20 febbraio 2018

CORTE DEI CONTI E CASE POPOLARI: UN BRUSCO RISVEGLIO?

Le chiacchiere inutili


Bene ha fatto il Corriere della Sera Milano dedicando due pagine al “buco di 350 milioni” delle case popolari. Bisogna però essere d’accordo su che cosa si intenda per “buco” dal punto di vista contabile, di bilancio, di bilancio sociale. Il problema delle case popolari è un fiume carsico: riemerge quando si parla di elezioni o in occasione di qualche sgombero clamoroso, poi tutto tace. È un problema che ci arriva da lontano, come ho detto e non mi stancherò mai di dire.

01editoriale07FBPer chi volesse sapere come stanno a Milano le cose dell’edilizia popolare in termini quantitativi, deve pressappoco moltiplicare per 2 i numeri che vede sul Corriere perché l’altra metà è quella dell’Aler che non se la passa meglio del Comune di Milano; ma restiamo ai dati del Corriere per una prima notazione: su 24.597 alloggi popolari di proprietà del Comune quelli occupati abusivamente sono 1.232 pari al 5%. Quindi il problema delle occupazioni abusive, del quale tanto si parla, non è il principale; ma soprattutto quando si dice che cacciando gli abusivi si risolverebbe il problema delle case popolari (30.000 famiglie in cerca di un tetto a costi per loro accessibili) si dice una bugia.

Non saranno queste due pagine del Corriere, purtroppo, a far sì che la classe politica affronti seriamente il problema della case popolari partendo da una prima considerazione: qual è la percentuale del proprio redito complessivo che una famiglia modesta può destinare al pagamento di una pigione? Le ricerche socioeconomiche dicono che per le fasce di redito medio basse la percentuale non dovrebbe superare il 30%; dunque una famiglia di quattro persone con un reddito netto di 1.500 € al mese, al massimo potrebbe dedicare 450 € alla pigione e cavarsela per tutto il resto con 1.050 € per quattro panieri. Con 450 € al mese: a Milano se tutto va bene trovi un monolocale.

Comunque è inutile far conti da statistico o da ragioniere per capire che a Milano ci sono 70.000 famiglie che non possono permettersi né un acquisto, né una pigione da libero mercato: sono il popolo delle case popolari, un popolo di 300.000 persone, sarebbero la popolazione della decima città italiana, più del doppio degli abitanti di Bergamo. Una città nelle città.

Queste famiglie possono vivere a Milano solo se la mano pubblica le sostiene anche in caso di morosità e comunque, anche se tutti pagassero quanto la legge prevede, il solo gettito da canoni di locazione non sarebbe sufficiente per mantenere il patrimonio esistente ad un livello di manutenzione decente (e certo non per reintegrarlo a fronte di necessità pregresse accumulate). La morosità incolpevole di chi proprio non ce la fa rende inutile qualsiasi discorso anche solo manutentivo.

Vogliamo parlare seriamente del problema della case popolari senza rincorrere elettori, senza vederlo come un problema di carità, di sussidio ai poveri? Fin che continuiamo su questa strada e pensiamo a pannicelli caldi abbiamo un bel baloccarci con Smart City, e altri modi di dar aria ai denti.

Il problema delle case popolari è un problema infrastrutturale, piaccia o non piaccia, e i problemi infrastrutturali delle case popolari vanno risolti perché sono della stessa portata delle infrastrutture viarie, delle ferrovie, della sanità.

Se la logica è questa, e lo è, provate ad immaginare se, come vorrebbero i liberisti a tutto tondo, facessimo pagare ai passeggeri i trasporti pubblici nazionali e locali per quello che effettivamente costano, sprechi a parte; provate ad immaginarlo per i pendolari, quelli che vengono a Milano per lavorare e che fanno ricca la nostra città; provate a farlo livello urbano.

Cosa facciamo? Chi non ce la fa… lo mandiamo a piedi? Gli chiediamo di scegliere tra mangiare o viaggiare sui mezzi pubblici?

Siamo seri. Le infrastrutture vitali – sanità, trasporti, casa – vanno garantite a livelli decenti dalla mano pubblica perché sono il più potente mezzo per ridistribuire ricchezza offrendo servizi di cui beneficiano soprattutto le fasce più deboli.

Per quanto riguarda poi il settore specifico delle case popolari, a Milano e non solo, è chiaro che c’è morosità colpevole, i furbi; è altrettanto ovvio che bisogna rivedere le condizioni di reddito per l’accesso, ma questi sono provvedimenti di scarsissimo effetto quando sappiamo che tanto non possiamo mettere la gente in mezzo alla strada.

È il momento di fare una riflessione seria e completa e di pensare a cosa si dovrebbe investire, a quanta revisione legislativa sarebbe necessaria, ricordando che la ricchezza del paese è fatta anche, se non soprattutto, dal benessere diffuso e con un minimo garantito per tutti i livelli sociali.

Per finire mi fa sorridere chi vorrebbe maggior rigore nell’esazione invece di lodare il Comune di Milano che si sobbarca l’onere di provvedere alla bisogna. Si potrebbe rispondere alla milanese: ”Metaa parer metaa danee”. Fino a quando ce la farà il Comune? Sacrificando cosa? Anche di questo bisognerà pur parlare.

Il “buco” non c’è, c’è una posta di bilancio che rappresenta il costo delle politica sociale del Comune.

Luca Beltrami Gadola



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