17 dicembre 2018

MENO MALE CHE IL 2018 FINISCE

L’annus horribilis della sinistra


Per Pd e dintorni, è stato uno dei periodi peggiori degli ultimi 70 anni. Nella lunga vicenda della sinistra e delle lotte popolari, non sono mancati anni difficili ed anche tragici. Anni orribili, e se pure nel 2018 non abbiamo visto in Italia eventi di sangue, tuttavia possiamo ben iscrivere questo anno che sta terminando come uno dei peggiori della storia repubblicana, degli ultimi 70 anni quindi.

La feroce umiliazione elettorale patita il 4 marzo è ancora viva, come forte è il senso di profondo disorientamento che ha colto le disjecta membra di una sinistra, e di un campo democratico: tanto divisi quanto impotenti. Eppure erano passati solo 4 anni dal trionfo delle elezioni europee di maggio 2014, di fronte alle quali ci si ripresenterà, si deve temere, come il campo di Agramante.

Che poi la drammatica caduta elettorale italiana sia solo un capitolo di vicende mondiali assai più ampie ed ancor più negative per la sinistra su scala planetaria, non solo non ci è di consolazione ma semmai aggrava ancor più, con il bilancio “consolidato”, lo stato di prostrazione e di pessimismo.

Alla nostra mente, per le nostre categorie di pensiero strutturate in decenni di routine democratica, e cullate nell’incanto di una globalizzazione apportatrice di vantaggi per tutti, non appaiono comprensibili le vittorie di Trump, di Bolsonaro e l’avanzata della nuova destra sociale europea, inadeguatamente rappresentata come variante populista ma in realtà dotata di una sua propria e specifica identità politico culturale, e quanto pericolosa.

Che l’operaio americano come il piccolo imprenditore italiano, o addirittura il campesino brasiliano possano aver trovato in quelle figure una speranza di rinascita e di sollievo ci trova impreparati prima ancora che addolorati da un distacco che non credevamo possibile. Alcuni giustamente dicono che ancora prima di aver trovato risposte, la sinistra non ha neppure inteso le domande, proprio non le ha sentite, ancor prima di capirle, figuriamoci le risposte.

In questa incomprensione, viene avanti una nuova costituency politico-elettorale capace di intercettare e volgere a destra uno scontento di massa, nato e cresciuto silenziosamente nel vivo dei processi mondiali, via via reso sgomento di fronte alle minacce della globalizzazione e dei suoi effetti, sempre più cosciente di almeno una cosa, essenziale però: la nuova era globale porta enormi vantaggi ai pochi e minacce crescenti per i molti.

Che si tratti del posto di lavoro delocalizzato, della microcriminalità sotto casa, della precarizzazione massiccia ed ormai traslata da fenomeno di nicchia a forma normale di occupazione, o di restrizione sistematica del welfare, tutto quanto si raggruma in un livore, silenzioso prima, ed ora gridato contro le élites che hanno avuto ed hanno responsabilità di governo, e che l’hanno esercitato, chi più chi meno conniventi con i veri padroni del mondo.

La paura imperversa, un sentimento oscuro che ricorda le peggiori esperienze del primo dopoguerra, e che forma il sostrato sociale, anzi diremmo psichico (W. Reich), di una disponibilità a cambiamenti fondati essenzialmente sullo scambio tra diritti e “tranquillità”.

Come fare fronte al montare di questo sentimento popolare?

Per alcuni, fortunatamente sempre meno, attardati ancora nell’ipnotico racconto del “non ci hanno capito” e del “dovevamo comunicare meglio”, questa triste temperie non è dovuta alla inadeguatezza delle risposte, e tantomeno al non aver comprese le domande.

Nel Pd, in particolare, questo approccio trova ancora numerosi fan, accomunati dal ricordo del radioso maggio 2014, e tanto ciechi da aver avuto il coraggio, di fronte al disastro del referendum del 2016, di affermare con arroganza che, pur battuti, si era pur sempre in possesso del 40% che aveva votato SI alle proposte di Matteo Renzi.

