4 marzo 2019
RISVEGLIO DEMOCRATICO E LE RONDINI DI MARZO
Perché dopo un anticipo di primavera non ritorni subito l'inverno
4 marzo 2019
Perché dopo un anticipo di primavera non ritorni subito l'inverno
Sabato e domenica, due meravigliose giornate piene di sole e partecipazione. Con “people” una larga parte di società civile ha detto basta all’orrendo inverno salviniano. Con le primarie il popolo democratico ha dato un segno forte di speranza e resilienza politica. Ce n’era un gran bisogno, per togliersi di dosso la patina di rassegnata depressione dove ci hanno precipitato il peggior governo della repubblica, spuma di acque torbide, come avviene sempre nei momenti in cui i valori democratici del vivere civile sembrano come ritirarsi, e l’insipienza del campo democratico, talmente grave da divenire paralisi, afasia, dimenticanza di sé e della propria missione.
C’era un gran bisogno dell’interminabile corteo coloratissimo e ricco di dì tutte le differenze che fanno la ricchezza sociale del nostro vivere e non è un caso che proprio Milano ne sia stata incubatrice, luogo sociale e culturale dove è maturata una manifestazione che riconcilia il nostro paese con i valori universali, fondativi della Costituzione. Non è un caso che la ripresa della coscienza di sé abbia trovato nella classe dirigente “locale” il seme di una prospettiva nazionale, mettendo una volta di più all’ordine del giorno la particolare valenza che Milano gioca sullo scenario della rifondazione dell’intero campo democratico.
Fallito il generoso tentativo di Giuliano Pisapia, Beppe Sala e Pierfrancesco Majorino hanno ripreso il campo di un centro sinistra allargato, promuovendo un’iniziativa che ha convinto gran parte del ricchissimo tessuto associativo e di popolo senza aggettivi. Non sappiamo esattamente quante fossero le persone al corteo, 200.000 o 150.000 o 250.000, alla fine poco importa, quello che conta è che il 2 marzo si sono ritrovati forza ed entusiasmo per opporsi all’isteria discriminatoria di una destra giallo verde aggressiva e volgarmente reazionaria. Ancor peggio della pur devastante stagione berlusconiana, quest’anno ormai trascorso ha incrinato il quadro dei valori culturali che fanno da collante ad un senso di cittadinanza aperto ed inclusivo, aprendo o riaprendo linee di faglia sul terreno dei diritti civili, su cui la nostra Costituzione è tanto chiara e perentoria.
C’era un ancor più grande bisogno della larghissima partecipazione popolare alle “primarie” per l’elezione diretta del segretario del partito democratico. Un popolo intero, altro che i 40.000 clic della piattaforma Rousseau, ha segnato con la sua presenza fisica un desiderio di riscatto e di iniziativa che tocca oggi al nuovo gruppo dirigente di riprendere, valorizzare, accrescere, nella comprensione che la mobilitazione di una così larga massa di persone di tutte le età, genere, luogo,e ceto, costituisce la principale risorsa per la rinascita e la rifondazione non solo del partito democratico ma del centro sinistra tutto. La massiccia partecipazione, ben oltre il 1i600.000 votanti è andata molto, molto, oltre ogni sogno democratico, che pure si sarebbe ben accontentato di poco più della metà. Oggi, grazie a questa mobilitazione, Zingaretti si può far forte di un mandato autorevole, da esercitare bypassando le forche caudine delle estenuanti mediazioni con i suoi numerosi sostenitori correntizi.
Due splendidi segnali, due giornate di primavera anticipata, forse però di quelle temute dai contadini, resi prudenti dall’esperienza amara: “una rondine non fa primavera”. In effetti, il lunedì è stata giornata buia e piovosa e si annunciano forti peggioramenti, quasi rappresaglie di un inverno che vorrebbe riappropriarsi della sua stagione. Anche a noi democratici allora tocca di scrutare l’orizzonte ed incombe il dovere della misura e dell’intelligenza critica dei fatti, specialmente di fronte a quelli più entusiasmanti e rari?
In breve la domanda è una sola: se il popolo ( ma quale) è pronto con la sua generosa mobilitazione è pronta la politica?
