19 giugno 2018

musica – IL PIANO-PÉDALIER DI PROSSEDA


musica23FBUn concerto tutto francese e tutto sulla soglia della belle époque, quello che Patrick Fournillier e Roberto Prosseda hanno intelligentemente messo insieme la settimana scorsa all’Auditorium con un programma che prevedeva due note opere di Camille Saint-Saëns (la Danse Macabre opera 40 del 1875 e la terza Sinfonia in do minore opera 78 del 1886) a cornice di un’opera molto particolare di Charles Gounod, il Concerto per piano-pédalier e orchestra del 1889 riesumato anche per celebrare i duecento anni dalla nascita dell’autore.

Il piano-pédalier è una recente riscoperta di Roberto Prosseda che potrebbe sembrare una trovata per andare sui giornali ed è invece il frutto di una smisurata curiosità di questo pianista che ha dedicato gran parte della sua vita professionale (ha appena superato i quarant’anni) a Felix Mendelssohn-Bartholdy, scoprendone lavori inediti ed incidendone quasi tutta l’opera pianistica, soprattutto senza mai smettere di stupirci suonando Mozart e Rossini con Elio (quello delle Storie Tese) o gareggiando con un robot al pianoforte. Ha l’animo dello sperimentatore e del ricercatore, Prosseda, ed è grazie a questa sua attitudine che è riuscito a trovare, studiare e realizzare l’incredibile strumento per il quale Gounod ha scritto quel concerto.

Si chiama piano-pédalier perché è composto da due pianoforti a coda gemelli, posti uno sopra l’altro e distanziati quanto basta affinché quello sottostante possa liberare la propria voce, comandati rispettivamente da una tastiera e da una pedaliera del tutto simile a quella degli organi; mentre le mani del pianista agiscono sulla tastiera del pianoforte soprastante, i piedi toccano i tasti della pedaliera che agiscono sui martelletti del pianoforte sottostante. Il risultato è simile a quello che si avrebbe con due normali pianoforti a coda accostati, solo che a suonare il piano-pédalier è un’unica persona e quindi l’esecuzione risulta molto più controllata ed intensa. Ovviamente è curioso vedere il pianista usare contemporaneamente braccia e gambe, mani e piedi, esibendo una flessuosità e una sinuosità certamente molto eleganti ma anche vagamente…scimmiesche; molto di più di quanto non accada con gli organisti che usano i pedali solo per le note basse, molto spesso “tenute”, e con andamenti generalmente più lenti.

Lo strumento ebbe una vita breve, nonostante fosse stato “benedetto” da Liszt, da Schumann e da Mendelsshon, ed ebbe più fortuna in Francia dove fu “adottato” – oltre che da Gounod – da César Frank, da Jules Massenet e Camille Saint-Saëns; con il secolo, però, scomparve anche lui e ci è voluta la tenacia e la passione di Prosseda per farlo rivivere.

Il concerto di Gounod è letteralmente “sontuoso”: quattro classici tempi, introdotti da un potente Allegro moderato, poi uno Scherzo (con un Trio molto francese, malizioso ed ammiccante), un Adagio con larghi temi cantabili, quasi schubertiani, sostenuti da una bella cellula di quattro note ostinatamente ripetuta nella pedaliera, e infine un movimento la cui indicazione dinamica Allegretto pomposo/marziale (con fuga centrale) rivela l’intero spirito dell’opera. Alla fine del concerto Prosseda ha offerto come bis una trascrizione, ancora per piano-pédalier, della deliziosa Marcia funebre per una marionetta (1873) anch’essa di Charles Gounod, nota per essere stata usata negli anni sessanta come fondo musicale delle serie televisive Alfred Hitchcock Presents e The Alfred Hithcock Hour. Grandissimo successo.

Patrick Fournillier dal podio esprime una grande empatia nei confronti di tutti i professori dell’orchestra (è strano come sia difficile chiamarli “professori”, quelli della Verdi, avendoli in gran parte conosciuti giovanissimi e seguiti anno per anno nella loro crescita professionale!), ed ha accompagnato Prosseda condividendone appieno le intenzioni realizzative. Per quanto concerne le parti del parti del programma, esclusivamente orchestrali, la Danse Macabre ci è parsa soffrire di un avvio difficile – una lettura un po’ troppo fredda e scarsamente partecipata – mentre la Sinfonia di Saint-Saëns, scritta negli stessi anni del Concerto di Gounod e di poco successiva alle quattro sinfonie brahmsiane delle quali sente palesemente l’influsso – si è rivelata smagliante; il sessantaquattrenne direttore francese, specialista di Massenet, con quei tempi lenti pieni di poesia e i tempi veloci pieni di vigore, ricorda il rigore e il temperamento di Georges Prêtre. L’apice di questa prorompente energia è stata raggiunta nel quarto movimento della Sinfonia quando, con un coup-de-théatre, Saint-Saëns fa entrare in scena le note solenni dell’organo (Maestoso) che annunziano l’inizio di una fuga (Più allegro) che a sua volta si trasforma, poco a poco, nel possente finale della Sinfonia (Molto allegro). Una esecuzione travolgente cui l’orchestra ha dato un formidabile contributo lasciandosi prendere totalmente dalla passione e dalla forza del direttore senza mai andare sopra le righe.

Un concerto di ottima qualità che dimostra come la Verdi abbia ancora un enorme potenziale; servono solo programmi intelligenti e direttori autorevoli.

Rubrica a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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