19 dicembre 2017

L’OFFERTA MUSICALE DI MILANO

Il 2017 chiude meglio di come è iniziato


Cinque mesi fa, prima della pausa estiva, nella rubrica Musica scrivevamo “Quest’anno musicale si chiude con un po’ di amarezza. Con la sensazione – spero dovuta al torrido caldo di questi giorni – di un calo della qualità, in controtendenza rispetto alla buona qualità di tante cose che si fanno in questa rinascente Milano”. E proseguivamo ricordando alcuni misfatti della trascorsa prima metà dell’anno.

Il logo di PianoCity

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In questo secondo scorcio dell’anno, però, forse anche perché la stagione autunnale di solito è un po’ più ricca culturalmente di quella primaverile, le cose si direbbero sensibilmente migliorate. Anche l’interesse del pubblico sembrerebbe aumentato e si ha la sensazione di vedere le sale più piene e l’età media degli ascoltatori più bassa. Giunti ora alla fine dell’anno, senza presumere di possedere tutte le informazioni al riguardo, e senza aver la pretesa di essere esaustivi, cercheremo di tracciare un quadro complessivo della ricca offerta musicale di cui Milano dispone.

Prima di tutto la Scala. Il binomio Pereira/Chailly, dopo il tormentone degli anni guidati dal duo Lissner/Barenboim, bene o male va consolidandosi e comincia a dare qualche frutto; non crediamo di poter dire che sia in un momento magico (forse la magia non è più di questo mondo), ma alcuni passaggi straordinari li abbiamo visti e goduti, come ad esempio I Maestri Cantori di Gatti, Il Franco Cacciatore di Myung-Whun Chung e le Sinfonie di Beethoven dirette dallo stesso maestro coreano. Quanto a Chailly, pur amandone e rispettandone l’approccio e le intenzioni, la sensazione è che non abbia ancora trovato il passo giusto con il teatro e con la sua orchestra. Ma non si può non aver fiducia che lo trovi.

Lasciando la lirica e passando all’altra grande orchestra sinfonica milanese, abbiamo perso la sicura guida di Luigi Corbani alla direzione dell’Auditorium. Un vero peccato, di cui stiamo pagando le conseguenze. Il passaggio della direzione artistica dalla cinese Zhang Xyan a quella del tedesco Claus Peter Flor non ci pare si stia rivelando foriero dell’atteso rinascimento dell’orchestra; l’improvvida integrale delle Sinfonie beethoveniane fu un esordio veramente infelice e siamo ancora in attesa di qualche apprezzabile risultato. Non si capisce perché l’Auditorium, visto che non riesce ad attrarre stabilmente nella sua orbita alcuni bravi direttori che pur lo frequentano con ottimi risultati (penso a Oleg Caetani, a Jader Bignamini, a Gaetano d’Espinosa), non voglia scommettere su uno dei tanti giovanissimi e bravissimi direttori usciti dal nostro Conservatorio (penso a Alessandro Cadario, a Michele Gamba, ma non credo che ci manchino i talenti) che sarebbe interessante potessero crescere nella loro città invece di dover andare a cercar fortuna altrove.

La terza orchestra stabile milanese, il cui direttore artistico è l’organista Maurizio Salerno, è quella dei Pomeriggi Musicali che si divide fra il Teatro Dal Verme e quello degli Arcimboldi e che accompagna l’As.Li.Co. (Associazione Lirica Concertistica Italiana) in giro per i teatri delle provincie lombarde – spesso preziosi esempi di architetture del sei/settecento come il Fraschini di Pavia – per una stagione operistica molto apprezzata che ha il merito di diffondere la buona musica in tutta la regione. Non se ne parla molto, si fa poca pubblicità, è uno strano organismo in cui la mano pubblico/politica (in questo caso la Regione Lombardia) è prevalente per cui finisce per avere finalità soprattutto sociali e per mirare più alla divulgazione che all’eccellenza. Forse fa troppe cose e dovrebbe concentrarsi di più su alcune di esse.

