30 marzo 2019

ZINGARETTI E LA LEGGE DELRIO

Una nota dell'Unione Province Italiane insolitamente concisa e precisa


“Zingaretti saprà avviare finalmente nel Pd un lavoro serio per rilanciare le riforme amministrative e istituzionali necessarie, dopo il fallimento del referendum renziano?” È la domanda retorica che Massimo Cacciari rivolge, tra le altre, al segretario neo eletto (*). Una risposta puntuale sarebbe quanto mai opportuna in occasione del quinto anniversario della legge 7 aprile 2014 n. 56 meglio conosciuta dal nome del ministro Delrio, avamposto proto-renziano nel governo Letta.

Che tale legge risulti inadeguata alla prova dei fatti, oltre che in contrasto con il testo costituzionale che ha resistito al referendum del 2016, è abbastanza evidente, tanto da indurre le organizzazioni dei Comuni e delle Province (ANCI ed UPI) a proporre sia pur timide proposte di revisione (**) la cui riuscita per altro risulta alquanto improbabile stante l’incerta sorte del quadro politico attuale.

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Più stimolante invece la scheda, insolitamente concisa e precisa, riguardante le Città metropolitane, redatta dall’Unione Province Italiane (UPI), che pone tre punti di diretto interesse per la realtà milanese. Il primo: “è necessario verificare se tutte le 10 Città metropolitane istituite con la legge 56/14 e le 4 Città metropolitane istituite in Sicilia e Sardegna richiedano effettivamente una disciplina specifica rispetto a quella delle Province in ragione della realtà territoriale di riferimento e in considerazione del fatto che, superate le incertezze degli ultimi anni, le Province restano istituzioni costitutive della Repubblica previste in Costituzione”.

Pertanto, risultando con tutta evidenza Milano con Roma e Napoli le uniche aree aventi caratteristiche metropolitane certe, si tratta di sceverare il grano dal loglio, restituendo a tutte le altre il giusto rango di province, per quanto insigni per rilievo storico e peso socio-economico. (Un dubbio si potrebbe porre per Torino, ma lì il pur comprovato contorno metropolitano si estende inevitabilmente fino alle valli ed alle vette alpine di confine!).

Secondo punto: “occorrerebbe pertanto provvedere finalmente, sulla base delle esperienze avviate, ad una revisione del territorio delle aree metropolitane, con una conseguente revisione delle circoscrizioni provinciali limitrofe, senza che questo porti ad un aumento del numero delle Province”. E ci mancherebbe altro, vista la insana proliferazione delle stesse in contemporanea con la furiosa e pressoché unanime richiesta di abolizione!

Per quanto ci riguarda da vicino c’è da chiedersi, alla luce di un’esperienza più che decennale, se ha ancora senso il distacco di Monza e dintorni ovvero la “città infinita” protesa a nord del capoluogo e parte integrante del sistema metropolitano. Non a caso gli egregi imprenditori brianzoli ci hanno ripensato, riportando Associazione industriali e Camera di commercio nell’alveo naturale arioso-milanese. Discorso diverso per la separazione di Lodi e del “sud bagnato” (per dirla con Carlo Cattaneo) esteso sino agli argini del Po ed assimilabile alle province agricole limitrofe.

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Terzo punto: “la specificità di ogni area metropolitana imporrebbe che il legislatore intervenisse con provvedimenti legislativi che differenzino la disciplina di ciascuna Città metropolitana, su funzioni, dimensioni, organi di governo e risorse, sul modello di quello che dovrebbe avvenire con la legge speciale su Roma capitale prevista nell’articolo 114, comma 3 della Costituzione.”

Qui viene chiamata in causa la responsabilità e l’iniziativa della classe dirigente, a cominciare da eventuali proposte e programmi utili per le ormai non lontane elezioni comunali milanesi. Nel caso non si tratterebbe di attendere norme astrattamente calate dall’alto, bensì di costruire un’ipotesi dal basso, basata sull’analisi concreta della rispondenza tra contenuti socio-economici-territoriali e contenitori istituzionali-amministrativi.

Oppure lasciamo ancora una volta l’iniziativa nelle mani della Lega, come accaduto per la questione delle autonomie regionali differenziate? Continuare ad accodarsi passivamente oppure sfidarla sul suo terreno (con un po’ di tattica machiavellica: a mascalzone risponde mascalzone e mezzo): un’autonomia metropolitana differenziata anche dentro la maxi-regione per “ funzioni, dimensioni, organi di governo e risorse” appunto!

Giusto per riequilibrare il modello lineare che collega gli enti costitutivi la Repubblica secondo gli articoli 114 e 118 della vigente Costituzione, la parte virtuosa e inattuata della, per altri versi, assai discutibile riforma del 2001.

Valentino Ballabio

(*) M. Cacciari, “Zinga cambi il PD ma non per fiction”, Il fatto quotidiano, 12 marzo 2019
(**) ANCI, Contributo per la revisione della disciplina in materia di province, (26 febbraio 2019); ed UPI, Scheda sulle funzioni fondamentali delle province, (27 febbraio 2019)



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  1. Pierluigi RoccatagliataAssolutamente d'accordo. Ma indirizzi pratici troppo razionali per poter avere futuro nella realtà di oggi. Comunque, continuiamo pure a ragionarci sopra e a sognare.
    3 aprile 2019 • 11:25Rispondi
  2. Ugo TargettiApprezzo come sempre l'efficacia degli articoli di Valentino Ballabio nonché la coerenza e la capacità di mantenere l'attenzione sulla riforma degli enti locali, che dovrebbe essere tema fondante per il programma dei partiti progressisti a partire dal PD, specialmente dopo il fallimento della riforma istituzionale. Sarebbe un grave errore restare a rimorchio delle iniziative della Lega. Autonomia regionale, autonomia fiscale, autonomia delle Città metropolitane vere (Milano e Napoli oltre a Roma Capitale) e loro ridefinizione territoriale, ruolo delle province e loro ridefinizione territoriale e funzionale, ma sempre come enti di primo livello (ad elezione diretta); ricomposizione delle funzioni dei piccoli comuni. L’attuale maggioranza di governo non è politicamente in grado di affrontare una riforma organica e avrà difficoltà a chiudere la partita dell’autonomia regionale. C’è tempo quindi per discutere e preparare un proposta al Paese, cominciando dalla Lombardia e da Milano.
    3 aprile 2019 • 11:38Rispondi
  3. PAOLO MONARID'accordissimo sulla necessità di mettere chiarezza sull'argomento. Mi sembra metodologicamente necessario distinguere con molto rigore tra modifiche fattibili nel breve e modifiche, più sostanziali, cui dedicare più tempo. Il riassetto degli organismi di governo non è problema affrontabile nel breve: non ne saremmo capaci e faremmo errori anche più grossi di quelli fatti da Del Rio. Ritocchi nelle attribuzioni di risorse e di responsabilità sono invece proponibili nel breve, troverebbero convergenze, rimedierebbero evidenti distorsioni. A CONDIZIONE PERO' DI NON MESCOLARLI CON PROPOSTE DEL PRIMO TIPO.
    3 aprile 2019 • 17:55Rispondi
  4. valentino ballabioCaro Monari la "politica dei due tempi" è stata una vecchia tattica democristiana per non affrontare mai il secondo tempo. Ma nel resto d'Europa (non solo Londra e Parigi ma metropoli medie come Francoforte, Lione, Barcellona, ecc.) la partita l'hanno conclusa e vinta a partire da 30/40 anni fa!
    5 aprile 2019 • 16:23Rispondi
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