1 dicembre 2020
MILANO, PUNTO E A CAPO. DOVE METTIAMO IL PUNTO?
Ripartire da dove? Da quando?
1 dicembre 2020
Ripartire da dove? Da quando?
L’unico antidoto allo sconforto è l’ottimismo. In questi tempi sciagurati tocchiamo con mano a cosa si è ridotto lo Stato italiano imploso nella burocrazia, il quinto potere che strangola il Paese abbandonato a sé stesso da una classe politica autoreferenziale e incompetente: dobbiamo ritrovare l’ottimismo e le sue ragioni per guardare avanti.
Non basta l’ottimismo del quotidiano la Repubblica che nella sua edizione locale di domenica scorsa commenta le parole di Ursula von der Leyen – Milan l’è un gran Milan – titolando su tre colonne “La città che piace”.
A noi, che Milano la vediamo dall’interno, viene in mente l’aforisma di Metastasio: “Se a ciascun l’interno affanno/si leggesse in fronte scritto/ molti ancor/ che invidia fanno/ vi farebbero pietà”.
Sì, perché da troppo tempo qui nessuno vuol guardare quello che c’è dietro la copertina patinata del brand Milano perché dietro, ben prima del Covid-19, si sarebbe visto che la città era in affanno per i tanti mali che, più o meno sotto traccia, la affliggevano: possiamo partire dall’inquinamento per arrivare all’impoverimento della classe media e ancor più dei ceti deboli, passando dal saccheggio dei beni comuni. Oggi in pieno Covid dobbiamo sostituire la parola “impoverimento” con povertà, per molti povertà assoluta.
A cosa ci spinge però l’ottimismo di là dell’adagio “spes ultima dea”? Non possiamo escludere, anzi ci auguriamo, che presto o tardi si sia chiamati alle urne per votare ma liberi dal ricatto del “meno peggio”. Forse la classe politica attuale prenderà la strada del “ravvedimento operoso” di fiscale memoria (rimediare a errori od omissioni), forse qualcuno se ne tornerà a casa consapevole della sua inadeguatezza, forse compariranno all’orizzonte facce nuove come nuovi messia che sappiano cosa è una politica di sinistra riformista, quella che connotò il Comune di Milano con le elezioni del 1975.
Per cominciare a essere ottimisti, nel mio titolo mi pongo una domanda: la crisi della pandemia è, prima di tutto, crisi del modello di sviluppo della città, del modello sociale, dell’impianto urbanistico, della politica ambientale: ma da quando questo modello ha iniziato la sua mutazione manifestando guasti crescenti e sofferenze urbane che il Covid ha violentemente messo in luce?
È Il momento nel quale Comunione e Liberazione ha assunto un ruolo politico a Milano e in particolare attraverso la Compagnia delle Opere, quell’insieme di aggregazioni che Ferruccio Pinotti definì La lobby di Dio, in un suo libro inchiesta del 2010. (Ed. Chiarelettere).
Siamo nel 1993, sindaco Formentini eletto con la nuova legge elettorale, elezione diretta del sindaco e con la prima Giunta di nomina dello stesso.
La gestione dell’urbanistica è saldamente da allora e per molto tempo nelle mani di Maurizio Lupi che passerà il testimone (e gli orientamenti) a Carlo Masseroli, anche lui di Comunione e Liberazione assessore della Giunta Moratti.
Delle idee di quest’ultimo c’è un interessante articolo su Repubblica di Teresa Monisitiroli del 2008.
Inizia l’assalto ai beni pubblici di Milano, dalla Fiera che con un abile gioco di scatole cinesi diventa di proprietà privata e da allora saldo baluardo di CL, alla alienazione di altri beni come gli Scali dismessi dalle Ferrovie dello Stato.
In particolare la questione degli scali è una eredità che Masseroli lascia a Pisapia e al nuovo assessore che non hanno avuto il coraggio, pur avendone giuridicamente la possibilità, di mandare a monte la trattativa in corso con FS Sistemi Urbani.
Con la giunta Pisapia è cambiata l’urbanistica milanese? Questa è la vera domanda. Non direi proprio e a questa “anomalia” ho dedicato molti editoriali.
I beni comuni sono stati difesi? Questa difesa non dovrebbe far parte del “minimo sindacale” di una Giunta di sinistra? Non ci piace il nome “sinistra”? Vogliamo allora dire quantomeno “riformista”? O l’attuale Giunta nemmeno in questo nome si riconosce o soprattutto non la riconosciamo noi?
Una domanda alla quale la cosiddetta “sinistra” oggi di governo non vuole o non ha il coraggio di rispondere: l’edificabilità dei suoli è un “bene comune”? (in memoria di Fiorentino Sullo)
Da troppo tempo si è consentita una estrazione di rendita dalla città sottraendola a favore di operatori immobiliari senza che il potere pubblico intervenisse quantomeno a regolare questo fenomeno. Il bene comune e il capitale umano sono stati depredati.
Malgrado questo passato si deve essere ottimisti, come ho già detto, ma all’ottimismo serve una spinta collettiva, quella di chi, pur avendo criticato l’attuale Giunta, spera in una sorta di palingenesi della Milano nel dopo Covid. Spero siano in molti.
Luca Beltrami Gadola
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