5 dicembre 2017

MILANO: CERVELLI IN VENDITA

Cosa cerca chi si localizza qui


Sfumata l’occasione di Ema, pare riprenda l’attività del sindaco Beppe Sala per cercare aziende straniere che vengano a insediarsi in città. L’imprenditoria italiana latita. Direi che non passa settimana senza che ci sia qualche “buona” notizia: forse arriva una banca, forse una finanziaria, forse qualcuno che la Brexit ha convinto a trasferirsi, forse qualcuno che sta cercando un posto interessante per localizzarsi o per localizzare un suo ramo d’azienda. Vanno bene tutti? Qualunque cosa facciano? Di qualunque dimensione? Non ne sarei sicuro.

01editoriale40FBInnanzitutto bisognerebbe valutare quali sarebbero i vantaggi per la città, per quale segmento della sua popolazione, per quali delle attività già insediate e dunque valutare le cosiddette ricadute positive; sull’altro piatto della bilancia c’è quello che eventualmente queste aziende chiedono alla mano pubblica in cambio dei vantaggi promessi o supposti come aree a prezzi agevolati, supporti alla formazione del personale, insomma tutto quello che un’azienda può legittimamente pretendere da una città che ha interesse ad accoglierla.

Non da ultimo bisogna considerare quello che stiamo vendendo a un’azienda o a chiunque venga a Milano a svolgervi un’attività, dal professionista alla grande società, dal creativo al manutentore di servizi informatici: vendiamo il brand.

Come ben racconta Stefano Rolando proprio su queste pagine, noi dobbiamo esser molto attenti al nostro “brand” perché in realtà è quello che abbiamo da vendere, quello che mettiamo a disposizione di chi viene a Milano: un’immagine di città, un patrimonio di cultura e saperi, di storia, di tradizioni, di capacità manageriali, di intelligenza diffusa, di laboriosità e di buona qualità della vita. (Purtroppo non dell’aria: un problema che ci trasciniamo appresso senza aver fatto solo una piccolissima parte di quello che si dovrebbe. Un neo, questo sì.)

Pur essendo uno dei cosiddetti “beni” immateriali che il consumo non esaurisce, il brand di una città è invece limitato dalle dimensioni fisiche stesse della città, città che non può e non deve crescere indefinitamente, perché si scontrerebbe col problema di consumo del suolo oltreché con tutti i problemi di razionalità economica e di governabilità dei processi di trasformazione (che aumentano in maniera più che proporzionale rispetto alle dimensioni urbane). Del laissez faire in questo settore ne vediamo i risultati.

Dunque, visto che ogni nuovo arrivo si prende una parte del nostro brand, dobbiamo cercare di venderlo al meglio, ossia che porti benefici al maggior numero possibile di cittadini, che ne migliori la qualità della vita nel senso più esteso del termine: dal reddito procapite al soddisfacimento delle aspettative.

Fino ad ora ogni annuncio di possibile nuovo arrivo era inesorabilmente accompagnato dalla frase di rito: ”porterà o genererà x posti di lavoro”. In genere qualche centinaio: numeri comunque non significativi per esempio rispetto ai 32.000 nuovi posti del 2016 generati dal traino della ripresa in Europa. Dunque la ciliegina dei nuovi posti di lavoro è un po’ striminzita.

Ma c’è anche il problema della qualità del lavoro, tema ricorrente, tra lavoro a chiamata, part-time, lavoro occasionale e tutte le tipologie inventate da chi crede realmente che la flessibilità totale del lavoro sia la panacea di tutti i mali dell’economia italiana.

Queste nuove aziende che vengono in Italia, che lavoro offriranno? Che lavoro vogliono?

Ho cercato la risposta sentendo un amico che opera in una grande società americana di consulenza aziendale e la risposta lapidaria è stata: “Senza scomodare complicati algoritmi, la fissazione dei ricercatori, Milano piace perché il mercato del lavoro, in particolare quello intellettuale, è molto flessibile, molto economico e competitivo: allora perché spingere i giovani italiani a venire da noi? Portiamo lì il lavoro. Tutto sommato conviene.”.

Aiutiamoli a casa loro! Ricorda nulla?

Cercare investitori per Milano non è cosa semplice se si ha una visione olistica della città e dei suoi bisogni, se il proprio orizzonte invece è quello di “avere visibilità” allora tutto diventa banale: ”Avanti il prossimo!”.

 

Luca Beltrami Gadola



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