18 febbraio 2019

AUTONOMIA DIFFERENZIATA ED INDIFFERENZA POLITICO-ISTITUZIONALE

La discussione reticente e tardiva sulla forma della Repubblica


Con un’agile azione di contropiede la forza politica di governo che al momento viene data per abile e vincente ha posto all’ordine del giorno l’“autonomia differenziata” per tre Regioni. O meglio dire per due e mezzo, posto che l’Emilia Romagna si è parzialmente accodata a Veneto e Lombardia che vantano la copertura di referendum consultivi ovviamente vittoriosi e avvalorati dal pressoché unanime sostegno di tutte le parti politiche lombardo-venete.

190218_Ballabio-03Inoltre le rivendicazioni autonomiste si avvalgono della pre-intesa firmata dal governo Gentiloni nel febbraio 2018, a ridosso delle elezioni politiche, con un’accordo-capestro che mette lo stesso Parlamento nella difficoltà di discuterlo e modificarlo. Per non parlare della mancata discussione pubblica preliminare e dello scarso o nullo coinvolgimento delle restanti istituzioni locali e intermedie.

Ma per discutere occorrerebbero interesse e motivazione da parte di una classe politica che spesso ha trattato la questione istituzionale con superficialità e incoerenza, purtroppo a cominciare da un centro sinistra che l’ha usata strumentalmente: vedi il fallito referendum costituzionale (che tra l’altro prevedeva proprio un ri-accentramento di funzioni dalle regioni allo Stato!) e la fallimentare legge Delrio, anch’essa peraltro in via di (pure sotterranea) revisione.

Ma che dire nel merito? Forse prima di esaminare le ricadute nei singoli campi (scuola, ambiente, infrastrutture, fisco, ecc.) è bene riflettere sui fondamentali, sulla forma e dunque sulla natura che la Repubblica ancora “democratica” andrebbe ad assumere una volta ridotta “a pezzi” variamente autonomi. Sovvengono alcune considerazioni generali già espresse su queste colonne il 1° novembre 2017 (mi scuso per l’autocitazione ma tornano attuali, augurandomi tuttavia che Arcipelago possa raccogliere contributi e critiche al riguardo):

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La questione si intreccia con il recente referendum regionale teso – nelle intenzioni dei promotori e degli incauti sostenitori – ad ampliare competenze e funzioni nelle materie “concorrenti” elencate all’articolo 117 della Costituzione, con l’obbiettivo di un’ulteriore espansione burocratico-amministrativa della maxi-regione, ovvero di aggravare i difetti già generati dalla parte più discutibile della riforma del Titolo V° del 2001.

 

Tale riforma, operata dal centro-sinistra al termine di una tormentata legislatura, ebbe infatti origine da due spinte contrastanti. Da un lato il modello europeo improntato al principio di sussidiarietà che aveva mosso il trattato di Maastricht, con gli articoli 114 e 118 che configurano una scala di livelli istituzionali adeguati e differenziati tra loro (non dentro di loro!). Dall’altro la spinta separatista/federalista della Lega della prima ora che indusse, con il classico meccanismo della “rivoluzione passiva”, l’incerta maggioranza dell’epoca a consentire un’ampia sovrapposizione di poteri statali e regionali (articoli 116 e 117).

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Il primo scenario è aperto e inclusivo: io sono nello stesso tempo cittadino del quartiere e del comune, della provincia e della regione, della nazione e dell’Europa, potenzialmente del mondo. Il secondo scenario è chiuso ed esclusivo: sono padrone in casa mia e autonomista/indipendentista entro un recinto ritenuto identitario. Va comunque riconosciuto che la Lega ha esercitato per più di un ventennio, nel bene e ancor più nel male, una vera e propria egemonia sulla questione istituzionale, rimorchiando all’inseguimento un centrosinistra abulico e subalterno (fino all’improvvido strappo renziano Boschi-Delrio) e ultimamente anche un cinquestelle ignaro e innocuo.

Che fare allora? I guasti sono irreversibili o è possibile, registrati gli errori, invertire la rotta? Sulla carta la soluzione è duplice e insieme semplice. Primo: abolire le modifiche perverse nel rapporto Stato-Regioni introdotte nel 2001 per tornare al testo aureo del 1948. Secondo: abrogare la legge Delrio e rovesciarla per ricostruire con i piedi per terra un sistema istituzionale razionale, essenziale, sostenibile.”.

Certamente, poco più di un anno fa, i rapporti di forza erano diversi e si poteva ancora sperare che un cambio di passo del campo riformatore e progressista potesse rimediare errori e recuperare consensi. Oggi è più difficile. Tuttavia continuare a formulare buoni propositi senza ragionare sui mezzi politici, istituzionali ed amministrativi per realizzarli è semplicemente illusorio.

Valentino Ballabio

 



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  1. Miro CapitaneoRisposta da uomo della strada: perche' la Sicilia che ha autonomia e fa debiti e sprechi ripianati dallo Stato centrale non e' stata commissariata? Allora noi confidiamo nel fatto che le nostre regioni ( forse piu' responsabilizzate) abbiamo piu' autonomia e non soffrano per gli sprechi degli altri. Le logiche del cittadino comune (poco informato) sono elementari.
    20 febbraio 2019 • 13:37Rispondi
  2. Gaspare JeanNell'attuale dibattito sull'autonomia differenziata c'è "il detto" e "il non-detto": si parla di aumentare il numero delle materie concorrenti; in effetti chi ha votato al referendum lo ha fatto sulla parola d'ordine leghista "teniamoci in casa i nostri soldi". Salvini dice che le spese sono più oculate se controllate da vicino, senza pensare a Trota o a mutande verdi, ecc. ecc. Inoltre si pensa che le Regioni abbiano la facoltà di gestire il proprio commercio con appositi uffici esteri; questo vuol dire che alcune regioni si agganceranno all'Europa (qualunque essa sarà) ed altre non lo potranno fare. E' una vera e propria secessione
    20 febbraio 2019 • 15:57Rispondi
  3. Ugo TargettiL’autonomia di cui si tratta non è l’autonomia fiscale pur prevista dalla Costituzione: lo Stato trasferirà completamente a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, alcune competenze ora concorrenti Stato / Regioni e le risorse relative, ma il prelievo fiscale resterà centralizzato. Le Regioni e gli enti locali continueranno a non avere la leva fiscale per attuare le proprie politiche; penso in particolare al governo delle città e alla pesante fiscalità connessa alle trasformazioni edilizie che potrebbe essere modulata in funzione degli obbiettivi pubblici. Questa sarebbe stata una battaglia per l’autonomia “rivoluzionaria”, impedita di fatto dalle precarie condizioni della finanza pubblica nazionale.
    23 febbraio 2019 • 11:18Rispondi
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