26 marzo 2019

DOPO LE PRIMARIE: IL PD TRA CRISI DI CRESCITA E MALDIPANCIA

Come guardare avanti?


Per molti, il PD a Milano vive nel migliore dei mondi possibili. Al governo cittadino dal 2011, accompagna la città nel percorso di crescita civile che ne fa il principale punto di riferimento del centrosinistra nazionale. Le primarie sono state partecipate e hanno incoronato anche qui con largo margine Nicola Zingaretti. Tutto bene quindi? Chi ne vive le vicende più da vicino nutre qualche dubbio e segnala qui e là alcune faglie prodotte dalle zolle tettoniche che si muovono sopra e molto più sotto la sua rassicurante superficie.

La prima questione riguarda la capacità del partito di esprimere figure di alto profilo. Se da due consiliature il candidato sindaco non nasce nel vivo della sua struttura, ma come espressione della società civile (Beppe Sala) o di altri contesti politici (Giuliano Pisapia), qualche domanda dovremo pur porcela. Dopo Penati, il processo di crescita e selezione del gruppo dirigente milanese pare come essersi arrestato di fronte a un soffitto di vetro che non lascia filtrare le sue “maggiori” figure, personale politico che quando va bene si accalca di fronte ai posti molto confortevoli del Consiglio regionale e del Parlamento.

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Non si è sottratto a quest’onorevole pratica neppure il già segretario metropolitano, Pietro Bussolati, che pure aveva investito molto, o così diceva, sul rinnovamento del partito. Luogo che appare più come il trampolino di lancio verso altri scenari che ambito dove costruire una classe dirigente cittadina e metropolitana.

Le prossime elezioni cittadine non sono lontane (maggio 2021!!), ma i giochi anche questa volta sembrano fatti e mentre Beppe Sala si prepara al rinnovo, il maggiore dei personaggi democratici cittadini soppesa e sembra propendere per Bruxelles. Certo il parlamento europeo appare questa volta più che in altri tempi come luogo ben posizionato sotto i riflettori ma resta comunque la conferma di un PD che, come nello Statuto Albertino, “regna ma non governa”. Porta voti, ma non decide, architrave di un sistema politico che non guida.

Se l’apertura del partito democratico alle energie nate e cresciute fuori dal suo recinto è in generale una buona cosa, come valutare la condizione di un partito che strutturalmente non esprime il Sindaco pur essendone il maggior elettore? Il PD è destinato a restare per sempre figlio di un “dio minore”, oppure non è giunto il momento in cui porsi i perché e i come di un nuovo protagonismo? Davvero Pierfrancesco Majorino è disponibile a una trasferta che inevitabilmente lo staccherà dalla sua città e davvero lo farà all’ombra, anche questa volta, di un albero più alto e fronzuto come Giuliano Pisapia.

Attorno a lui altri alberelli sono cresciuti, da Maran a Bertolè, e anche a loro, per non parlare di qualche cavallo di ritorno dal Parlamento, si pone il quesito se non sia arrivato il momento di un salto di qualità, di un posizionamento che, dalla rappresentanza del partito, possa ambire a una candidatura a Sindaco. E se non se lo pongono loro, non sarebbe comunque necessario e utile che se lo ponesse il partito?

Altra questione, rimasta sul campo dalle primarie del 3 marzo, è la gestione della segreteria. Lasciata dalla precedente maggioranza quasi in eredità a Silvia Roggiani, accade ora che quell’assetto politico è del tutto superato. Mentre il segretario regionale ha trovato la sua maggioranza nelle prime quasi pionieristiche intese tra la sinistra del partito e altre in progressivo distacco dalla compagine renziana, accade che Silvia Roggiani sia stata eletta contro il candidato della sinistra, trovando a suo sostegno non solo la compagine renziana ma anche quella stessa area che in Regione ha sostenuto Peluffo.

Come se non bastasse, Zingaretti ha vinto e bene a Milano, trovando però i suoi voti non solo tra la sinistra e i pezzi dell’ex maggioranza che avevano votato Peluffo, ma anche, si badi bene, interi settori della compagine renziana avevano sostenuto Roggiani e che si sono riposizionati sullo scacchiere nazionale: Quartapelle e Bussolati, Maran e Razzano, non hanno ritenuto di dare fiato ancora né a Giachetti (il duro e puro), né a Martina (il cavallo perdente).

Ora, stando così le cose, come non vedere che la segreteria Roggiani è nata sotto un cielo politico e pochi mesi dopo si trova sotto un altro? E come non capire che alla segretaria è richiesto un delicatissimo compito di ridisegno degli equilibri politici della sua maggioranza e degli organigrammi, che da questi nuovi equilibri traggono legittimazione e forza. Che poi, si tratta di ben capire, che sotto gli organigrammi, o se volete sopra, si muovono questioni assai corpose di aggiornamento della proposta politica, dei contenuti e dei suoi riferimenti sociali.

