10 gennaio 2020
IL CORAGGIO DI DESIDERARE
Il mare delle sardine a Milano
Sono trascorsi due mesi dall’inizio del fenomeno “sardine”, qualche giorno meno dal mio incontro con loro e ancora non so cosa siano. So, però, chi ho incontrato in questo periodo: persone. Persone che hanno una storia politica alle spalle, a volte un’identità partitica, persone che non hanno rinunciato al voto, oppure che l’hanno annullato nella cabina elettorale e che ora desiderano poter tornare a votare con convinzione. In ogni caso persone che non hanno perso la fiducia nei ruoli istituzionali e nel senso della politica, ma che sono sfiduciate da chi oggi interpreta questi ruoli.
Le sardine non sono una risposta alle mancanze della politica, piuttosto sono una domanda, un evidenziatore fluo di questa mancanza.
Di movimenti ne sono nati tanti, molti scomparsi nel giro di poco tempo, altri si sono talmente trasformati da aver perso identità.
Le sardine hanno e stanno riempiendo le piazze, ma non lo fanno insultando, non lo fanno negando o rinnegando l’importanza delle istituzioni o della politica, lo fanno invitando chi ha scelto di assumersi un ruolo pubblico a essere coerente con quel ruolo e quella scelta. Sostenendo una richiesta di capacità e competenza sempre maggiore che si muova al pari con l’attenzione per gli obiettivi ma soprattutto per chi in questo paese vive, cresce, studia e lavora.
Lo fanno nella certezza che quel ruolo abbia ancora un senso.
La S di sardine è anche la “S” di solidarietà e forse è questo uno dei valori che accomuna tutte le sardine.
Uno degli obiettivi invece è la riduzione del linguaggio d’odio e di aggressività, per quanto convinti di esserne esenti, molti di noi fanno uso della violenza verbale per rafforzare il proprio messaggio, per intimidire, aggredire sottomettere. Partendo dalla centralità della giustizia, mai messa in discussione, e del proprio punto di vista, di rado ci si ferma prima dell’insulto o dell’offesa, ecco questo è un punto di svolta: il riconoscere all’altro di poter avere un’opinione diversa senza doverlo schiacciare con la violenza a volte anche fisica, senza additarlo e incitare le masse a sommergerlo d’odio.
Chiediamo un cambiamento culturale, una cessione di certezze – che il dato di realtà dimostra errate – e la volontà di un lavoro per l’apertura al cambiamento per un incontro costruttivo delle idee.
Da anni la narrazione culturale egemone ci vuole soli, ci impone e ci consiglia di pensare prima a noi stessi e lo fa invitandoci a scaricare frustrazione e rabbia verso chi ha un grado di difficoltà maggiore del nostro, le piazze di quest’ultimo mese hanno dimostrato che non è così, che esiste un noi e un’attenzione per la parte più vulnerabile di quel noi.
Le sardine però non sono un’isola senza relazioni e contatti, hanno necessità di parlarsi all’interno e di dialogare con chi si è assunto il ruolo di “fare politica”, mantenendo la propria poliedrica identità senza rinchiudersi nuovamente nei vecchi steccati, pregiudizi o errate certezze.
Destrutturare e ricominciare, facendo tutti un passo indietro, senza avere timore di perdere qualcosa ma nella certezza di far guadagnare il paese.
Le sardine sono un incontro di persone che hanno valori e desideri convergenti, la sfida è riuscire a dare valore ai valori comuni.
A Milano è iniziato per gioco, ma il gioco è una delle attività più serie e formative che i piccoli possano fare e le sardine sono neonate.
Ma non è stato un gioco organizzare la piazza del 1 dicembre, è stato entusiasmante e complesso, con attacchi portati da molti, da sinistra a destra, sulla base di tutto o quasi (“non ha senso a Milano”, “qui non abbiamo la Lega”, “state cavalcando un sentimento non vostro”, “avete dietro Caio e Sempronio”, “la raccolta per Pane Quotidiano è populista”) cui si sono aggiunti i prevedibili imprevisti dell’ultima mezz’ora, ma Milano è Milano e il modello egoista non gli appartiene e, come sempre, ha reagito accogliendoci. Per ogni problema è comparsa la soluzione, sotto forma di un viso, di un’idea, di un numero di telefono, di un sorriso, di una mano data da tutti e dai suoi opposti.
E poi è arrivata Roma, con la sua presenza infinita, composta di persone fisiche e da desideri, scenografica quanto reale, composta di persone che hanno preso posizione.
Le piazze son passate, con l’assoluta e felice incapacità di contarle, di contarci. Gli attacchi son tornati, esterni ma anche interni, perché la tentazione di restare nei propri schemi è lì, ed è facile e accogliente, la capiamo, la vediamo ma proveremo a sfidarla e magari a vincere, a cambiare qualcosa. Intanto qualcosa è già cambiato, una sfida l’abbiamo già vinta, ora abbiamo il coraggio di desiderare e lo stiamo facendo.
Come continueremo? Intanto continueremo, seguendo i nostri valori, quelli che ci hanno fatto trovare e riconoscere, quelli che le piazze del paese condensa in “bella ciao”.
Simona Regondi
Sardina di Milano
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