15 settembre 2020
MILANO. “RINASCIMENTO” O “RIFONDAZIONE”
Le due alternative per il "dopo Covid"
15 settembre 2020
Le due alternative per il "dopo Covid"
Con la convocazione dei cittadini, quella che il sindaco Sala ha annunciato in una delle sue ultime interviste, con l’intento di raccogliere suggerimenti e consigli per il dopo Covid sembra prendere avvio una riflessione generale sul futuro della città.
Si tratta di un “rinascimento” o di una “rifondazione”? Non credo sia una domanda peregrina.
Il “rinascimento milanese” è uno slogan non di ieri. A mia memoria il primo a parlarne fu l’allora assessore all’urbanistica Carlo Masseroli nel gennaio del 2000, presentando i nuovi progetti per Milano in occasione della illustrazione del nuovo progetto di ristrutturazione della Stazione Centrale: «La riqualificazione di tutte queste aeree – ha spiegato l’Assessore Masseroli – è l’esempio più eloquente del successo e della collaborazione fra Comune e operatori privati. Abbiamo studiato nel dettaglio tutte le scelte urbanistiche per dare alla città sempre nuovi ambiti di qualità. Questo è il rinascimento di Milano».
La ristrutturazione della Stazione Centrale fu molto contestata e probabilmente fu il primo caso di subordinazione degli interessi della città al potere del gruppo Ferrovie dello Stato, subordinazione che ritroviamo nelle vicenda “scali” ma anche molti dei progetti presentati allora furono in seguito oggetto di contestazione da parte dei residenti delle zone interessate e da molti urbanisti.
Quel rinascimento fu l’idea che il “tutto” della crescita di Milano stesse in una nuova edificazione secondo modelli progettuali “international style” da archistar – atteggiamento provinciale – senza nessun rispetto per la città storica e la sua immagine. Una delle molte forme della speculazione edilizia.
Non credo, non mi auguro, che nel futuro delle città ci possa essere quel “rinascimento”.
E la “rifondazione”?
La prima citazione che mi viene in mente è un verso della Divina Commedia:”Que’ cittadin che poi la rifondarno [Firenze] Sovra ’l cener che d’Attila rimase.“
Il Covid è come Attila? Per fortuna no ma gli si avvicina bene e comunque “Que’ cittadin” siamo noi perché a noi spetta il compito e l’onere della rifondazione, di disegnare il futuro di Milano.
Dunque il Sindaco ci interpella e bisogna rispondere ma interpella proprio tutti? Certamente no perché non tutti i cittadini sono raggiungibili con interviste sui quotidiani, non tutti i cittadini ricevono i comunicati stampa del Comune, forse non tutte le parti sociali sono convocate, non tutti sono in qualche mailing list della pubblica amministrazione.
Si deve aggiungere un altro problema. Le parti sociali, i sindacati, le associazioni di categoria, gli ordini professionali sono da tempo in crisi di rappresentanza, quindi non rappresentano la totalità dei cittadini che potrebbero richiamarsi alle stesse e allora ci si dovrà confrontare col problema della rappresentatività del campione interpellato. L’organizzazione dell’operazione richiederà dunque un grande sforzo da parte del Comune.
Per finire: il ruolo dei decisori, la parte più delicata e quella politicamente più rilevante.
Le idee, i suggerimenti, le indicazioni conterranno anche veri e propri modelli di città? Ossia un insieme di aspetti urbanistici, economici, sociali interconnessi tra di loro e probabilmente assai diversi dalla realtà attuale e magari da posizioni di opposizione? Se così sarà in che conto saranno tenuti? Saranno discussi?
Chi da tutto questo materiale deve fare una sintesi e fare una proposta alla città, sarà in grado di resistere alla pressione dei cosiddetti poteri forti, quelli degli immobiliaristi e del mondo degli affari?
L’operazione che si intende avviare potrebbe avere un connotato “rivoluzionario”, essere la prima volta che i cittadini si sentano padroni del loro destino. Il fallimento invece un disastro politico in un momento di generale sfiducia nei confronti delle istituzioni e proprio, anche per questo, una gestione intelligente, sensibile, partecipata allontanerebbe la facile accusa di demagogismo, di ingegneria del consenso e, perché no, di populismo.
Luca Beltrami Gadola
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