Sono pronte le proposte, le strategie, i programmi ed i comportamenti coerenti che ci consentiranno di tradurre il potenziale finalmente riemerso in effettivo vantaggio politico da cogliere sul campo? E soprattutto: è superata la divaricazione strategica che ha lacerato il PD negli ultimi anni? Certo se dovessimo basarci solo su “people”, non avremmo dubbi, ma è una risposta troppo facile. Con “people”, società civile e partito democratico hanno ritrovato agevolmente il contesto per una battaglia unitaria e non a caso. Il campo dei diritti civili, della lotta contro i comportamenti discriminatori legati al colore della pelle, al genere, all’orientamento sessuale, al credo religioso, alle convinzioni ed agli stili di vita, trovano nella sinistra, anzi nelle sinistre, e nello stesso partito democratico un interlocutore ampio, convinto e coeso. Non si deve dimenticare quanto di buono la segreteria Renzi ha fatto su questo tema, rivendicandolo e giustamente come importante azione di governo. Però se questo non bastò ad evitare il crollo del 4 marzo, dovremmo pure chiederci se potrà bastare oggi o se non serve anche altro, o meglio “anche” altro.
E cos’altro se non una chiara e convinta ripresa di iniziativa sul tema del lavoro, del welfare, dell’eguaglianza sociale, dello sviluppo, delle politiche industriali, ed in senso ancora più ampio della iniqua globalizzazione che cerca risposte, ma ancora non trova, nella politica. E lavoro vuol dire diritti sul luogo di lavoro, lotta al precariato diffuso, contestazione sistematica delle differenze di genere nei salari e nelle carriere. E welfare vuol dire l’affermazione dell’universalità delle tutele a partire dal riconoscimento dei differenti bisogni espressi dalle soggettività delle donne, dei lavori gravosi, delle carriere discontinue.
Su queste essenziali questioni, Zingaretti è atteso alla prova, ma non dai militanti che pure gli hanno aperto una generosa apertura di credito e neppure dagli elettori e dai simpatizzanti che hanno affollato speranzosi i gazebo, spostando a sinistra gli equilibri. Zingaretti è atteso alla prova dalle decine di milioni di lavoratori, piccoli imprenditori, donne, casalinghe, pensionati e giovani, che restano ai margini della partecipazione se non affronta le questioni esistenziali che ne minano fiducia e convinzione democratica. La linea di faglia tra PD e larghissime fasce di popolazione, è bene esserne coscienti, non si supera “solo” con people e con la generosissima difesa dei valori universali.
Se oggi, queste larghe masse affollano affascinate i comizi di Salvini, se oltre il 60 % degli italiani lo ha sostenuto sull’infame vicenda della Diciotti, dovremmo pur chiederci da dove e perché nasce questo sostegno, dove e come il veleno della competizione tra poveri si è insinuato nei cuori, e se e come il Partito Democratico non abbia gravi responsabilità in questa preoccupante deriva. Certo i 5 Stelle si sfarinano, e la logica del pendolo può pure compensare con il ritorno di alcuni delusi, ma difficilmente il campo democratico potrà ritrovare la sua presa sulla maggioranza della popolazione se non saprà proporsi in modo convincente sui temi esistenziali del meridione, delle tante periferie, delle povertà diffuse dove cadono sempre più larghe fasce di ceto medio.
Ieri Zingaretti è andato a Torino per la TAV, presentandosi come campione delle categorie produttive e dello sviluppo. Va bene, è un simbolo dove 5 stelle paga pegno e comprendiamo pure che andare a trovare Chiamparino è un modo di rimettere al suo posto Carlo Calenda. Ma se qualcuno misurasse il consenso pro TAV tra la folla oceanica di “people”, incapperebbe in forti aree di dissenso. E se di converso non rimettesse mano al JOBS ACT si può stare sicuri che ne troverebbe forse altrettante, proprio tra quegli elettori che si sono riavvicinati con le primarie. Sono molte le faglie e le contraddizioni a cui Zingaretti dovrà far fronte con tenacia e fantasia politica. Insomma c’è molto da fare, e la stagione bella deve ancora prendere piede.
Una rondine fa primavera?
Giuseppe Ucciero
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