30 novembre 2019

MILANO, CITTA’ AVARA?

Sì, verso le vecchie e nuove povertà


La cosiddetta "avarizia" di Milano è un episodio del vecchio dibattito nord-sud. La verità è che i doni dei quali dovrebbe essere generosa Milano, la sua posizione geografica e la sua storia, non sono trasmissibili. Comunque non è tutt'oro quel che riluce. Ogni città ha un suo specifico di pregi e di difetti.

Ucciero

Dice Giuseppe Provenzano, uomo del sud, che Milano attrae ma non restituisce, come un buco nero. Aggiunge che si è formato una sorta di “fossato” attorno alla metropoli, una discontinuità territoriale e di opportunità che discrimina chi sta dentro da chi sta fuori dai suoi confini. Una città stato del XXI secolo?

Un’immagine questa della mancata “restituzione” che è sembrata ingiustificata, come se Milano fosse un’isola a sé stante o una monade autocostruita sui suoi talenti. Molti si sono affrettati a ribattere, alcuni facendo i conti della restituzione finanziaria: 11 miliardi sarebbe il saldo negativo finanziario annuale e questo parrebbe un buon argomento, se non fosse che di altro parlava Provenzano e di altro quindi parla l’On. Paolo Grimoldi, segretario regionale della Lega.

In effetti, la questione della “restituzione” ha a che vedere, come poi chiarito dallo stesso Provenzano, con una chiave di lettura che situa il “caso milanese” nella più ampia visione della ristrutturazione delle gerarchie territoriali in atto su scala globale: “Noi abbiamo bisogno di ridurre le distanze territoriali, che nel nostro Paese non sono più soltanto tra nord e sud, ma riguardano anche il centro nord, tra i centri e le periferie, le città, le aree rurali, le campagne deindustrializzate, le aree interne. Abbiamo bisogno che le città siano un po’ più connesse al resto del paese, in modo che lo sviluppo si possa diffondere nel modo più equilibrato possibile”.

Da questo punto di vista, potremmo anche smettere di esaminare la questione milanese, allargando la discussione al Paese, al mondo e se si vuole all’intero processo storico di sviluppo che seleziona luoghi privilegiati sul territorio (oggi più di ieri?), dimenticando altri, “sottosviluppati” o, come si dice oggi, posti ai margini delle principali traiettorie dello sviluppo. Tuttavia, l’approccio globale riformulato da Provenzano investe egualmente il nostro specifico di Paese e di Milano. Beppe Sala non si sottrae: “Non credo che abbiamo nessun istinto egoistico, ad oggi è vero che Milano sta un po’ fagocitando tutta la crescita che il nostro Paese potrebbe meritare ma se mi chiedete da sindaco di Milano è’ giusto? Dico di no”, aggiungendo che “mettendosi nei panni delle imprese straniere, qui si sentono rassicurate perché sanno che il sistema funziona”.

E dunque, davvero Milano è disconnessa dal Paese e cosa davvero non restituisce? Ed infine e soprattutto e davvero si sta costituendo come “entità separata”, per ora funzionalmente e domani chissà? Che sia davvero disconnessa non pare abbia molto fondamento: il punto centrale è piuttosto la natura delle nuove connessioni tra Milano ed il suo territorio, il Nord ed il Paese.

Lasciata alle spalle la sua identità manifatturiera, Milano è sempre più luogo di finanza, servizi innovativi, ed ora, chi l’avrebbe mai detto, turismo ed economia del gusto. EXPO 2015 ha favorito la sua metamorfosi, ed oggi Milano è meta privilegiata di investimenti internazionali che la scelgono per la posizione geografica, i servizi ed i saperi, la logistica integrata, la qualità delle istituzioni, la vita culturale e civile, larga parte della sua realtà urbana: insomma una città smart, tra le più appetibili su scala mondiale.

Questa trasformazione, urbanistica, ambientale e civile, richiama le migliori risorse umane del paese, gli headquarters delle multinazionali, le grandi firme delle professioni che, a loro volta, l’arricchiscono di risorse ed opportunità. Una logica di sviluppo che attrae i grandi capitali immobiliari, le componenti più ricche dell’economia dei “marchi”, premia i ceti professionali che li gestiscono, ma lascia quasi spettatrici larghe fasce sociali nelle periferie, cittadine, metropolitane ed oltre.

Certo, in questo contesto, faremmo un grave torto se non considerassimo l’azione della filantropia milanese e dal terzo settore che ampiamente ne viene alimentato: Milano, come città che include, è sostenuta da queste realtà, che tuttavia leniscono ma non eliminano, con le cause, le sofferenze sociali. Una città che qualcosa “restituisce” ma dove la sofferenza sociale, che è sostanza dura, rimane.

