28 novembre 2017

MAFIA & CO.: RISARCIRE MILANO

La fine del negazionismo d’accatto


Si sono conclusi a Milano venerdì scorso gli Stati Generali Lotta alla Mafia, la conclusione di due anni di lavoro del Ministero della Giustizia tra commissioni, tavoli ed esperti. Resta un po’ di amaro in bocca: di tanto lavoro e di una passerella di personalità, a cominciare dal Presidente della Repubblica, pochissimo riscontro sulle pagine milanesi dei quotidiani. La Mafia, la criminalità organizzata sembra non interessare più di tanto i lettori. Lo abbiamo notato anche noi dal nostro osservatorio: gli articoli sulla criminalità organizzata interessano poco. Peccato, segno dei tempi.

01editoriale39FBMilano comunque aveva diritto a un risarcimento: il negazionismo di piccolo cabotaggio ma strisciante che aveva tra i suoi alfieri il Prefetto Gian Valerio Lombardi nel 2010 e il presidente Maroni, ministro dell’Interno nell’ottobre 2012, quando pretese di smentire pubblicamente in RAI le parole di Saviano sulla criminalità in Lombardia. Questo negazionismo strisciante almeno a Milano sembra scomparso.

Nel suo discorso Orlando, il ministro della Giustizia, come per altro la maggior parte degli intervenuti, ha detto che la criminalità organizzata la si deve cercare follwing the money, inseguendo il denaro, ovviamente dove il denaro circola, dove ce n’è di più, dove si riesce a farne perdere le tracce. Dove in Italia se non a Milano, la capitale economica del Paese, come ha ricordato il ministro?

Le relazioni, a cominciare da quella del Presidente del Senato Grasso ma anche del Ministro della Giustizia si sono mosse tra ricordi e appelli alla ricostruzione morale del Paese, tra indicazioni di attività a carattere repressivo e quelle di carattere investigativo, tra auspici di collaborazione internazionale e collegamenti tra apparati dello Stato. Sempre interessanti le testimonianze dalla società civile.

Solo nell’intervento dell’onorevole Rosi Bindi si è accennato al problema della legislazione vigente nel nostro Paese, non tanto e non solo la legislazione strettamente legata ai delitti di mafia ma più in generale al corpus delle leggi che riguardano le amministrazioni locali.

Dopo 7 anni di attività come membro del Comitato antimafia del Comune di Milano ma anche come imprenditore prestato, definitivamente, al giornalismo, nutro una profonda convinzione: non bastano le attività repressive e investigative, bisogna rileggere e riscrivere con intento diverso la maggior parte delle leggi e delle norme che riguardano le attività economiche nel nostro Paese. Qui stanno le premesse della criminalità organizzata parente consanguinea della corruzione.

Mi riferisco agli orientamenti della Corte costituzionale in materia di “ragionevolezza” delle leggi, là dove si ribadisce che il principio di ragionevolezza esige che le disposizioni normative in atti con valore di legge siano congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore ma anche che si indaghi sui presupposti di fatto e sulla congruenza di mezzi e fini.

Oggi uno dei “fini” prevalenti è la lotta alla criminalità organizzata e quindi ci si deve aspettare che il legislatore sottoponga ogni suo atto alla condizione del perseguimento proprio di questo fine.

Basta scorrere la legislazione in materia di società per accorgersi che nelle maglie di queste leggi vi sono varchi che consentono ad esempio l’anonimato degli azionisti o dei possessori di quote sociali; basta vedere come passando dalle società per azioni a quelle a responsabilità limitata – la forma giuridica prediletta dal malaffare -, calino gli obblighi di dotarsi di organismi di controllo e si attenui il requisito di pubblicità degli atti amministrativi. Il mondo delle cooperative diventa frequentatissimo da chi vuol nascondere attività illecite. Manca trasparenza: l’acqua è torbida.

Un caso che in Commissione ci si ripropone costantemente riguarda l’applicazione del Codice degli Appalti – le regole per la spesa del denaro pubblico -, una sorta di colabrodo, di labirinto inestricabile, di accozzaglia di norme che sotto l’apparenza di un magistrale impianto di completezza dispositiva lascia ampi margini di discrezionalità a chi gestisce denaro pubblico.

Abbiamo oggi un corpus di leggi vecchie, nate quando ancora del fenomeno della mafia non si parlava, o quando, più appropriatamente, se ne sapeva e in qualche caso si colludeva; leggi e norme spesso viziate dalla presenza sempre percepita ma mai sufficientemente emersa con evidenza penale di collegamenti tra grandi poteri economici e funzionari infedeli dei ministeri. Si è capito che anche mafia, camorra e ‘ndrangheta sono un grande potere economico e dunque?

Come per la riforma burocratica non vedo né volontà vera né capacità di revisioni legislative di così ampia portata. Una volta i grandi Partiti storici potevano avere queste ambizioni, oggi non ne vedo. I Partiti politici o i movimenti sono ora come le società per azioni: quello che conta è la semestrale. Tweet della finanza e tweet della politica.

Luca Beltrami Gadola



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