9 giugno 2020
SALA, CORAGGIO E PERICOLO: UN LIBRO
Le interviste non sono una recensione
Il 3 giugno scorso per Beppe Sala è stato un momento di grande visibilità: 3 interviste sui quotidiani nazionali, una su Repubblica Milano e soprattutto un passaggio televisivo da Lilly Gruber a Otto e mezzo: l’occasione era l’uscita del suo nuovo libro “Società: per azioni”.
Nella mia vita ho partecipato a moltissime presentazioni di libri e spesso ho avuto l’impressione che gli intervistatori o non avessero letto il libro o lo avessero scorso senza coglierne gli aspetti più interessanti o approfittassero dell’occasione più per parlare di sé che dell’autore e del suo libro. Anche questa volta è andata un po’ così, in molte occasioni il libro presentato era talmente voluminoso che lo sforzo di leggerlo non sarebbe stata cosa da poco.
Il libro di Sala conta solo 124 pagine e anche in tempi di Tweet si sarebbe potuto fare uno sforzo.
Guardando Sala dalla Gruber mi è sembrato di coglierne una sorta di sorriso sornione, quasi di distacco e mi sono domandato cosa stesse pensando.
Dopo aver letto il libro mi sono messo nei suoi panni, al suo posto avrei pensato: ma come, se avete letto il mio libro mi domandate se mi ricandido o cosa ne penso del Governo e di Conte? Qualcosa, di sfuggita7 sul mio “socialismo”? Tutto qui?
Se tra gli intervistatori ci fossi stato io, avrei fatto una domanda madre di tutte le domande: perché ha scritto questo libro e perché l’ha scritto adesso in un momento così impegnativo e affannato per un primo cittadino alle prese con il Covid-19? Una strategia di “posizionamento” pensando al suo futuro?
Non fare domande come questa rientra ormai nel costume del giornalismo scritto e televisivo di oggi: non fare domande imbarazzanti per l’ospite, quasi fosse una scortesia. Alla fine tutto sembra finire nella categoria “consigli per acquisti”.
Certo le interviste non sono una recensione e allora, a ogni buon fine, vale la pena di farla: il recensire è un mestiere difficile, per pochi capaci di diventare senza pregiudizi il mediatore tra pubblico, testo e autore. Non il mio mestiere ma mi ci provo.
Innanzi tutto la scrittura, una dei connotati più trascurati oggi ma che, quando è buona, rende un servizio al lettore: questa è buona.
La premessa e il primo capitolo sono un autoritratto per spiegare se stesso, i suoi riferimenti personali, il padre, i politici tra i quali spicca la figura di Aldo Moro. In tutto il testo molti altri nomi non solo di politici e molte citazioni, alcune di grande rilievo.
Poi comincia la parte più impegnativa: una descrizione della società di oggi, della società urbana, ovviamente di Milano. Il ritratto che ne viene fuori è puntiglioso: nulla dei suoi mali è taciuto, nulla delle sue disuguaglianze, nulla delle sofferenze, nulla dei disagi, nulla delle sue criticità.
La civiltà urbana di oggi come distopia.
Si arriva poi, tra gli altri, a temi importanti: la formazione della ricchezza, il socialismo, il lavoro involontario, la cristianità, il post denaro e per finire le domande al potere.
Sulla formazione della ricchezza, difficile fare una sintesi ma c’è un’affermazione perentoria che vale da sola ad aprire una discussione: quando oggi si crea ricchezza si aumenta la povertà. I ricchi più ricchi i poveri più poveri. L’avevano capito tutti, ma è la prima volta che ne sento parlare in questo modo così esplicito da chi non sia all’opposizione.
Il socialismo. Tema scottante e che andava sollevato anche solo per togliere dall’imbarazzo i tanti, come me, che per lungo tempo hanno smesso di chiamarsi tali dopo il 1993 e la stagione di Mani Pulite. I canuti epigoni del PSI non hanno ancora saputo fare i conti con la loro storia. Il socialismo nella versione di Sala in questo passaggio del suo libro riprende la strada dell’utopia, con tutti i suoi pericoli.
Sul lavoro involontario: quello che ognuno di noi fa quando si connette, su chi ne trae beneficio, su quale ricchezza generi e a favore di chi. Sembra ai soliti. Anche qui il tono distopico traspare e sarà indispensabile parlarne ben oltre le poche pagine che vi sono dedicate, così come il tema di quel che chiama il “post denaro”, dove la distopia prevale.
Sulla cristianità mi sia consentito non dire nulla. Chi ha le sue radici nel laicismo, inteso come superamento di qualsiasi religione, tanto da divenire quasi religione esso stesso, e nello stesso tempo credere solo nella ragione (contraddittoriamente quasi una religione), è meglio che non si addentri in quel campo. Io ne sto fuori ma per i credenti, i politici credenti, val la pena di leggere e riflettere.
L’ultimo capitolo s’intitola “La domanda al potere”. È il più intrigante sopratutto perché in sostanza è una serie di interrogativi che restano senza risposta. Volutamente? Da parte di un uomo che il potere ce l’ha? Curioso. Il dovere di chi è al potere è rispondere.
Ho intitolato questo editoriale usando due parole: coraggio e pericolo. Coraggio perché in questi tempi di “qui lo dico e qui lo nego”, di precipitose marce indietro, di salti della quaglia, mettere per iscritto le proprie idee – scripta manent – è un atto di coraggio anche da parte di chi culli un disegno personale. Il pericolo è che l’autore, uomo di potere, nel momento nel quale eserciti la sua funzione, venga confrontato con quel che ha scritto e in questo momento di grandi scelte, urgenti, determinanti, potrebbe impietosamente essere confrontato con quel che ha scritto. Sarà inevitabile.
La recensione potrebbe chiudesi con una frase. “L’autore sembra un uomo deciso a lasciare il potere e a passare il testimone a chi gli succederà, offrendo ammonimenti e un catalogo di questioni da risolvere. A futura memoria.”.
Questo non sembra esser il futuro di Beppe Sala, uomo in carriera che mira in alto, altrove. Se ne parla già.
Luca Beltrami Gadola
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