10 aprile 2018

musica – LO STEREOTIPO DEI RAGAZZI SVOGLIATI


musica14FBQuesta rubrica, iniziata con il primo numero del giornale nel febbraio 2009, oggi porta il numero 400 e sono molto lieto di dedicarla a sfatare un pregiudizio sui giovani di cui si dice che, a causa della difficoltà di farsi strada e in quanto privi della speranza di raggiungere il successo professionale ed artistico, siano generalmente demotivati ed apatici; mentre in realtà li vedo molto spesso impegnati fino allo stremo e, anche se ancora lontani dai grandi palcoscenici, già riconoscibili come eccellenze nel campo della musica e del teatro.

Cito tre esempi luminosi di spettacoli che, fra teatro e musica, hanno rallegrato il primo weekend di primavera a coloro che – non frequentando solo il Piccolo Teatro, la Scala e la Società del Quartetto – hanno la fantasia necessaria ad inoltrarsi nel dedalo degli eventi minori, privi di blasoni e di pedigree, confidando di trovarvi (e di sapervi riconoscere) nuovi talenti.

Comincio dall’Arsenale – quel piccolo e delizioso spazio in via Cesare Correnti che potrebbe essere una piccola chiesa sconsacrata – dove Marina Spreafico e Kuniaki Ida da quarant’anni dirigono una scuola di teatro e dove cinque loro allievi che meritano di essere citati per nome (sono Veronica del Vecchio, Greta di Lorenzo, Ian Gualdani, Alessandro Pozza, Barbara Villa) sabato scorso hanno rappresentato una pièce tratta da un poemetto latino del IV secolo, detto l’«Alcesti di Barcellona», con una passione e una professionalità assolutamente encomiabili. Bravissimi gli attori giovani e molto meno bravo, guarda caso, il regista tutt’altro che giovane che ha smisuratamente enfatizzato gli aspetti tragici della vicenda euripidea costringendo i ragazzi ad acrobazie decisamente troppo sopra le righe. Un esempio plateale di come le qualità dei giovani vengano conculcate dagli adulti in posizione di potere. Sono sicuro che se la regia fosse stata affidata ad uno dei ragazzi della scuola le cose sarebbero andate diversamente e lo spettacolo sarebbe stato ancor più entusiasmante.

La stessa sera al Tempio Valdese di via Francesco Sforza una violinista dalla inverosimile età di 14 anni – il cui nome Letizia Gullino non dubito che presto ci diventerà familiare – ha sbalordito il pubblico (purtroppo non numerosissimo, a dimostrazione della poca curiosità per non dire della pigrizia mentale dei musicomani milanesi) per la sensibilità e la maturità con la quale, accompagnata al pianoforte da Claudio Gay, ha eseguito niente di meno che la Sonata in Mi minore K. 304 di Mozart, la Sonata il la maggiore D. 574 di Schubert e la Sonata in fa maggiore opera 24 (la famosa “Primavera”) di Beethoven. Tre Sonate molto impegnative, che hanno segnato il passaggio dal classicismo al romanticismo, e che questa giovanissima torinese ha eseguito con la raffinatezza ed insieme la grinta di una consumata concertista. C’è dunque da domandarsi perché corriamo ad ascoltare tutti i vecchi tromboni, che spesso suonano per dimostrare a loro stessi di conoscere ancora il mestiere nonostante l’età e la palese demotivazione, e invece disertiamo i concerti di ragazzi che ci mettono l’anima e che è assai più probabile abbiano qualcosa di nuovo da dirci?

Domenica mattina infine altra felice sorpresa. In quel bellissimo spazio liberty dell’Osteria del Treno, in via San Gregorio, la giovane compagnia di teatro lirico “Fuori Opera” diretta da due “giovanissimi quarantenni” – Altea Pivetta sensibilissima regista (ma anche scenografa, costumista e tecnica delle luci!) ed Andrea Gottfried raffinato direttore musicale – ha messo in scena una magnifica Bohème con un cast di ragazzi la cui età media non raggiunge i 25 anni. Anche di questi è importante dire i nomi perché sono tutti destinati alla notorietà se non alla celebrità: Maria Cristina Ciampi (soprano, nella parte di Mimì), Camilla Pomilio (soprano, Musetta), Robert Barbaro (tenore, Rodolfo), Filippo Rotondo (baritono, Marcello) e Gabriele Bolletta (Basso, Alcindoro), accompagnati dall’ottima pianista giapponese Yuka Gohda, tutti insieme protagonisti di uno spettacolo più che convincente nella sua semplicità e per l’armonia che vi regnava.

Immaginate duecento persone sedute intorno a lunghi tavoli da pranzo già imbanditi per il successivo brunch domenicale, totalmente rapite dalla musica di quel filibustiere di Puccini che sa fin troppo bene come strappare lacrime anche ai cuori di pietra, con quei fantastici ragazzi che cantavano, amavano, morivano lì davanti, a pochi metri di distanza dai commensali e anche in mezzo ai tavoli… come si fa a resistere alla commozione da “gelida manina”, da valzer di Musetta, da “sono andati, fingevo di dormire”?

Racconto questo evento perché credo che la gioia di ascoltare una Bohème alla Scala – con grandi scene, grandi cantanti, grande orchestra e grande direttore – non sia enormemente diversa dalla gioia che riesce a procurare questa Bohème un po’ alternativa, ridotta all’essenziale ma sorprendente per freschezza, naturalità, immediatezza. Ovvio che siano cose diverse e incomparabili tra loro, che la seconda sia in realtà un surrogato della prima. Ma ciò che sorprende è come le emozioni suscitate non siano invece tanto diverse; e lo si è potuto chiaramente verificare negli sguardi intensi e negli applausi entusiasti di un pubblico tutt’altro che sprovveduto o ingenuo che non si è perso una sola nota.

Tre storie di ragazzi che il lavoro se lo sono inventato, che hanno sgobbato non poco per costruirsi una professionalità, di cui possiamo esser certi che arriveranno a cogliere i frutti delle loro fatiche. Fantastici e incoraggianti.

 

Paolo Viola

 

Questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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