15 maggio 2018

musica – LA SESTA SINFONIA DI MAHLER


musica18FBLa settimana scorsa l’orchestra Verdi, diretta da Robert Trevino, ha eseguito la mastodontica Sesta Sinfonia in la minore di Mahler. Prima di entrare in argomento riporto qui di seguito alcune riflessioni inviatemi dall’amico – della musica, della Verdi e mio personale – Eduardo Szego:

La musica di Mahler o si ama senza riserve o si ignora. Ma forse più che ignorarla la si rifugge in quanto inconsciamente se ne è atterriti. Mahler stesso ebbe a dire «Verrà il tempo in cui la gente si accorgerà di essere riconosciuta, descritta e identificata dalla mia musica e capirà che essa vive in loro da sempre». Ecco, da qui si capisce e discende la prima definizione di estrema sintesi che forse si può dare della musica di Mahler: musica esistenziale. Ma ci dobbiamo chiedere quale aspetto della nostra esistenza domina tutta la sua musica e la risposta ci sembra possa essere «la precarietà». Cosa c’è infatti di più precario della vita stessa, ineluttabilmente condizionata dalla morte, così insistentemente presente nella sua musica. E non è un caso che Mahler sia ebreo, popolo da sempre precario in ogni tempo e in ogni luogo, costretto ad una diaspora continua! E Mahler ha vissuto sulla sua pelle la precarietà anche sul piano professionale; sono note le sue angosciose vicende con i teatri d’Opera di Budapest e soprattutto Vienna (il terzo colpo di martello con cui il destino si palesa nella sesta sinfonia, pare stesse a significare la rottura del contratto di direttore all’Opera di Vienna, e gli altri due rispettivamente la morte prematura di una figlia, e la diagnosi della sua grave patologia cardiaca).

A proposito di sesta sinfonia, appena ascoltata sotto la direzione del sensibile maestro Trevino, si racconta che Mahler, dopo la prova generale della prima esecuzione da lui diretta, domandasse ad un amico, non musicista, se avesse ricevuto qualche impressione. E quando questi ancora sotto l’effetto della profonda emozione suscitata dall’opera, riuscì soltanto a balbettare, singhiozzando «Come può un uomo della Sua bontà esprimere tanta crudeltà e spietatezza!», Mahler rispose serio e determinato: «Sono le crudeltà che mi sono state inflitte, i dolori che ho dovuto sopportare!» e poi spesso ripeteva: «Sono tre volte senza patria: boemo fra gli austriaci, austriaco fra i tedeschi, ebreo in tutto il mondo. Ovunque un intruso». Più precario di così!

La precarietà esalta il dubbio e affina l’attenzione, l’analisi e l’introspezione che in Mahler raggiungono le alte vette che conosciamo; ci piace pensare che Mahler sia a un tempo un filosofo e un teologo che esprime con la musica il conscio e il subconscio dell’uomo che non smette di combattere pur sapendo a priori di aver già perso la sua battaglia esistenziale.

Infine, senza voler entrare nell’analisi sintattica delle opere di Mahler, ci pare di cogliere anche su questo versante dubbi ed esitazioni, come quando insiste nelle modulazioni all’interno dello stesso movimento di una sinfonia e sembra incerto se uscire dal sistema tonale (del quale decreterà la morte nel finale della nona sinfonia). Forse aveva avvertito per primo la necessità di una maggior libertà nella composizione, ma non si spinse oltre qualche accordo non canonico; per il vero salto nell’atonalità bisognerà aspettare Schönberg”.

Ringrazio molto Eduardo Szego per le preziose citazioni e per le considerazioni che peraltro in massima parte condivido. Ma devo confessare di non essere un appassionato mahleriano e di ritenere – come d’altra parte ritenevano il pubblico e i critici a lui contemporanei, ovviamente con non poche significative eccezioni – che Mahler sia stato più grande come interprete (era un celeberrimo direttore d’orchestra) che come compositore. E so bene che con questa affermazione diventerò oggetto di critiche feroci così come è accaduto un mese fa, quando ho espresso un’opinione simile a proposito di Liszt.

Ciò doverosamente premesso, credo che la Sesta non sia la più interessante e coinvolgente fra le nove Sinfonie da lui scritte (la decima, come si sa, è stata solo abbozzata) ma anche che questa esecuzione, per quanto ricca di interesse e di spunti, non sia stata del tutto convincente. Del giovane direttore americano Robert Trevino avevo scritto meraviglie in occasione della settima Sinfonia di Šostakovič (la “Leningrado”) che diresse, sempre con laVerdi, nel gennaio scorso; questa sinfonia di Mahler, invece, l’ho trovata appesantita, ridondante e sovraccarica di pathos a dispetto della complessità psicologica del suo impianto e delle sottigliezze armoniche e contrappuntistiche del suo tessuto musicale.

Mentre ritengo che l’Allegro energico ma non troppo del primo movimento sia stato troppo sopra le righe e molto urlato (un vero peccato, perché se fosse stato eseguito sì intensamente ma non troppo energicamente sarebbe risultato più vicino alle intenzioni dell’autore e soprattutto assai più godibile) non ho dubbi nel dichiarare che l’Andante moderato del terzo movimento mi ha profondamente commosso; Trevino lo porta evidentemente nel cuore e ne fa una candida dichiarazione d’amore. Il secondo movimento (Scherzo, Pesante) ed il finale (Sostenuto, Allegro moderato) avrebbero avuto bisogno di maggiore morbidezza e nell’insieme alla Sinfonia è fondamentalmente mancata un po’ coerenza e di compattezza.

Giacomo Manzoni scrive che questa sinfonia – il cui titolo un po’ posticcio è “la Tragica” – si conclude “in una atmosfera cupa, dove regna lo sconforto e il pessimismo abissale di un individuo sopraffatto da presentimenti di morte”. Nella lettura di Trevino non vi era traccia né del “senso di precarietà” di Szego né del “presentimento di morte” di Manzoni; era invece dominata e pervasa dalla terribile violenza del dolore mitigata solo nel momento di pace del magico Andante. Non si può tuttavia negare che, ancorché non fosse totalmente condivisibile, sia stata una esecuzione drammatica ed imponente, giustamente oggetto di una grande attenzione da parte del pubblico.

 

Rubrica a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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