1 febbraio 2020

IL REFERENDUM: UN’OCCASIONE PER RINNOVARE

Diminuire i senatori non basta, ma può essere un primo passo


PER COMINCIARE: Il 29 marzo si andrà alle urne per votare il Referendum confermativo per la riforma sul taglio dei parlamentari. Tale referendum non dovrà raggiungere nessun quorum (=n° di voti) per essere valido: basterà che il numero di consensi superi quello dei dissensi e 345 “poltrone” (230 deputati e 115 senatori) rimarranno vuote. Proprio per questo è fondamentale votare con criterio, consapevoli che il taglio dei parlamentari è solo una delle tante riforme necessarie al rinnovamento della nostra democrazia.

corbani1

C’è un che di surreale, di inverosimile nel referendum confermativo del 29 marzo. Dopo decenni di discussioni sulla riduzione dei parlamentari in un quadro di riforme (1983 Commissione Bozzi), ecco che oggi avviene senza un disegno istituzionale, organico: la motivazione principale è la riduzione delle “poltrone” (o quelle che rimangono non sono più “poltrone”?). Secondo una definizione qualunquista e reazionaria, l’incarico di parlamentare o di ministro o di altra rappresentanza politica è una “poltrona”, finché su quella sedia non si depositano le natiche dei “puri”, dei “predestinati”.

Anche la motivazione dei vantaggi è sciocca: lo Stato risparmia. Con tanto di striscione: “meno 345 parlamentari, un miliardo per i cittadini”. Balle, cifre inventate. La minore spesa reale, che si deve calcolare al netto delle imposte pagate sulle indennità, sarebbe di 37 milioni per la Camera dei deputati e di 20 milioni per il Senato, ovvero 57 milioni all’anno che in una legislatura sarebbero 285 milioni, ovvero lo 0,007% della spesa pubblica. Ma anche se non considerassimo le imposte, la cifra sarebbe sugli 82 milioni all’anno (52.9 per la Camera e 28.7 per il Senato, ovvero 408 in una legislatura): un seicentesimo degli interessi annuali pagati per il debito pubblico.

Il risparmio sarebbe del 5,5% sulle spese di Montecitorio e Palazzo Madama: il che sarebbe meglio di niente. Peccato che quei soldi non si traducano in minori tasse per i contribuenti: spariscono nella spesa improduttiva e assistenziale voluta dalle 5S, i 7 miliardi del reddito di cittadinanza. Oppure nei seicento milioni del deficit 2019 di Alitalia, a cui il governo ha dato un ennesimo prestito di 400 milioni: in due anni e mezzo di gestione commissariale Alitalia ha avuto 1,5 miliardi dallo Stato, che in 45 anni ha dato alla “compagnia di bandiera” 9,2 miliardi.

Vantare dei risparmi con la diminuzione dei parlamentari quando non si è capaci di governare e si adottano misure di puro assistenzialismo clientelare, è una propaganda molto meschina. Alla quale si sono sottomessi prima la Lega, poi il PD. Partendo da questa richiesta puramente demagogica si sarebbe dovuto, a mio parere, cogliere l’occasione per impostare una operazione di rinnovamento della democrazia italiana, fallita per tanti motivi con il referendum del 2016.

La riduzione dei parlamentari è logica in un contesto di riforme complessive, al cui centro ci siano i poteri legislativi sovranazionali del Parlamento europeo, su cui abbiamo puntato con l’unico referendum propositivo (1978). Noi dovremmo chiedere all’Europa di allargare le competenze sovranazionali, a maggior ragione dopo l’uscita della Gran Bretagna. Faccio solo tre esempi: la lotta alla criminalità, alla ‘ndragheta ecc. richiede misure legislative e azioni di polizia europee; non si può pensare al mercato unico del lavoro senza tutele assistenziali, previdenziali e diritti sociali europei dei lavoratori; il mercato unico dei capitali richiede una tassazione unica in Europa. E non parliamo poi dell’immigrazione, della politica estera, per il Mediterraneo e per l’Africa. O la nostra politica diventa davvero europea o continuiamo a cincischiare attorno a questioni irrisolvibili nella dimensione nazionale. Dunque da una parte la dimensione europea, dall’altra quella regionale, riportando le Regioni al ruolo costituzionale di enti legislativi sulle materie più vicine al territorio, spogliandole di compiti amministrativi (dei quali ingiustamente si sono appropriate) che devono essere destinati ai Comuni e alle Provincie o aree metropolitane.

Il problema non è il numero dei cittadini rappresentati in Parlamento (oggi un parlamentare ogni 64.000, domani uno ogni 101.000; in Germania uno ogni 117.000; in Francia uno ogni 116.000), sono le funzioni che devono esercitare, da tempo svuotate dal continuo ricorso a decreti legge e voti di fiducia.

