26 ottobre 2021
HO VOTATO SALA
Non solo Milano da bere
Ho votato Sala ma non mi sento rappresentato dalla descrizione dell’elettore tipo fatta da Luca Beltrami Gadola nell’editoriale dello scorso numero. Non amo la Milano “à la page”.
Milano l’ho vissuta da giovane nelle sezioni di periferia del PCI, poi nelle amministrazioni dell’hinterland e della Provincia, sempre per il PCI e sue successive trasformazioni. Sono stato iscritto al PCI dal 1972 e al PD fino al 2014 quando 100 parlamentari PD hanno trombato Prodi all’elezione a Presidente della Repubblica. Dunque per storia politica, carattere e cultura non amo la “Milano da bere”, ma ho votato Sala perché sento il richiamo della “parte”, dello schieramento. Nel Paese (nel mondo) per quanto variegati, ci sono due schieramenti: sinistra e destra; anche se molti ritengono che tale classificazione sia superata. Io sto con la sinistra o se volete con il centro sinistra: il partito che in Italia ne è fulcro e sostegno è, piaccia o no, il PD; se il PD perde, perde la sinistra. In Italia il centro destra a trazione sovranista, è maggioritario, ma il primato è contendibile ed è un bene che il centro sinistra conquisti le grandi città e che il PD risulti il partito più forte. Le elezioni amministrative di Milano avevano e hanno un valore soprattutto politico, nazionale: per questo ho votato Sala. Gli altri candidati della sinistra erano fuori gioco in partenza.
Altrettanto rispettabile è certamente chi non privilegia valutazioni di schieramento e vota i candidati che riflettono meglio le proprie convinzioni nella politica locale.
Avrei votato volentieri Goggi che nel suo programma elettorale aveva posto la questione del governo metropolitano e anche per stima personale, se si fosse schierato a sostegno del centro sinistra e di Sala (mi dicono che Sala non abbia voluto i socialisti, no so se sia vero). Anche la lista Milano Unita che sosteneva Sala aveva nel programma la questione del governo metropolitano. Per questo e per marcare un po’ più a sinistra l’azione del sindaco, ho dato il mio voto a quella lista che però non ha eletto nessun candidato in consiglio comunale. Al Municipio 1 ho votato la lista PD e i candidati Poli e Castelbarco.
Approvo in toto l’azione amministrativa di Sala? No. L’ho scritto più volte su ArcipelagoMilano. In particolare trovo un grave errore e un danno per la città l’esplicito disinteresse di Sala per il governo metropolitano; questione da molti ripresa su ArcipelagoMilano. D’altra parte nessun sindaco se ne è mai preoccupato seriamente: né Albertini, né la Moratti, né Pisapia, pur avendo basi di consenso molto più ampie di Sala il che avrebbe loro permesso di affrontare nodi politici complessi come il governo metropolitano. Anzi Albertini e il suo assessore Lupi hanno apertamente contrastato qualsiasi ipotesi di governo metropolitano, come ricordava Valentino Ballabio nel numero scorso di ArcipelagoMilano, a conferma che anche una buona destra, in Italia, non ha visioni riformiste.
Come si è formato il modello Milano che ha prodotto la vittoria di Sala e l’astensione di metà dei cittadini?
Prima della pandemia la città era sospinta (o trainata) da un’economia rampante che produceva lavoro e innovazione; formata dai tradizionali settori dell’economia milanese sempre più internazionalizzati, ma anche dalla concentrazione di attività innovative e di capitale umano e dalla crescita delle università pubbliche e private. La crescita economica era sospinta da capitali in cerca di investimenti e in particolare investimenti immobiliari concentrati nel centro della città.
Dopo Expo 2015 la popolazione di Milano è cresciuta e così anche i posti di lavoro, unico caso tra i maggiori capoluoghi del Paese. Sono cresciute anche le diseguaglianze, ma è inutile sottacere che una parte consistente di cittadini (residenti o pendolari) hanno tratto vantaggio dal modello di sviluppo e non solo le élites. Quel tipo di sviluppo ha escluso però una consistente parte della popolazione e anche il resto dell’area metropolitana e della regione. Fenomeni più volte denunciati ma non indagati scientificamente.