Se il PD renziano è stato onorevolmente un partito dei diritti, è anche vero che all’ombra di questa visione, si è data certo ai diritti civili ma si sono quasi dimenticati quelli sociali, e in primis la visione del lavoro e della distribuzione della ricchezza nel paese: tradotto in milanese è la questione delle periferie. Infine, ma non per ultimo, restano nel corpaccione del partito democratico metropolitano le scorie generate dalla composizione delle liste per le primarie.

Il mal di pancia è diffuso sul territorio, che si è visto scavalcato a destra e sinistra, sotto e sopra, dalle logiche correntizie che hanno invaso il campo, imponendo candidati esterni ai collegi, non importa se belli, buoni e bravi, piuttosto che brutti, cattivi e pessimi.

Qui non si tratta, beninteso, di stigmatizzare questa o quella corrente, né di denunciare questo o quel capobastone, a loro volta resi vittime e carnefici da una procedura di selezione dei candidati che opprime e mortifica il principio di rappresentanza dei territori. Il problema, come si diceva una volta, è a monte, si trova nelle regole statutarie e nei principi che oggi le ispirano.

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In breve, oggi i candidati sono selezionati senza alcun riguardo alla loro appartenenza ai collegi né tantomeno sono scelti dagli elettori del collegio. Vige il principio delle liste bloccate a sostegno di questo o quel candidato alle primarie, dove è ben chiaro che, in assenza di altri criteri, si impone quello della benedizione del capo corrente: decide lui e non altri se al posto eleggibile debba andare questa o quell’altra persona e naturalmente opta per quella a lui fedele, non per quale più capace o riconosciuta dal territorio.

Questo sistema di composizione delle liste e di elezione dei membri dell’Assemblea Nazionale per investitura del capo corrente e non per diretto mandato del collegio è una vera stortura sia del criterio di effettiva rappresentanza che di selezione dei gruppi dirigenti locali, incoraggiati a praticare più che il rapporto con il territorio quello con il loro dante causa, che li lega a sé per rapporto diretto di fidelizzazione.

Tre questioni abbiamo posto, e altre si muovono più o meno sottotraccia, come ad esempio il destino dell’ex minoranza di sinistra, a sua volta scomposta in orlandiani, cuperliani, damianiani, un’area che, dopo aver tenuto alta una certa visione del PD in tempi molto difficili e pagando prezzi altissimi, si trova paradossalmente, ed anche per sua colpa, ai margini dei nuovi assetti.

A Milano non si sta male, per ora, ma non mancano, per chi vuole vedere, fonti di preoccupazione e di confronto politico.

Giuseppe Ucciero



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  1. luigi caroliSALA espressione della società civile PISAPIA albero alto e forzuto MARAN alberello cresciuto UCCIERO dotato di occhiali molto particolari
    28 marzo 2019 • 16:44Rispondi
  2. giuseppe uccieroCarissimo Caroli, il mio oculista mi tranquilizza, godo di ottima vista e non ho bisogno di mettere occhiali. Si adombra per le qualifiche attribuite a Sala, Pisapia e Maran. Le confermo: Sala è manager di lungo corso (o no?), non è espressione della politica, ma della società civile. Se poi si confonde movimento civico con la società nel suo complesso, non è affar mio, nè si può argomentare che Sala, per aver coltivato rapporti con la politica, ne fosse un suo componente. Pisapia invece è uomo politico a tutto tondo, deputato di Rifondazione Comunista per 2 legislature, protagonista della principale innovazione politica degli ultimi 10 anni e non solo a Milano: che di fronte a lui Maran sia come un alberello ci sta tutta. Se lei vede altro, ne ha ben diritto, ma a dispetto dell'evidenza. Se non la vede, controlli lei le sue diottrie (categorie interpretative), ma soprattutto entri nel merito, invece che tergiversare attorno a questioni puramente tassonomiche: le sta bene che il PD a Milano da 10 anni non tocchi palla nell'elezione del Sindaco? Non crede che i grandi cambiamenti degli ultimi mesi impongano alla segreteria metropolitana un importante riposizionamento? Cosa pensa di primarie dove i rappresentanti all'Assemblea Nazionale del PD non sono scelti ed eletti dai territori?
    30 marzo 2019 • 11:00Rispondi
  3. giuseppe uccieroCarissimo Garoffolo, Non solo s'inzucca a leggere qualcosa che non le piace, ma replica con argomenti del tutto elittici. Cosa c'entra il comportamento di Beppe Sala in aula e cosa poi l'eroica tenuta che per "quattro soldi" i peones del pd garantiscono ad un Signor Sindaco che poco o nulla li considera? E non sarebbe anche questo un argomento a conferma della subordinazione del PD ad Sindaco che non esprimono più dalle proprie fila? Ma lei su questo tace e tergiversa del "lifroc"..... Personalmente, con diversi articoli, ho stigmatizzato la condizione minoritaria del partito di maggioranza, non sono stato tenero con Beppe Sala (vedi Navigli e ruolo del Consiglio Comunale) e può stare certo che neppure il mio contributo, se mai il Sindaco l'avesse letto, gli avrebbe fatto piacere. Dunque di che parliamo sig. Garoffolo?
    30 marzo 2019 • 11:17Rispondi
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