Per una città tutto sommato piccola come Milano, imparagonabile alle grandi capitali europee (neanche a Berlino che non è molto più grande ma è, appunto, una capitale), avere tre orchestre stabili di cui una, quella scaligera, che si raddoppia nella Filarmonica, è una dotazione più che buona. Sarebbe positivo se le tre orchestre si facessero una vera concorrenza, basata sui programmi e sulla qualità delle interpretazioni mentre sembra, invece, che ciascuna di esse abbia un proprio pubblico “a prescindere”: il pubblico da status symbol della Scala, quello dell’appartenenza dell’Auditorium, quello un po’ più curioso e popolare dei Pomeriggi Musicali.

L’altro capitolo della vita musicale milanese è costituito dalle istituzioni che offrono prevalentemente concerti di musica da camera. Tre di esse svettano e si dividono la grande sala Verdi del Conservatorio; il lunedì tocca alle Serate Musicali, il martedì alla storica Società del Quartetto, il mercoledì alla Società dei Concerti. Per spessore culturale e per rigore della programmazione, grazie soprattutto alla direzione artistica di Paolo Arcà, fra loro eccelle la Società del Quartetto che ha sempre condiviso con la Scala e con il Piccolo Teatro il pubblico della borghesia milanese. Su tutte e tre le istituzioni incombe la drammatica crisi dei finanziamenti pubblici e privati, senza i quali non potrebbero stare in piedi, ma in questo momento sembrano più in affanno le Serate Musicali a causa di un management che non si rinnova e la Società dei Concerti che ha appena subìto il grave lutto della scomparsa del suo fondatore-mattatore.

A Milano esistono da qualche tempo anche due festival che sembrano due tsunami annuali, vale a dire PianoCity, che dura un weekend e si svolge prima dell’estate, e MI.TO che impegna un intero mese a cavallo fra l’estate e l’autunno. Il successo del primo è garantito dall’ottima direzione artistica di Ricciarda Belgiojoso, la responsabilità del secondo è recentemente passata dalle mani del milanese Francesco Micheli a quelle del torinese Nicola Campogrande, e ancora non si è ben capito se funziona meglio o peggio. Due festival che, pur non avendo ancora una grande storia alle spalle, si sono già ben incistati nell’animo dei milanesi.

Infine esiste in città un numero ragguardevole di iniziative, spesso degne di maggior fama, che meriterebbero di essere promosse tutte insieme e forse anche programmate con un minimo di coordinamento, in modo che gli amanti della musica colta – che anche non abbondando non sono tuttavia pochi – possano averne un quadro sempre aggiornato ed adeguatamente illustrato. Citiamo un po’ casualmente cicli, luoghi, promotori ed occasioni per ascoltare musica in città cominciando dalla Palazzina Liberty e dalla Casa di Riposo G. Verdi, continuando con Milano Classica e Milano Musica, Sentieri Selvaggi ed Arte Viva, Divertimento Ensemble e Arte e Musica, il Teatro Filodrammatici e Le voci della città, l’Umanitaria e il Museo del Novecento, e poi il Ma.Mu., il Rosetum, il No’hma, il Pavillon, la Musica nel Tennis, il Sacro in Musica e l’Orchestra Mozart Festival, l’Auditorium Lattuada e la Villa Reale e così via fino alla Rassegna Organistica Ambrosiana e alle tante chiese e basiliche che – dal Duomo ad alcune modeste cappelle di periferia – accolgono musica colta e non solo sacra. Per non dire, ovviamente, del Conservatorio, che letteralmente regala musica, e mediamente di buona qualità, durante i fine settimana.

L’abbiamo scritto tante volte su questo giornale: Milano è una delle grandi capitali della musica e viverci, almeno da questo punto di vista, è un grande privilegio. È un vero peccato che ne godano relativamente poche persone e che la loro età sia sempre piuttosto elevata. Per riaccendere l’interesse sarebbe utile riprendere l’antica abitudine di criticare liberamente e di discutere pubblicamente sui media la qualità di ciò che si è ascoltato, anziché limitarsi ad annunciarlo, e sempre con un’enfasi acritica che non incanta più nessuno. Noi invece, nel nostro piccolo, ci proviamo.

Paolo Viola



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