Un protagonista della vicenda politica che tuttora non solo non si chiede se e come e dove abbia potuto dilapidare un consenso elettorale così ampio, ma che ancora insiste, prigioniero lui per primo del suo mantra, a dire che è stato vittima del fuoco amico, di quell’animus pugnandi che indica nel tuo vicino il peggior avversario.

Piaceva a molti il giovin signore quando si trattava di rottamare non solo l’intero gruppo dirigente del Partito Democratico, ma ancor più ed ancor prima la visione prodiana dell’Ulivo, una visione strutturalmente fondata sull’intreccio articolato tra rappresentanza politica e corpi intermedi, altro che gettoni telefonici in tasca gettati in faccia ad un sindacato ignorante dell’esistenza degli smartphone.

Ma ha responsabilità solo l’ex segretario del PD? Per alcuni, questo che sarebbe pur un interrogativo non fuori luogo diviene il passepartout per accomunare tutta la sinistra in un campo buio dove tutti i gatti sono grigi e le responsabilità comuni ed indivise e soprattutto incomprensibili politicamente.

Un anno è quasi passato dal disastro del 4 marzo ed ancora, salve alcune lodevoli ma estemporanee occasioni, il partito democratico nel suo complesso non ha ancora affrontato con il necessario rigore le cause politiche di una sconfitta che ha consegnato il paese ad una maggioranza populista e di destra sociale. Le stesse primarie che stanno via via prendendo finalmente corpo faticano a sostenere una discussione ampia, strutturata e soprattutto unitaria, posto che subito, ancor prima di aver condiviso la diagnosi della sconfitta, si avanzano candidature l’una contro l’altra armate.

Sembra prevalere anche qui un approccio al tempo stesso mistificatorio ed inadeguato, dove tutti annunciano perentori l’avvio delle nuova stagione della discontinuità e di una nuova radicalità programmatica, ma a tanta perentorietà non sembra corrispondere in molti casi, l’adeguata credibilità di fronte agli iscritti, agli elettori ed al Paese. Che “tutto cambi perché nulla cambi” è un vizio non solo italico, ma quanto possa pesare sulla nuova stagione di rinnovamento di fronte alle attese deluse di tanta parte del popolo italiano dovrebbe pur formare oggetto di discernimento.

Alla fine del 2018, l’Italia si trova in pessime condizioni, ma ancora peggio si trova la sinistra e l’intero campo democratico, prigioniero di una congiuntura drammatica e tuttora irresoluto nell’individuare la sua nuova fisionomia. Eppure non mancano i titoli su cui ragionare, fare nuove sintesi e ricercare una rinnovata connessione con il mondo del lavoro, le istanze civili e sociali: legge Fornero, jobs act, buona scuola, ma anche nuove regole sul mercato globale, innovazione ed impresa…

Servono nuovi contenuti e facce nuove, ma anche facce antiche che riconnettano nei valori ed anche per certi aspetti nelle stesse analisi, il popolo democratico con le sue radici più profonde: se Sanders e Corbyn sono le figure più rispettate nel mondo laburista e democratico anglosassone, forse un significato va ben colto anche qui in Italia. Certo non basta, e mi pare decisivo, il saper cogliere il nuovo in alcuni movimenti politico sociali, nati nel vivo della resistenza alla vulgata giallo verde, un importante protagonista di cui essere partner e non strumentale promotore.

Solo un pensiero infine per Milano, la città di cui siamo ben orgogliosi che possa rappresentare, pur tra limiti e corpose contraddizioni il luogo elettivo dove persiste e si rinnova in forma convincente la costituency democratica, quel composto di partecipazione civica, solidarietà sociale, rispetto dell’ambiente e delle persone, intrapresa democratica, che argina nei fatti la politica della paura e delle grida, affermando nella pratica quotidiana i valori più profondi della nostra convivenza democratica.

Auguro a tutti buona fine del 2018, di cui la cosa migliore che potremo dire è che finalmente si è concluso.

