6 febbraio 2018

musica – ANCORA ŠOSTAKOVIČ


musica05FBTre settimane fa questa rubrica salutava con entusiasmo un giovane direttore americano semisconosciuto in Italia, Robert Trevino, che aveva appena realizzato all’Auditorium una Settima Sinfonia di Šostakovič (la “Leningrado”) di rara bellezza, facendo risorgere l’Orchestra Verdi dal letargo cui gli ultimi direttori stabili l’avevano purtroppo condannata. Una resurrezione attesa e meritata, se si pensa ai traguardi che quell’orchestra aveva raggiunto con Riccardo Chailly e che poi tante volte ha ritrovato con bravi direttori come Caetani, Bignamini, D’Espinosa e non solo.

Grande, grandissima soddisfazione dunque abbiamo provato nel vedere confermate le qualità di questa orchestra in una situazione sostanzialmente analoga cioè nell’ultimo concerto che ha visto protagonista un altrettanto giovane – e ancor più sconosciuto – direttore ucraino, Valentin Uryupin, alle prese con un’altra sinfonia capolavoro di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič, la Quinta in re minore.

Come si sa, la Quinta è la sinfonia della svolta per Šostakovič, scritta per allontanare lo spettro della persecuzione incombente su di lui a causa del giudizio espresso dagli ottusi accademici sovietici che, proni ad ogni batter di ciglio del tiranno, avevano definito “borghese” o peggio “formalistica” la musica del loro, pur celebre, collega. E ciò avveniva proprio nel momento in cui il terrore staliniano incendiava tutte le Russie facendo, secondo lo storico inglese Robert Conquest, nel solo periodo che va dal 1937 al 1938, oltre 3 milioni di vittime. La Quinta fu scritta infatti nell’estate del 1937 e si sa che il povero Dmitrij Dmitrievič, tremendamente intimorito, appose sul frontespizio della Sinfonia la famosa frase “Risposta pratica di un compositore ad una giusta critica”!

Inutile dire che la Sinfonia in re minore riflette solo minimamente queste componenti biografiche; in realtà è una delle opere più felici di Šostakovič e rappresenta – così ne scrive lo stesso autore – lo “sviluppo della personalità umana” (ed è dunque una implicita ed allusiva risposta agli sforzi del regime che proprio quella personalità voleva conculcare). Il terzo movimento, un etereo ed insieme intimo Largo, è una pagina profonda ed emozionante che, come dice Giacomo Manzoni, “tratteggia l’esperienza tragica della coscienza umana (e qui l’Autore) e raggiunge veramente un’alta e nobile forza d’espressione”. Ma è sorprendente ascoltare come, nonostante il tragico contesto, nell’ultimo movimento la Sinfonia si risolva in una palese ed ottimistica gioia di vivere.

Da una assidua frequentatrice dell’Auditorium, Valentin Uryupin è stato definito un “elfo” per la sinuosità e la leggiadria delle sue movenze sul podio, tanto evidenti da sentire il bisogno di chiudere gli occhi per non venirne distratti. Ma all’eleganza delle movenze egli accompagna grande raffinatezza nello scolpire il fraseggio e nel dare un senso ad ogni nota; non vi è nulla di approssimativo o di “tirato via” nella lettura di questo giovane direttore, e si capisce molto bene con quanta passione lo segua l’orchestra aderendo pienamente alla sua visione.

Il concerto era introdotto da due capolavori di Musorgskij, “Una notte sul Monte Calvo” e i “Canti e Danze di Morte” per baritono e orchestra, due potentissime ed inquietanti opere, rispettivamente del 1867 e del 1875/77. Nulla di meglio per entrare nel meraviglioso mondo dell’Ottocento musicale russo che, con il famoso “Gruppo dei Cinque”, capitanato da Milij Balakirev (c’erano anche Nikolaj Rimskij-Korsakov ed Aleksandr Borodin), prendeva le distanze dalla cultura germanica post-beethoveniana ed elaborava una sorta di “nazionalismo romantico” parallelo allo sviluppo della grande letteratura di quel grandissimo Paese.

Concludo con una “nota di servizio”. Un comunicato dell’Auditorium annunciava che “per motivi personali il maestro Zhang Xian non potrà dirigere laVerdi nel concerto previsto nelle date 2 e 4 febbraio. A sostituirlo, il maestro Valentin Uryupin che ringraziamo per la sua preziosa disponibilità a dirigere il concerto senza variazioni di programma”. Per fortuna è andata così. Viene da chiedersi se sia mai possibile che l’Auditorium, pur conoscendo le gravi difficoltà economiche in cui versa, non riesca a trattenere un maestro come lui e a farlo diventare direttore stabile e residente della propria orchestra. Ci risulta che Uryupin viva in una regione al centro dell’immensa e piatta pianura russa, in un paese dominato bene o male da un dittatore (meno cruento graziaddio di quello che tormentava Šostakovič), dove possiamo immaginare che il clima non sia fra i migliori e che forse anche l’ambiente non sia culturalmente fra i più stimolanti. Possibile che Milano, incapace di portar via l’EMA ad Amsterdam, non riesca neppure a portar via un giovane e bravo direttore d’orchestra a Putin?

Paolo Viola

Questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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