3 aprile 2018

EUGENIO SCALFARI NON ABITA A MILANO

La città invisibile del “maître à penser”


Da qualche tempo fatico a seguire Eugenio Scalfari, maître à penser della sinistra laica per molti di noi sin dalla fondazione di Repubblica. Nella sua “omelia” di domenica scorsa su la Repubblica ha scritto: «La destra si compone con Salvini, Meloni e Berlusconi, la sinistra è rappresentata solo dai Cinque Stelle» e più oltre liquida quello che c’è alla sinistra dentro e fuori dall’attuale Pd come «… una materia che viaggia tra l’acqua sporca e l’acqua pulita.». Non ho capito il significato di quest’ultima affermazione ma certo non è un complimento.

01editoriale13FBQuello che dice Scalfari non vale per Milano e non vale nemmeno per la Lombardia, luoghi dove i Cinque Stelle (a Milano.19% – in Lombardia. 18%) sono comunque il terzo partito mentre Lega (Mi 22% – Lomb. 29%) e Pd + Gori (Mi. 24% – Lomb. 22%) il primo e il secondo e dove dunque la rappresentanza della sinistra non può certo essere assegnata al Movimento Cinque Stelle anche solo per la forza dei numeri.

Cosa poi abbia a vedere il Movimento Cinque Stelle con la sinistra, come dice Scalfari, non lo capisco salvo che lui ritenga sufficiente per chiamarsi di sinistra aver ramazzato nell’ultima tornata elettorale voti di cittadini che, stufi e soprattutto indignati col Pd, per vendetta o per ammonimento abbiano votato per i grillini: una lettura molto discutibile.

L’ipotesi caldeggiata da Scalfari di un governo nazionale Pd-Cinque Stelle (51%) non reggerebbe né a Milano né in Lombardia (43%). Forse questo vuol dire qualcosa nel panorama nazionale e se passasse questa ipotesi per il centro sinistra che governa Milano si porrebbe qualche problema o quantomeno diventerebbe urgente una riflessione per il Pd milanese e soprattutto per i suoi renziani ridotti, a livello nazionale, a stampella dei Cinque stelle.

Scalfari all’inizio della sua omelia assegna dunque ai Cinque Stelle la rappresentanza della sinistra negandola in sostanza al Pd ma in chiusura si richiama ai valori fondanti della sinistra e soprattutto ai suoi uomini del passato, ai fratelli Rosselli e a quelli delle brigate di Giustizia e Libertà, dei quali si sente l’erede e il difensore. Mi faccio una domanda: della realtà e della società di oggi i fratelli Rosselli e gli uomini di Giustizia e Libertà darebbero la stessa lettura di Scalfari?

Restando a Milano due degli scenari nazionali possibili – Governo Lega +Cinque Stelle o Cinque Stelle + Pd – porranno entrambi problemi perché il tempo vola e Beppe Sala e la sua Giunta sono a metà mandato: parlare delle prossime elezioni non è prematuro e continuo a ripeterlo. Il terzo scenario – Governo di transizione e ritorno alle urne – non cambia, anzi lo peggiora perché il tempo delle riflessioni non coincide col tempo delle campagne elettorali.

Utilizzando un modo di dire che non piace perché arrogante e autoreferenziale – “modello Milano” -, forse è arrivato il momento di pensare proprio a una sinistra “modello Milano”, che non alzi steccati, che consideri le diversità una ricchezza, che non espella le minoranze, che non consideri l’anagrafe un criterio di selezione, che guardi la società calandovisi, che non insegua la moda scambiandola per modernità, che, tanto per parlare di frattaglie, consideri “Smart” una marca di autovetture e nulla più, che chiami City solo il quartiere degli affari.

Soprattutto per la sinistra in questo momento storico le parole devono avere una corrispondenza biunivoca con la realtà, cioè concetti e cose e dunque una sinistra che non chiami reddito (di inclusione-di cittadinanza-di dignità) quello che deve essere riferito solo al frutto del lavoro, lavoro che va creato e che dà la vera dignità, non un modo di chiamare l”’aiuto” a chi ne ha bisogno quell’aiuto che è un diritto dei cittadini e un dovere per lo Stato. Mai una carità.

A Milano ci si aspetta una sinistra che sappia trasformare le proprie idee in atti di governo identificabili come politica di sinistra. Se non sarà così non c’è scampo.

Luca Beltrami Gadola

 

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