Giuseppe Ucciero

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  1. Cristina SimoniniCondivido tutto! Grazie per la capacità di sintesi e l 'onestà intellettuale. Quanto mancano nel PD!....
    19 dicembre 2018 • 01:24Rispondi
    • giuseppe uccieroChe dire? Grazie, Buon Natale e soprattutto Buon 2019.
      21 dicembre 2018 • 16:33
  2. Cesare Mocchimah, mi sembra che nel nostro piccolo i lettori di Arcipelago la crisi delle forze progressiste l'avessero vista arrivare fin da prima... Se penso che a Milano i primo pensiero dei dirigenti PD in occasione delle ultime elezioni amministrative è stato quello di "fare fuori" un vecchio gentiluomo come Basilio Rizzo per cercare di imbarcare gli ex formigoniani (tentativo per fortuna almeno in parte abortito) si capiscono tante cose. E anche a fronte della perdita di voti di Sala rispetto a Pisapia non si è voluto capire (quella è stata davvero un'occasione persa). E' una crisi insomma che viene da lontano e che ci vorrà tempo, molto tempo per recuperare
    19 dicembre 2018 • 16:49Rispondi
    • giuseppe uccieroCertamente ArcipelagoMilano nasce dieci anni anche per la crisi della sinistra e quindi non c'è dubbio che avesse avuto qualche visione anticipatoria anche dell'acutissima difficoltà attuale. Ci vorrà tempo per venirne fuori? Allora non perdiamone ancora. Serve il contributo di tutti, oggi.
      21 dicembre 2018 • 16:32
  3. giuseppeTroppo profondamente la sinistra politica si è aggrovigliata nelle sue problematiche specifiche per poter improvvisamente cambiare, ci vorrebbe un miracolo o una rivoluzione! Non credo che questo sia possibile in un Paese fondamentalmente di destra e così allevato dai vari gruppi al potere. C'è una minoranza del Paese preparata culturalmente e piena di buona volontà che si interessa e difende problematiche ambientali, sociali, culturali, assistenziali ma che tuttavia è tutta concentrata sui propri specifici obiettivi per interessarsi degli altri gruppi. Bisognerebbe riuscire a convincere tutti questi gruppi (in Italia ci sono più di 300000 onlus con più di due milioni di volontari) a creare un movimento d'opinione che si richiami a pochi semplici messaggi che potrebbero essere gli articoli della prima parte della nostra Costituzione non completamente realizzati, traditi e/o dimenticati. Bisognerebbe cominciare daccapo e scegliere persone preparate e con la schiena dritta. Chi si offre?
    20 dicembre 2018 • 18:33Rispondi
    • giuseppe uccieroIl tema è ben centrato e coglie la questione dell'insufficienza della forma partito a rendersi protagonista principale del cambiamento inteso ad accrescere spazi di libertà e risorse per la liberazione dal bisogno. Il terzo settore dovrebbe essere naturale coprotagonista di un grande progetto di rilancio, a patto che il PD sappia interloquire a rispettosa distanza. In Germania la crescita dei Verdi, con il loro patrimonio di attenzione al sociale ed al federalismo, forse ci potrebbe dire qualcosa di utile. Non so chi si possa offrire, ma la ricchezza di persone, esperienze e dirigenti, dovrebbe renderci ottimisti.
      24 dicembre 2018 • 18:13
  4. Franco PugliaQuello che la sinistra non ha ancora capito, ma che non capirà mai, è la distanza che corre tra un modello astratto e la realtà delle cose. Anche l'autore dell'articolo, pur critico nei confronti della sinistra che c'è, non si chiede se possa esistere una sinistra che abbia un senso per la stragrande maggioranza della gente. La sinistra, a mio modo di vedere, altro non è che la versione laica della religione cristiana. La differenza è soltanto formale : la connotazione religiosa, di matrice soprannaturale, in un caso, la matrice laica, nell'altro, ma la sostanza on cambia. E la sostanza, in entrambi i casi, prescinde dalla natura dell'essere umano e dei suoi