11 febbraio 2019

“SIAMO EUROPEI”

Carlo Calenda, generoso apripista o padre padrone?


Ieri Matteo Orfini, ha apposto anche la sua sigla al manifesto “Siamo Europei”, e l’ha fatto a nome e per conto dei tre sfidanti che competono da qui al 3 marzo per la carica di Segretario del PD. Un’adesione di enorme rilievo politico, ben oltre la sua sbiadita figura (avrebbe detto il grande Fortebraccio: “Si aprì la porta e non entrò nessuno: era Matteo Orfini), e che fissa un punto di non ritorno nella prospettiva delle elezioni europee di maggio. Conviene quindi svolgere qualche considerazione.
La lettura del manifesto è utile e per certi aspetti confortante: forte il richiamo allo spirito dei fondatori, drammatica la chiamata alle armi contro il populismo, sufficientemente concrete le proposte, emblematica la proposta di creare il “gruppo di Roma” in contrapposizione a quello antieuropeo di Visegrad. Certo appare invece, come dire, originale, per non dire disordinata, la sua genesi.

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Un neoiscritto del partito democratico, già ministro dello sviluppo economico e figlio della bravissima regista Cristina Comencini, decide, lui da solo, di non attendere l’esito del processo popolare di elezione del segretario del partito, e di definire una piattaforma programmatica, una logica delle alleanze, il posizionamento del suo partito, l’uso del simbolo, per non dire della leadership della lista, e chiama tutti a dire oggi, prima che si chiudano le assise legittimate del suo partito, se la sua pietanza va bene o no e se sì di aderire.
Lasciate da parte cene, merende e financo gli aperitivi, attorno cui aveva più volte tentato di riunire i “maggiori” del PD, ha ben pensato di convocare il movimento attorno alla sua personale figura: come diceva Napoleone “en avant, l’intendance suivrà”, all’attacco e …. le salmerie seguirà. Che una certa misura rilevante di ego non manchi al Calenda è chiaro, così si è lanciato in avanti, ben convinto che le salmerie (il PD) seguirà.

Ha fatto bene? Ha fatto male? E soprattutto è utile la sua iniziativa? E quali le controindicazioni.

Lasciamo pure da parte, l’argomento pur rilevante se questa modalità, per così dire napoleonica, sia corretta o meno dal punto di vista di una buona gestione del partito: su questo, la sua iniziativa è quantomeno opinabile, per non dire contestabile, e si può pure stare certi che, un secondo dopo la proclamazione del vincitore delle cosiddette primarie, il neo segretario prenderà tutte le iniziative possibili per riaffermare il suo ruolo di massimo dirigente, riparando al vulnus subìto, ed inevitabilmente aprendo un fronte di tensioni con l’autonominato leader del Manifesto e della lista. Inevitabile ed anche corretto.

Ma è la sostanza che conta, e quindi la proposta della Lista Siamo Europei autocapitanata da Carlo Calenda contribuisce positivamente alla mobilitazione del campo democratico? La risposta, come tutto in politica, deve essere contestualizzata nel tempo e nello spazio, e dunque qual era la situazione prima della discesa in campo di Calenda?

Un partito democratico tutto intento alle cose sue, per larga parte autoreferenzializzato, un campo democratico depresso e come polverizzato, un clima da Annibale-Salvini alle porte: in questo contesto, lo spettro delle elezioni europee a poco meno di tre mesi dalla data fatidica del 3 marzo. Un quadro di grande preoccupazione, aggravato particolarmente da un PD da molti mesi afasico, inesistente nella guida, delegittimato nella sua residua rappresentanza: un grande vuoto.

Un soggetto assente, che avrà solo dalle primarie, così si spera, un segretario capace di iniziativa e di rappresentanza. Dunque Calenda e il suo Manifesto hanno riempito un vuoto politico inquietante, e indicato una strada, una prospettiva. Su cui si può discutere, dissentire e prendere le distanze, ma almeno una presenza attiva, complessivamente vicina alla visione del campo democratico in Europa. Questa la principale valenza positiva della proposta e dell’iniziativa. Del resto si può discutere e molto.

Intanto l’impianto “unitario”, l’aver concepito il Manifesto non come il quadro in cui tutti i soggetti democratici possono autonomamente trovare riferimento ideale, ma piuttosto la premessa di un “cartello” elettorale, sotto le cui insegne collocare le diverse forze e sensibilità.

