile che io personalmente preferisco però è un ‘PATTO DI LIBERTA'’. Cioè UN ACCORDO INTELLIGENTE TRA PERSONE, che considerandosi reciprocamente adulte e instaurando tra loro un rapporto di fiducia, modellano il lavoro sull’incontro dei bisogni aziendali e di quelli personali”... Rispondo: La possibilità di scegliere? Da parte di chi? Con i datori di lavoro (e i pessimi direttori del personale di cui amano circondarsi) non c’è possibilità di scegliere: o il lavoro agile lo fai oppure come te ce ne sono mille che aspettano fuori dalla porta! Sempre in accordo con l’organizzazione per cui si lavora? Patto di libertà? Un accordo intelligente tra persone? Accordo? Scusi, signora ex direttrice del personale, ma davvero lei crede che nelle aziende regni la democrazia o sta solo fingendo? Lei che ha lavorato in un ruolo di comando, davvero crede che i datori di lavoro si riuniscano nei propri salotti con i lavoratori, fra pasticcini e bottiglie di coca cola, a chiacchierare e ad accordarsi democraticamente su cosa sarebbe meglio fare per il bene di entrambe le categorie? E magari mettendo in votazione le decisioni finali? Oppure la decisione la prende uno solo? Se ci sono stati degli accordi fra lavoratori e datori di lavoro sono stati conquistati a caro prezzo. I datori di lavoro non hanno mai regalato niente (fatte le dovute illuminatissime eccezioni che si contano sulle dita di una mano). Gli accordi di cui lei parla sono conquiste costate ai dipendenti lunghe lotte, scontri con la polizia, feriti, alcuni arresti, ingenti perdite economiche e non raramente la perdita del posto di lavoro. Questi si chiamano sacrifici, cara signora, che i direttori del personale, seduti comodamente nei loro begli uffici, non hanno mai dovuto fare. Gli accordi nel mondo del lavoro non sono concessioni, sono il frutto di rapporti di forza e lei, come ex direttrice del personale, dovrebbe sapere perfettamente che cosa significhi la locuzione “rapporti di forza” perché il suo ruolo, guarda caso, è probabilmente sempre stato dalla parte dei potenti. E non ci vuole tanto coraggio a scrivere libri che assecondino le esigenze di certe multinazionali, occorre più fegato a scendere in piazza a prendere le manganellate per conquistare qualche straccio di diritto per sé e per gli altri! La signora Chiara Bisconti dice: “Lo abbiamo incontrato (il lavoro agile) durante il lock down, chiusi nelle nostre abitazioni, CON I FIGLI CHE GIOCAVANO AI NOSTRI PIEDI o seguivano lezioni a distanza; con le preoccupazioni per una situazione incerta o per i nostri parenti malati di cui faticavamo ad avere notizie. EPPURE LO ABBIAMO AMATO”. Rispondo: Io non discuto che a qualcuno potrebbe far piacere lavorare a distanza, ma scusi, signora ex direttrice, lei sa per caso che cosa significhi concentrarsi in un lavoro a distanza con i figli che giocano ai suoi piedi? Sa che cosa voglia dire lavorare con accuratezza quando i suoi due bambini litigano fra loro o suonano il tamburo o reclamano la sua attenzione continuamente? E tutto questo, magari, mentre dall’altra parte qualcuno (che potrebbe essere il suo capo ma anche il suo direttore del personale) sta decidendo se non valga la pena di dequalificare il suo incarico o di licenziarla perché ha svolto un lavoro distratto e non è una dipendente abbastanza efficiente. Però, che gioia immensa avere i figli ai propri piedi mentre una mamma o un papà stanno disperatamente cercando di risolvere un problema di lavoro che potrebbe costare loro la carriera o il posto. Quale meravigliosa libertà! La signora Bisconti dice: “LAVORARE IN MODO AGILE, ALTERNANDO PRESENZA IN UFFICIO AD ALTRI LUOGHI, significa spostarsi in modo più intelligente, diminuire i picchi di utilizzo dei mezzi pubblici, ridurre il traffico, MIGLIORARE L'ARIA”. Rispondo :E’ stupendo! Sembra di vivere in una magnifica fiaba dove la gente può decidere di starsene a casa a lavorare, ma anche di spostarsi in altri luoghi quando vuole e in modo più intelligente, come non ci fossero orari per Smart Agili e Felici. Tutti liberi di lavorare quando si vuole, agli orari che scegliamo noi, nel modo che desideriamo (sempre in accordo con l’Azienda, per carità, ma si sa quanto sia indulgente il datore di lavoro!). E poi miglioriamo anche l’aria! La signora Bisconti dice: “Ne traggono vantaggio le città nel momento in cui questo nuovo modo di lavorare VIENE INTERIORIZZATO DA CHI LE PIANIFICA”. Rispondo: A Milano, e non solo a Milano, sono stati costruiti decine di palazzi dalle dimensioni ciclopiche e sono quasi tutti adibiti a uffici. Li convertiamo ad asili? A mense per i poveri? Li dobbiamo già demolire? Pensi che gioia per l’Alleanz, che ha costruito uno dei grattacieli più alti della città, doverlo tenere vuoto a causa della diffusione del lavoro agile! Personalmente non perdo il sonno a sapere che l’Alleanz potrebbe struggersi per questa terribile disgrazia, ma credo sarebbe molto difficile interiorizzare questo nuovo modo di lavorare da parte di chi dovrebbe pianificarlo, perché a nessun politico piace prendere delle sberle in faccia da certe multinazionali. Hanno le mani pesanti!