Del resto, se lo stesso Sindaco finalmente dichiara che la riapertura dei Navigli cittadini non è priorità sociale e politica, significa che la questione delle periferie la sovrasta. Amen, verrebbe da dire, o più educatamente benvenuto tra noi. La nuova identità milanese è maturata nel vivo della ristrutturazione complessiva del sistema socioeconomico del nord (e quindi necessariamente d’Italia), assumendo la fisionomia di luogo direzionale della piattaforma padana che integra produzione, energia e logistica, un “cervello di territorio” che tiene saldamente in mano la mediazione finanziaria, i servizi alle imprese, le cattedrali della ricerca e del sapere.

E dunque la “disconnessione” di cui parla Provenzano sembra allora alludere in realtà alla diversa natura delle connessioni generate da un processo di cambiamento di lunga lena e bifronte come Giano: attrattivo e brillante per alcuni, povero e desolato per altri, molti altri.

Se Milano non è più la città dei capitani d’industria, delle fabbriche, e delle identità sociali costruite attorno alla produzione, ma è divenuta luogo elettivo di un’economia della finanza. del glamour, delle reti lunghe, dove la qualità urbana del centro è ingrediente del ciclo immobiliare, cosa resta al territorio, una volta premiati i grandi capitali, le professioni affluenti e quelle delle macroinfrastrutture tecnologiche (università, ospedali, energia, mobilità, ente regione …)? Lavoro precario e sottopagato, lavoratori poveri, concentrati nei servizi (ristorazione, servizi alle persone, manutenzione e logistica …)? I rider che sfrecciano sotto i grattacieli di Porta Nuova sono la sintesi plastica del discorso sulla nuova identità milanese.

La nuova gerarchia territoriale è in realtà una nuova gerarchia sociale, è la gerarchia territoriale della società globalizzata.

Caro Provenzano, allora diciamo le cose come stanno: il tema che tu poni in termini di più equa gerarchia territoriale o di “restituzione” dai luoghi ricchi a quelli meno fortunati, è in realtà il tema eterno, ma sempre più attuale, delle crescenti diseguaglianze sociali, di reddito, opportunità e ricchezza, il tema di una visione e di un assetto che gratifica sempre più il capitale e sempre meno il lavoro.

La “disconnessione” di Milano, e su scala più piccola, dei “centri” urbani dalle mille periferie italiane, è la rappresentazione territoriale di una distanza sociale gonfia di sofferenza che genera una nuova geografia politica, dove le destre, feroci ma attente al disagio sociale, fanno il pieno, traducendo isolamento e disagio in rancore e odio.

E’ un grande tema, un grande problema politico, che chiama il campo democratico a riflettere a fondo sulla natura ferocemente classista della deriva neoliberista, sul suo deficit di analisi e giudizio sui processi di globalizzazione, sull’insufficienza della sua proposta.

A Milano, come altrove, la sinistra e l’intero campo democratico, si sono inscritti in una rappresentazione che pone al centro la pur sacrosanta questione dei diritti civili, della lotta alle discriminazioni, quasi che questo, in assenza di visioni alternative di sistema, fosse diventato il suo esclusivo mandato. Ma, se si vuole davvero riprendere in mano il filo del cambiamento e riassumere su di sé la rappresentanza del sociale che soffre (i lavoratori poveri, gli anziani isolati, i giovani sfruttati, le donne sottopagate…), si deve tornare a riflettere criticamente sulla sfera economico sociale, sulle contraddizioni insostenibili dell’assetto neo liberista, sui rapporti iniqui che generano sempre maggiore diseguaglianza sociale e sulle proposte di cambiamento.

E se qualcuno vorrà dire che questo è neomarxismo, non lo considereremo un insulto.

Giuseppe Ucciero



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  1. Agostino FornaroliMilano non restituisce nulla ,anzi. Toglie, ai cittadini fuori dalla ZTL-Mun1 e soprattutto della 90/91. Il comune consente al car sharing perfino penali di 5€ per chi va in periferia. Se una domenica mattina 5 persone vogliono andare in car pooling alle Stelline in cso Magenta trovano solo sosta riservata ai residenti. Il trasporto pubblico con troppi trasbordi in periferia viaggia a frequenze anche di 27’!!!! al costo di 20€ ( 2€ x 2 x 5 ).
    4 dicembre 2019 • 14:48Rispondi
  2. giuseppe uccieroSi, ogni giorno centinaia di migliaia di lavoratori, professionisti ed imprenditori entrano a Milano e producono la sua ricchezza. Cosa ne viene restituita? Sarebbe molto interessante un bilancio di territorio che legga in modo integrato i flussi di persone e reddito e su questo sappia costruire anche una politica dei servizi basata su di una cittadinanza più ampia di quella comunale. Qualche passo si fa nella direzione di una mobilità almeno metropolitana, ma come Agostino Fornaroli segnala restano molte aree ferme ad un logica di Cinta Daziaria. Insomma, di chi è Milano? di chi ci vive o anche /almeno un poco) di chi ci lavora?
    15 dicembre 2019 • 10:39Rispondi
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