Occorre, da questo punto di vista, ricordare che la competizione elettorale europea è regolata dal principio proporzionale e non maggioritario, e sotto questo profilo non è detto che un “cartello” prenda più voti delle forze che lo compongono. Il richiamo unitario a sinistra muove sempre i cuori, ma bisogna anche ricordare che l’unica occasione di grande cartello elettorale a sinistra, in un contesto proporzionale, si concluse con il drammatico esito del 1948 (fronte popolare PCI-PSI-Alleanza Femminile-Alleanza Repubblicana Popolare – Costituente della Terra – Movimento Rurale – Movimento Cristiano per la Pace – Movimento di Unità Socialista).

Ma vi è di più.

La definizione del “perimetro” del cartello suscita grandi interrogativi, prima di tutto nella sostanza eppoi nel metodo. Dice Carlo Calenda che nell’iniziativa non possono trovare spazio né Forza Italia né Leu. Ora che Forza Italia non possa entrare in un rassemblement di centro sinistra è pacifico, molto meno è l’esclusione di Leu, specie se s’intende la bandiera sventolata da “Siamo Europei” come unità delle forze europeiste democratiche. Ma, in definitiva in base a cosa Calenda, che è un iscritto del PD, decide chi è dentro e chi è fuori: qual è la sua legittimazione? Non toccherebbe al PD, e al suo segretario, come alle altre forze politiche interessate, di valutare la cosa? Se Calenda afferma il suo diritto di decisione in proposito, mette in discussione la stessa sostanza politica della sua proposta. E’ un generoso tentativo di unire le diverse rappresentanze o la chiamata a sostenere un progetto di cui è “padrone”? Ritorna qui la questione del tratto napoleonico della sua iniziativa, che essendo maturata nel vuoto politico del partito democratico, sembra pretendere che tale assenza permanga obbligatoriamente, essendo stata la sua iniziativa, come dire, sequestrata da altri soggetti.

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Altra questione è il coinvolgimento dei movimenti e del civismo, oltre che del sempre verde partito dei sindaci. Non basta riferirsi al modello Milano, né sperare che una lista, gestita fuori dalle liturgie complesse e non sempre trasparenti del PD, garantisca di per sé agibilità politica a chi oggi si muove più nel sociale che nel politico, più nel politico che nel partitico.

I firmatari del Manifesto, per chi li vuole leggere, sono in trasparenza il soggetto sociale che oggi condivide e sostiene l’iniziativa di Carlo Calenda: tanta borghesia professionale, tanta accademia, imprenditori, pochissimi rappresentanti dei movimenti e soprattutto zero rappresentanti del mondo del lavoro: si riproduce qui la faglia socio-politica che ha già portato il PD al peggior disastro elettorale? Nel Manifesto, a parte la menzione di un welfare 4.0, non si dice quasi nulla sulle ineguaglianze sociali e sulla condizione del lavoro, come se l’accesso alla risorsa “conoscenza” fosse la panacea per tutti i mali. Certo un’elezione europea non è una competizione su scala comunale, ma la domanda di quale sia l’ancoraggio sociale cui si riferisce “Siamo Europei” è lecita e non basta l’autorevole presenza di Beppe Sala per superare la questione, come dire, sulla fiducia.

Infine, chi decide le liste: Calenda o i partiti, o altro? Ultimamente dice Calenda che potrebbe anche lasciare spazio a Gentiloni, come a dire intanto che decide lui della cosa, e che poi la cadrega è sua: certamente se l’è presa ma per conto di chi?

Qui andare oltre non si può, ma la questione è aperta e, come si dice, ne vedremo delle belle.