    10 febbraio 2022 • 17:11Rispondi
  4. bianca botteroMi hanno colpito le reazioni - alcuna addirittura inviperita - che hanno ricevuto le considerazioni di Chiara Bisconti sul "lavoro agile". Che tali reazioni provengano da uomini non è un caso. Perché ciò che Chiara delinea nella sua lettura del fenomeno è qualcosa che per le donne è un bene prezioso, che gli uomini faticano a comprendere, che non sanno proprio cos'è. E' , lei dice, la LIBERTA': che nella fattispecie non è solo quella di affermarsi muscolarmente in fumose riunioni ( che a queste mi pare ci si sia prevalentemente ridotti dalle famose lotte degli anni '60 e 70 per la casa e per i diritti del lavoro alle quali partecipavano attivamente le donne) ma è quella di una vita piena, nella quale l'uscire di casa non vuol dire solo il ritrovarsi parcellizzata in uffici o il prendere la tazzina di caffè in corridoio - evitando magari qualche palpeggiamento del "capo" - ma potersi occupare di come cresce il proprio bambino, sistemare la madre in poltrona, stendersi a riposare se si ha male alla schiena, predisporre il bollito per la cena... Non mi nascondo che dietro a tutto ciò può annidarsi il solito ricatto verso la necessaria "duttilità" femminile, la sua arrendevolezza e sobbarcarsi quelli che definiamo i "lavori di cura", quelli che il marito che "torna" dal lavoro, neanche vede...E neppure sottovaluto il pericolo di un isolamento e di un autosfruttamento che il lavoro agile può consentire in particolare per le donne: ma non è tornando a Pelizza da Volpedo che potremo opporci a quel sottilissimo sfruttamento al quale questa nuovissima epoca si appresta a sottoporre i lavoratori - uomini e donne - se non avverrà un vero mutamento nell'agire e nel pensare dei più , così da dar vita a quel mondo più equo e benevolo quale Chiara Biscardi prefigura. E che finalmente consentirà alle donne di lavorare con piacere e soddisfazione ma anche di guardare un albero o un fiore baciato dal sole, aprire una finestra per respirare scrivere una poesia.
    14 febbraio 2022 • 17:21Rispondi
  5. fiorello cortianaTrovo le considerazioni di Chiara Bisconti molto centrate, così come i rilievi sulle reazioni inviperite di Bianca Bottero. Lo smart working costituisce una straordinaria opportunità per un riequilibrio tra i tempi personali e la prestazione lavorativa: i tempi del rilascio della carta di identità non c'entrano nulla con questa nuova modalità di produrre valore e servizi nell'era digitale. Sono evidenti, altresì, altri aspetti interessanti quali la riduzione di ingombro statico e dinamico dei mezzi di trasporto privati, così come le congestioni e le emissioni. Il tutto accompagnato non solo dal delivery, dei rider o dei supermercati, ma dalla ripresa degli esercizi di prossimità. Ciò che occorre consentire e combinare è la possibilità di comunicazione e di relazione tra lavoratori, evitando la condizione di atomizzazione e isolamento sociale. Di più, ma non necessariamente legato allo smart working, occorre evitare, nella società e nell'economia della conoscenza, l'alienazione cognitiva. E' una questione di organizzazione del lavoro e di partecipazione consapevole al processo produttivo. Questione non inedita. E' una questione di organizzazione della città e delle reti metropolitane, una alternativa all'accentramento e al pendolarismo e la possibilità di un nuovo urbanesimo diffuso, riequilibrante dell'ambiente e della comunità, un saldo positivo per la qualità del vivere sociale.
    15 febbraio 2022 • 22:27Rispondi
  6. guido luigi tassinarispero di non offendere nessuno: bisconti parla da una altitudine che non considera chi sta in basso. usando categorie antiche, c'è, purtroppo sempre poco considerato in queste pagine, il conflitto di classe; riprodotto in modalità nuove, e che, le persone, rispettabilissime, come bisconti, proprio non vedono, perché hanno una visione molto parziale del mondo del lavoro, anzi dei lavori (detto da un inoccupato pluriennale, sposo di una "lavoratrice agile", con tre figli e vecchi a carico, ma privegiato in quanto proprietario di casa)
    19 febbraio 2022 • 04:44Rispondi
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