Oggi si realizza dunque la riduzione dei parlamentari: da qui bisogna partire. Con coraggio. Dal 1987 sostengo, anche con una legge di revisione costituzionale presentata in Regione Lombardia nel 1993, la riduzione a una Camera sola, in un quadro di poteri distribuiti tra Parlamento europeo, Regioni ed enti locali. Il referendum è l’occasione per rilanciare un grande disegno rinnovatore: abolire il Senato e dare autonomia legislativa differenziata alle Regioni, che debbono essere protagoniste della costruzione di una nuova Europa.

Vedo invece con preoccupazione che ci si sta incartando: si sta andando verso un “bicameralismo perfettissimo”: due camere uguali per elettori, per metodo di elezione, e per compiti. Forse è il caso di ricordare che i nostri padri costituenti, quando non era ancora alle viste l’Europa, non volevano un “bicameralismo perfetto”, ma un “bicameralismo differenziato”1.

La riduzione dunque è un passo. Come si dice, prendiamo quello che passa il convento e cerchiamo di andare avanti per rinnovare la nostra democrazia.

Luigi Corbani

1Riporto il testo originario della nostra Carta Costituzionale, che prevedeva persino il voto “sfasato” per le due Assemblee:

«La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età».
«Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d’Aosta ha un solo senatore».
«I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno».
«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni, il Senato della Repubblica per sei».



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  1. ugo targettiDevo dire che pensavo di votare no al referendum per la riduzione dei parlamentari giusto per oppormi alla demagogia di tale scelta, del resto ben dimostrata dallo stesso articolo di Corbani. Tuttavia le motivazioni di Corbani a sostegno del “si” in prospettiva di una riforma istituzionale complessiva, sono molto ragionevoli e mi danno da pensare. A tale proposito condivido pienamente tutto l’articolo: sopra tutto laddove chiede che le Regioni esercitino il potere legislativo lasciando a Province, Aree metropolitane e comuni i compiti di gestione. Come ho sempre sostenuto, insieme all’amico Valentino Ballabio e alcuni altri, le Province dunque non vanno abolite, anzi vanno rafforzate perché le loro dimensioni corrispondono alla reale struttura dei territori regionali (con significative eccezioni come la Provincia di Monza) e ai campi di azione delle principali attività economiche e sociali della popolazione. Sulla riforma del Parlamento ho una mia idea particolare: una Camera sola per la fiducia al Governo e l’attuazione del programma di legislatura; un Senato, eletto su base nazionale, con metodo proporzionale, slegato dalle maggioranze contingenti e a termine (10 - 15 anni?) per la riduzione, semplificazione e razionalizzazione (riforma) dell’abnorme corpo legislativo nazionale, compito immane che nessuna Camera, legata alle contingenze variabilissime delle maggioranze politiche, riuscirà mai a portare a termine. Un’ipotesi che forse non reggerebbe ad un’analisi giuridica esperta; tuttavia mi piacerebbe che qualcuno proponesse come passare dal “mantra utopico” della semplificazione legislativa a proposte concrete.
    5 febbraio 2020 • 19:00Rispondi
  2. FiorelloCortianaLuigi Corbani, con una analisi puntuale, mette in luce la sciatteria politica di questa proposta estemporanea. Alrettanto puntualmente illustra una redistribuzione dei poteri e della sovranità politica in termini adeguati alla integrazione globalizzata. Con una Europa fondata su un parlamento con poteri effettivi per una comunità politicamente unita. Così per la cessione di sovranità alle regioni e agli organi previsti dal Titolo Quinto della Costituzione. Ma la proposta di riduzione dei parlamentari sulla quale siamo chiamati ad esprimerci nulla ha a che vedere con il disegno da lui articolato. Essa è una espressione della intenzione di riduzione delle istanze della democrazia rappresentativa, della considerazione delle assemblee elettive, così come delle rappresentanze dei corpi intermedi, come un intoppo per la tempestività della decisione. Partecipazione, scelta, rappresentatività, non sono contemplate dentro una crisi dell'istituto della democrazia, da Bolsonaro ad Orban, da Trump a Salvini. Un processo che accompagna la deriva finanziaria dell'economia. Di questo si tratta. Invece di fare una legge elettorale costituzionale, di riorganizzare le Province come effettivo coordinamento di area vasta, di dare governi eletti dai cittadini, come prevede la Costituzione, si propone un abbaglio. Cosi per l'adeguamento dei diritti del lavoro, Cgil ha depositato 1.150.000 firme in calce ad una proposta di legge ma nessuno se ne occupa. Di cosa stiamo parlando? Di fare un pezzetto della proposta Boschi-Renzi gia rigettata? Ecco perché occorre impegnarsi per il no senza esitazioni.
    6 febbraio 2020 • 19:16Rispondi
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