13 marzo 2018

musica – IL QUARTETTO ARTEMIS


musica10FBSe dovessi assegnare un premio al miglior concerto di questa stagione musicale milanese credo che, sia per la scelta del programma che per la qualità dell’esecuzione, non esiterei ad indicare quello che il Quartetto Artemis – nato nel 1989 a Lubecca e composto da Vineta Sareika, Anthea Kreston, Gregor Sigl ed Eckart Runge – ha tenuto martedì scorso al Conservatorio.

Il programma che l’ensemble tedesco ha scelto insieme a Paolo Arcà, riservatissimo regista dei concerti della Società del Quartetto, comprendeva nel seguente ordine tre Quartetti per archi: il n.3 in re maggiore (opera 44 n. 1) di Mendelssohn, il n.5 in si bemolle maggiore opera 92 di Šostakovič e il n.19 in do maggiore K. 465 di Mozart. Per capire la preziosità di questo programma bisogna osservare i periodi in cui i tre autori hanno vissuto: Mozart 1756-1791, Mendelssohn 1809-1847, Šostakovič 1906-1975, vale a dire che ciascuno di essi ha conosciuto solo il proprio secolo, rispettivamente il 700, l’800 e il 900. Né si può negare ch’essi siano stati campioni indiscussi delle tre fondamentali epoche musicali che quei secoli hanno caratterizzato: il classicismo, il romanticismo, il moderno. Dunque un concerto-sintesi della storia della musica (mancavano il barocco e il contemporaneo!) raccontata con una geometria semplice e perfetta attraverso la forma del quartetto d’archi.

Il quartetto di Mozart K. 465 dal titolo “Delle dissonanze” (un titolo “un po’ borghesuccio” secondo Paumgartner) è una delle opere più rivoluzionarie del settecento, assurte a simbolo del coraggio e della arditezza sperimentale nella ricerca sull’armonia; la sua modernità si ritrova non solo nel celebre Adagio che introduce, con quelle fantastiche “dissonanze”, il primo movimento, ma anche nell’appassionato e drammatico Trio (in minore) bruscamente inserito nel solare Minuetto (in maggiore) e in quel finale che – coerentemente alla inusuale dedica (“…ti raccomando questi miei figli…”) con la quale l’autore ventinovenne offre sei suoi Quartetti al venerato maestro cinquantatreenne – vorrebbe essere haydniano e sembra invece essere già schubertiano ante litteram.

Quanto al quartetto di Mendelssohn è difficile immaginare una scrittura altrettanto raffinata ed elegante e contemporaneamente intrisa di uno struggente romanticismo che mai sconfina nel mellifluo. Mendelssohn visse 38 anni e scrisse 13 Quartetti per archi: il numero 3 è del 1838, quando aveva 29 anni; Mozart visse 36 anni, scrisse 23 Quartetti ed aveva anch’egli 29 anni quando scrisse questo che porta il n.19. Altra perfetta geometria del programma!

Molto bene hanno fatto gli Artemis ad iniziare con Mendelssohn, quasi come per metterne in evidenza la freschezza ed il candore, ed a concludere con Mozart per sottolineare invece come la bellezza della complessità venga da molto lontano. Ma, dopo aver ascoltato il quartetto di Šostakovič, il ritorno a Mozart si è rivelato un salto molto duro e si è dovuto faticare non poco ad immergersi nella sontuosa Vienna imperiale subito dopo essere passati attraverso gli orrori e le tragedie che quella Vienna hanno spazzato via e che hanno segnato tutta la prima metà del Novecento.

Inutile dire che il clou del concerto è stato proprio il quartetto di Šostakovič, una potentissima opera che non può non lasciare sbigottiti per la evocazione e rappresentazione di quel terribile mezzo secolo. Anche Dmitrij Šostakovič ha scritto molti Quartetti per archi (esattamente 15, il primo nel 1938, l’ultimo nel 1974, l’anno precedente la morte) e questo che porta il numero 5 è stato composto nell’autunno del 1952 ed eseguito al Conservatorio di Mosca nel novembre del 1953, nell’anno cioè in cui muore Stalin lasciando basito il popolo russo che – almeno fino al brusco risveglio khrushcheviano del 1956 – non saprà più cosa pensare della propria storia.

In quegli anni Šostakovič è deputato al Soviet Supremo, è a Vienna per il “Congresso mondiale della pace”, scrive la grandiosa decima Sinfonia (suo figlio Maksim dice che il secondo movimento descrive il “ritratto del volto spaventevole di Stalin”), ha finalmente il successo che lo libera dagli incubi del passato. Ma il passato per lui sono milioni di morti, prima per il terrore stalinista e poi per la guerra, sono la fame e l’assedio di Leningrado, soprattutto le angherie subite da parte dell’intelligentsija e dello stesso Stalin negli anni più bui del comunismo. E questo è ciò ch’egli racconta nel Quartetto dell’opera 92: una musica aspra, selvaggia, urticante nell’Allegro non troppo, intrisa di nostalgia e di dolore nell’Andante centrale (evocativo dei grandi spazi della steppa Russa) e ancora una volta rapsodica nel finale Moderato che delicatamente si conclude con un elegiaco canto d’amore.

(Sarebbe molto suggestivo eseguire questo Quartetto davanti alla gigantesca tavola di Anselm Kiefer – “Die deutsche Heilslinie” ovvero “La linea della salvezza tedesca” – che dal fondo del padiglione dell’Hangar Bicocca, ove si trovano i “Sette Palazzi Celesti”, racconta le stesse tragedie e le stesse macerie morali di quel mezzo secolo, viste dall’altra parte dello spaventoso fronte che ha spaccato l’Europa).

Gli Artemis ci hanno offerto una interpretazione dei tre Quartetti di livello altissimo; è uno dei migliori Quartetti al mondo: il primo violino, la trentaduenne lettone Vineta Sareika, la più giovane dei quattro, ne è guida precisa e sicura, mentre il secondo violino, il violista e il violoncellista l’assecondano con un palese e profondo convincimento. Perfettamente affiatati passano da una partitura all’altra con la consapevolezza del tempo che le separa e del mondo – di volta in volta radicalmente cambiato – ch’esse rappresentano. Per completare il ciclo, poi, concludono offrendo in bis un breve Canone di Bach perfettamente “barocco” di cui non saprei dare le coordinate ma del quale si sentiva prepotentemente la mancanza. Magnifici!

Paolo Viola

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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