bisogni. Se un certo Cristianesimo predica la castità e la povertà, a sinistra si predica l'uguaglianza (che se davvero fosse realizzabile sarebbe una drammatica iattura) , che non potendo estendersi verso l'alto si rivolge verso il basso : tutti uguali, poveri e neppure belli. Il successo di M5S nel mezzogiorno "povero" grazie alle promesse di regalie, dovrebbe far riflettere. Invece no : il modello non cambia ; sono gli interpreti umani che non sanno attuarlo. Poi meraviglia la reazione "regressiva" della gente, che si rivolge a destra, oggi come in un passato dimenticato, perché la sinistra dimentica volutamente che il migliore alleato della destra è sempre stata lei, con il suo dogmatismo, con il suo non voler tenere conto delle differenze umane nelle società complesse. La destra presenta altri schematismi : meno agguerrita sul piano intellettuale, più semplificatrice, più brutale, ma proprio per questo più vicina ai bisogni della gente, che sono essenzialmente materiali, perché a quelli spirituali ci pensa ciascuno per contro proprio. Questa sinistra è un cadavere, e puzza, mentre una visione politica democratica e progressista ma fondata sulla realtà delle cose è ancora lontana ed è privilegio di pochi pensatori isolati. Se mai vedrà la luce in questo nostro mondo sovraffollato, con risorse decrescenti e povertà endemica crescente, io non lo so : il mondo giovanile, sottoculturato e virtualizzato dai nuovi strumenti di comunicazione non pare all'altezza di una rivoluzione culturale epocale. L'entropia sociale aumenta, e pare inarrestabile ...
    23 dicembre 2018 • 09:58Rispondi
    • giuseppe uccieroLei rimprovera la colpa dell'astrattezza alla sinistra, ma a sua volta ci cade mani e piedi. La "natura umana" non esiste, non è mai esistita. Non esiste in termini biologici, culturali, spirituali. Esiste, sono esistite, le specifiche società umane, tanto diverse l'una dall'altra: cosa hanno a che fare l'una con l'altra la pratica comunitaria delle tribù precolombiane con l'avidità del commerciante inglese vittoriano, la repressione sessuale post riforma con la libertà dei costumi polinesiani? Poco o nulla. Non esiste l'Uomo, esiste l'uomo concreto nella storia e nella geografia. Esistono profondi cambiamenti storici, introdotti anche per effetto di lotte condotte, certo, anche sulla base di ideali a loro volta assolutizzati. Un percorso che, per quanto tragico ed a volte inconcludente, non si può dare come inutile, se oggi lo schiavismo ci ripugna, se le donne si liberano, se la partecipazione è possibile quando un tempo era semplicemente inimmaginabile che alla persona non corrispondesse la parola "cittadino" ma piuttosto "suddito". La sinistra non accetta, non può accettare, le storture e le abiezioni della vita presente, ci si contrappone in nome della visione per cui "tutti gli uomini sono eguali": come declinare questo principio nel tempo e nel luogo dato, sta alla capacità delle singole generazioni nei diversi luoghi, stando ben attenti, e qui condivido, a non pensare ad una nuova società prestabilita e realizzata in termini autoritari. Platone sbagliava da destra e da sinistra hanno sbagliato i comunisti russi. Questa avvertenza non equivale a porsi di fronte alle diseguaglianze ed alle sofferenze come se fossero semplicemente la "realtà delle cose", come alla conseguenza di una natura umana assolutizzata a sua volta, anzi, come si dice in filosofia, "ipostatizzata". La sinistra è fiducia nel cambiamento che allarga le chance di felicità e di liberazione dal bisogno per i singoli e la società, è soggettività positiva. La sinistra non può fare a meno degli ideali. Se lei non ci si ritrova, temo, dovrebbe considerare l'ipotesi di non essere di sinistra.
      24 dicembre 2018 • 18:07
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