1 febbraio 2020
IL REFERENDUM: UN’OCCASIONE PER RINNOVARE
Diminuire i senatori non basta, ma può essere un primo passo
1 febbraio 2020
Diminuire i senatori non basta, ma può essere un primo passo
C’è un che di surreale, di inverosimile nel referendum confermativo del 29 marzo. Dopo decenni di discussioni sulla riduzione dei parlamentari in un quadro di riforme (1983 Commissione Bozzi), ecco che oggi avviene senza un disegno istituzionale, organico: la motivazione principale è la riduzione delle “poltrone” (o quelle che rimangono non sono più “poltrone”?). Secondo una definizione qualunquista e reazionaria, l’incarico di parlamentare o di ministro o di altra rappresentanza politica è una “poltrona”, finché su quella sedia non si depositano le natiche dei “puri”, dei “predestinati”.
Anche la motivazione dei vantaggi è sciocca: lo Stato risparmia. Con tanto di striscione: “meno 345 parlamentari, un miliardo per i cittadini”. Balle, cifre inventate. La minore spesa reale, che si deve calcolare al netto delle imposte pagate sulle indennità, sarebbe di 37 milioni per la Camera dei deputati e di 20 milioni per il Senato, ovvero 57 milioni all’anno che in una legislatura sarebbero 285 milioni, ovvero lo 0,007% della spesa pubblica. Ma anche se non considerassimo le imposte, la cifra sarebbe sugli 82 milioni all’anno (52.9 per la Camera e 28.7 per il Senato, ovvero 408 in una legislatura): un seicentesimo degli interessi annuali pagati per il debito pubblico.
Il risparmio sarebbe del 5,5% sulle spese di Montecitorio e Palazzo Madama: il che sarebbe meglio di niente. Peccato che quei soldi non si traducano in minori tasse per i contribuenti: spariscono nella spesa improduttiva e assistenziale voluta dalle 5S, i 7 miliardi del reddito di cittadinanza. Oppure nei seicento milioni del deficit 2019 di Alitalia, a cui il governo ha dato un ennesimo prestito di 400 milioni: in due anni e mezzo di gestione commissariale Alitalia ha avuto 1,5 miliardi dallo Stato, che in 45 anni ha dato alla “compagnia di bandiera” 9,2 miliardi.
Vantare dei risparmi con la diminuzione dei parlamentari quando non si è capaci di governare e si adottano misure di puro assistenzialismo clientelare, è una propaganda molto meschina. Alla quale si sono sottomessi prima la Lega, poi il PD. Partendo da questa richiesta puramente demagogica si sarebbe dovuto, a mio parere, cogliere l’occasione per impostare una operazione di rinnovamento della democrazia italiana, fallita per tanti motivi con il referendum del 2016.
La riduzione dei parlamentari è logica in un contesto di riforme complessive, al cui centro ci siano i poteri legislativi sovranazionali del Parlamento europeo, su cui abbiamo puntato con l’unico referendum propositivo (1978). Noi dovremmo chiedere all’Europa di allargare le competenze sovranazionali, a maggior ragione dopo l’uscita della Gran Bretagna. Faccio solo tre esempi: la lotta alla criminalità, alla ‘ndragheta ecc. richiede misure legislative e azioni di polizia europee; non si può pensare al mercato unico del lavoro senza tutele assistenziali, previdenziali e diritti sociali europei dei lavoratori; il mercato unico dei capitali richiede una tassazione unica in Europa. E non parliamo poi dell’immigrazione, della politica estera, per il Mediterraneo e per l’Africa. O la nostra politica diventa davvero europea o continuiamo a cincischiare attorno a questioni irrisolvibili nella dimensione nazionale. Dunque da una parte la dimensione europea, dall’altra quella regionale, riportando le Regioni al ruolo costituzionale di enti legislativi sulle materie più vicine al territorio, spogliandole di compiti amministrativi (dei quali ingiustamente si sono appropriate) che devono essere destinati ai Comuni e alle Provincie o aree metropolitane.
Il problema non è il numero dei cittadini rappresentati in Parlamento (oggi un parlamentare ogni 64.000, domani uno ogni 101.000; in Germania uno ogni 117.000; in Francia uno ogni 116.000), sono le funzioni che devono esercitare, da tempo svuotate dal continuo ricorso a decreti legge e voti di fiducia.
Oggi si realizza dunque la riduzione dei parlamentari: da qui bisogna partire. Con coraggio. Dal 1987 sostengo, anche con una legge di revisione costituzionale presentata in Regione Lombardia nel 1993, la riduzione a una Camera sola, in un quadro di poteri distribuiti tra Parlamento europeo, Regioni ed enti locali. Il referendum è l’occasione per rilanciare un grande disegno rinnovatore: abolire il Senato e dare autonomia legislativa differenziata alle Regioni, che debbono essere protagoniste della costruzione di una nuova Europa.
Vedo invece con preoccupazione che ci si sta incartando: si sta andando verso un “bicameralismo perfettissimo”: due camere uguali per elettori, per metodo di elezione, e per compiti. Forse è il caso di ricordare che i nostri padri costituenti, quando non era ancora alle viste l’Europa, non volevano un “bicameralismo perfetto”, ma un “bicameralismo differenziato”1.
La riduzione dunque è un passo. Come si dice, prendiamo quello che passa il convento e cerchiamo di andare avanti per rinnovare la nostra democrazia.
Luigi Corbani
1Riporto il testo originario della nostra Carta Costituzionale, che prevedeva persino il voto “sfasato” per le due Assemblee:
«La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età».
«Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d’Aosta ha un solo senatore».
«I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno».
«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni, il Senato della Repubblica per sei».
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