Del resto o si hanno strumenti alternativi potenti (capacità di investimento pubblico o investitori privati non orientati all’ appropriazione della rendita immobiliare) o non è facile opporsi a ciò che produce comunque sviluppo. Ancor più difficile opporsi se non si ha una visione chiara e forte della città che si vuole, sostenuta da un consapevole opinione dei cittadini. A Milano non manca la partecipazione civica, ma è debole perché non è strutturata e i corpi intermedi non esprimono più posizioni politicamente forti. Nel resto dell’area metropolitana vi è il deserto della politica che è per lo più limitata a questioni locali e disinteressata alle prospettive di una forte area metropolitana.
Dopo il voto restano dunque i problemi politici posti negli articoli degli ultimi due numeri di ArcipelagoMilano. Il Sindaco che decide da solo (è vero?); il debole ruolo del Consiglio comunale, che dovrebbe dare gli indirizzi programmatici e di fatto ratifica le decisioni del sindaco. La prevalenza delle logiche private rispetto al ruolo progettuale del comune, nel disegno della città. La debolezza delle istituzioni segnata dalla mancanza dell’elezione diretta del sindaco metropolitano e, l’altra faccia della medaglia, la mancanza di poteri dei Municipi, per cui sarà difficile fare politiche incisive per le periferie.
Dalla composizione della nuova giunta vengono segnali ambivalenti.
La nomina dell’architetto Tancredi attuale dirigente dell’ufficio urbanistica ad assessore all’urbanistica (caso unico a mia memoria) può significare che vi sia un contrasto con l’assessore uscente Maran del PD e che Sala abbia voluto tenersi la delega politica, oppure che la maggioranza ritenga che le scelte urbanistiche siano definitive e che si tratti di gestirne l’attuazione. D’altra parte la nomina di Maran alla “casa e sviluppo dei quartieri” può significare un declassamento di ruolo o per contro l’affidamento ad un assessore di peso, di un obbiettivo programmatico centrale. Infine la nomina della Censi, attuale vicesindaco metropolitano facente funzioni di sindaco, ad assessore ai trasporti del comune di Milano, da una parte potrebbe confermare il disinteresse al governo metropolitano, dall’altra che si intenda dare una logica metropolitana, almeno ai trasporti. Certo sarebbe stato meglio che le deleghe all’uscente vicesindaca metropolitana fossero state oltre che i trasporti, anche il “governo metropolitano e il decentramento”, temi dei quali, del resto, non c’è traccia nelle nuove deleghe assessorili.
Questi i nodi politici irrisolti ma il nuovo problema politico grave è che più della metà dei milanesi non ha votato: la maggiore astensione si è avuta nel Municipio 1 (dunque il PD non è più il partito ZTL?). Il problema è nazionale non solo milanese ma è compito delle forze politiche locali affrontarlo. La composizione dell’astensione e le motivazioni saranno campo di indagine dei sondaggisti, ma il problema di Sala per i prossimi cinque anni sarà risolvere la questione stadio Meazza e realizzare al meglio le Olimpiadi invernali, non di pensare al consenso personale per le elezioni del 2026, essendo ormai al secondo mandato.
Il PD invece ha bisogno di riconquistare il rapporto tra istituzione e cittadini e di mantenere o aumentare la percentuale di consenso su una base elettorale allargata. Che fare? Per cominciare suggerirei di organizzare, come PD e non come comune, gli “Stati generali della città e dell’area metropolitana, dopo il Covid” portando la discussione nei quartieri di Milano e nei comuni della CM.
Chi ha votato Sala e che non ama la Milano da bere, darebbe volentieri una mano.
Ugo Targetti
Cara lettrice, gentile lettore, se sei arrivata/o qui, c’è voglia e bisogno di dibattito pubblico su Milano, indispensabile ossigeno per la salute della democrazia. Sostienici subito perché solo grazie a te possiamo realizzare nuovi articoli e promuovere il primato dei beni comuni per Milano. Attivati ora!
6 commenti