Giuseppe Ucciero



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  1. Gianluca BozziaC'è chi decide al tempo di twitter/facebook, chi al tempo di Rosseau e chi si prende 27 mesi, dal 4 dicembre 2016 al 3 marzo 2019. Nel tempo di mezzo mandato europeo o mezzo piano quinquennale sovietico, un gruppo di persone elegge un segretario. Cosa aggiungere? Perchè aggiungere? Su cosa riflettere? Non riesco a pensare a qualcosa di più asincrono: se anche la nota fosse giusta e cantata bene, a cosa vale se non c'è il pubblico in sala?
    13 febbraio 2019 • 09:33Rispondi
  2. giuseppe uccieroCondivido il lamento sulla lentezza, ma ricordiamoci sempre che a fine marzo 2018, Nicola Zingaretti si è candidato chiedendo con urgenza le primarie. Altri, se vuole si può documentare agevolmente sui nomi, hanno ritardato, traccheggiato, fatto melina per riposizionarsi al meglio. Matteo Orfini, il "non presidente" pensava a sciogliere il PD più che a convocare le primarie. Quindi ad ognuno il suo. Che c'entra poi il 4 dicembre 2016? La informo che esattamente pochi mesi dopo il referendum a cui fa riferimento, il 30 aprile 2017, le primarie hanno di nuovo incoronato Matteo Renzi, che si è definitivamente dimesso dopo il disastro del 4 marzo 2018, ma con gran fatica e restando comunque sulla scena come segretario ombra. Certo, è comunque passato un anno da allora, con enorme ritardo e paralisi del PD in uno dei momenti più difficili per la sua storia. Come ho cercato di spiegare nel mio contributo, l'iniziativa di Calenda ha mosso il mar morto della politica democratica, ma al tempo stesso sta generando problemi e nodi che non sarà facile sciogliere. Si poteva fare altrimenti? Forse no, ma questo lascia sul tappeto rilevanti questioni. Insomma, non facciamo confusione né sulle date né sulle responsabilità né sul giudizio di fondo tra luci ed ombre che che ho cercato di rappresentare sull'iniziativa di Siamo Europei.
    13 febbraio 2019 • 15:18Rispondi
    • AndreaTeniamocelo stretto Calenda. Pur con molti distinguo, persone con le sue capacità ed energie devono essere valorizzate ed ascoltate all'interno del PD. Insomma il partito torni a fare il partito senza che gli iscritti si ancorino o si appiattiscano sul capetto di turno. La lista lanciata da Calenda sarà nel breve un flop ma sul lungo periodo può dare dei frutti. Calenda è memore di quanto è successo a Pisapia e non volendo fare la stessa fine la mette sul decisionismo e sull'ego. La sinistra post PCI ha sempre peccato di settarismo, se non si vuole venire fagocitati e distrutti per non dire schiacciati dai meccanismi alla D'Alema bisogna fare come ha fatto Calenda.
      13 febbraio 2019 • 19:53
  3. giuseppe uccieroSono d'accordo "il partito torni a fare il partito". Come questo principio, che implica necessariamente condivisione, organizzazione, responsabilità e disciplina consapevole, si accordi con l'iniziativa in solitaria di Carlo Calenda è un mistero che lascio volentieri a chi saprà spiegare. Se poi vuol dire che la condizione inerte di "questo" partito può essere superata solo grazie ad eroici gesti individuali che rompano il torbido intreccio tra capi e capetti, posso anche capire anche se non fino in fondo condividere. Penso invece che la vera azione eroica sia la rifondazione di un partito come impresa collettiva e non come scenario di 'avventure individuali Vorremmo un partito normale, dove gli iscritti scelgono i propri dirigenti, dove la linea politica è discussa ampiamente, dove i dirigenti fanno sintesi e non divisione, dove il politico torni a vivere in uno stretto rapporto con il sociale che intende rappresentare. Un partito normale, ricordando che come diceva Lucio Dalla "....... l'impresa eccezionale è essere normale".
    14 febbraio 2019 • 17:10Rispondi
  4. maria vittoria cernigliaroHo un solo rimpianto che all'interno Calenda non si sia voluto candidare. Avercene nel PD persone come lui che abbinano concretezza e ideali.
    20 febbraio 2019 • 13:56Rispondi
    • giuseppe uccieroBuongiorno il suo rimpianto è anche il mio, non tanto per il merito della sue posizioni, ma per il metodo seguito nel promuoverle. Se un iscritto intende prendere iniziative di grande rilevanza per conto del partito dovrebbe sottoporsi al procedimento che il partito prevede in materia di selezione del gruppo dirigente. Se così non fosse, chiunque, aldilà del merito delle questioni, domani mattina si alza e, senza aver ricevuto mandato dal partito, si fa promotore di iniziative politiche a suo nome. Ripeto, al di là della persona e del merito, è il metodo che non può essere condiviso in un partito che voglia essere impresa collettiva.
      21 febbraio 2019 • 12:43
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