29 maggio 2018

musica – UNA TRAVIATA IN FORMATO RIDOTTO


musica_20La settimana scorsa, riferendo di Piano City, scrivevo …straordinari poi i “concerti in casa” – nei paesi a nord delle Alpi sono la normalità mentre in Italia sono ancora poco frequenti – che consentono un prezioso contatto degli ascoltatori con “il farsi” della musica ed una relazione empatica con gli interpreti-esecutori… ma non mi era ancora capitato di sentire una “opera in casa” come mi è capitato pochi giorni dopo.

Immaginate una delle case storiche della Milano settecentesca, di quelle che potrebbero avere ospitato Mozart durante uno dei suoi viaggi in Italia: scaloni, arazzi, opere d’arte da togliere il fiato, biblioteche e boudoir, sale, salotti e saloni ancora intatti, conservati per intere generazioni con evidente amore per la bellezza e per la storia. Ed immaginate che in uno di questi saloni, affacciato su un incantevole giardino, si sia raccolto un pubblico di trecento persone per assistere ad un’opera “adattata in forma da camera” (così era scritto nell’elegante programma di sala) ma anche per raccogliere fondi destinati ad una delle più antiche e caritatevoli istituzioni cittadine, dedita all’assistenza – prima e dopo un ricovero in ospedale – di persone in difficoltà.

L’opera era la Traviata, l’esecuzione affidata ai musicisti di “FuoriOpera” – la Compagnia che questa rubrica segue fin dal suo nascere – ed il cast, ovviamente ridotto alle parti principali, era costituito da cinque cantanti, una pianista ed un quartetto d’archi; il tutto diretto dal maestro Andrea Deutsch Gottfried e rigorosamente impostato, messo insieme e controllato dalla fermissima mano della regista Altea Pivetta. Gottfried e Pivetta sono non solo i fondatori ma anche l’anima e gli animatori di questa Compagnia d’Opera che, dopo aver esordito nel 2015 al MA.MU., si è affermata in tanti diversi spazi, sia pubblici che privati e non solo a Milano, con un repertorio che ormai supera la decina di opere liriche (da Mozart a Mascagni e a Puccini, da Rossini a Donizetti e a Verdi).

La Traviata milanese della scorsa settimana ha rappresentato un apice nella produzione di questa piccola Compagnia: i cantanti, giovani e con bellissime voci, erano perfettamente amalgamati, come si è visto nell’entusiasmante quintetto del finale, e la concertazione fra voci e strumenti era perfetta. Gottfried ha ridotto la partitura orchestrale per i soli cinque strumenti in modo tale da non tradire mai l’essenza e il senso dell’opera, salvando le proporzioni dei livelli sonori ed adattandoli all’acustica, peraltro ottima, della sala. Ancor più sorprendente si è rivelata la riduzione dell’intera opera a poco più di un’ora, una operazione di “taglia e cuci” in cui è specializzata la Pivetta che, grazie anche ad alcuni inserti recitati – presi pari-pari da “La Dame aux Camélias” e rievocanti i recitativi secchi – riesce a conservare il senso e la compiutezza dell’opera. (A chi soffriva per l’eliminazione del brindisi del primo atto, la regista pazientemente spiegava l’ovvia impossibilità di sostituire il coro con le poche voci dei protagonisti!).

La scena era fatta di nulla: un divanetto su cui la povera Violetta soffrirà nei suoi ultimi minuti di vita, un tavolino con una bottiglia ed un bicchiere d’acqua per alleviarle la sofferenza, un abat-jour e poco altro, mentre i costumi – disegnati e tagliati dalla eclettica regista che in altre occasioni ha dimostrato di essere anche un ottimo mezzosoprano – facevano il resto.

Quanto ai cantanti protagonisti dell’opera, Emanuela Scirea è stata una perfetta e molto convincente Violetta dalla affascinante pelle nera (a dispetto del nome italiano è infatti una bellissima ragazza del Togo) mentre nella parte di Alfredo il giovanissimo Riccardo Benlodi ha dimostrato che non è vero che “non ci sono più tenori”…; nei registri inferiori Fabio Midolo (Germont padre) e Gabriele Bolletta (Grenvil e voce recitante) – rispettivamente il baritono e il basso che avevamo già apprezzato in altre produzioni di FuoriOpera – hanno letteralmente incantato il pubblico con le loro possenti e limpide voci.

Una menzione particolare merita la pianista giapponese Yuka Gohda, che di mestiere fa esattamente il maestro accompagnatore e che, in questa come in molte recenti altre occasioni, è stata a dir poco prodigiosa nel difficile compito di sostenere i cantanti e di far loro da cerniera con gli archi (l’ottimo Ensemble dei Transiti che ha preso il nome dalla strada in cui ha sede FuoriOpera).

Molti scettici e puri amanti dell’opera non amano queste riduzioni e sostengono che “se Opera dev’essere, lo sia per intero e nelle sedi appropriate”. Certo, non va fatta confusione, una cosa è la Traviata vera e propria, come l’hanno scritta e voluta Verdi e Francesco Maria Piave, altra è questa piccola “opera da camera” accorciata, rimaneggiata, tagliata, ricucita. Non è “la” Traviata. Tuttavia mi chiedo: siamo sicuri che sia più legittimo salvare l’integrità del testo e della partitura ma ambientarla in altre epoche, ignorare o tradire le indicazioni degli autori relative alle scene ed ai costumi sino a cambiare il senso originale dell’opera? Eppure regìe di questo genere ci vengono regolarmente proposte anche dai migliori teatri del mondo. Ed ancora, non è una raffinata modalità quella di ascoltare musica a pochi metri da coloro che la suonano e la cantano, in un ambiente amicale e non anonimo come la platea di un teatro, di sentirsi parte integrante della scena, di potersi intrattenere con gli artisti e commentare l’opera insieme a loro, di non essere distratti da invadenti invenzioni registiche?

La musica “in casa” ha un sapore antico, riporta al piacere intimo dell’ascolto, si offre con una freschezza e una immediatezza del tutto diversa da quella cui ci ha abituato la musica registrata – dischi, CD, radio, televisione – che spesso ascoltiamo distrattamente e che raramente ci permette la necessaria concentrazione. C’è dunque da sperare che Piano City da una parte e FuoriOpera dall’altra (ma anche la generosa ospitalità degli italiani) siano i germi di un fermento culturale che riporti la musica vera nelle nostre case; sarebbe un contributo – modesto ma significativo – al riavvicinamento del nostro Paese alla cultura europea e al contenimento dei pericolosi fuochi con cui stiamo giocando.

 

Rubrica a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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