31 ottobre 2017

musica – SCHUMANN E CAMPANELLA


Opere facili, minori, opere per l’infanzia ma spesso gioielli musicali di grandissima poesia come le Scene infantili (Kinderszenen op. 15) o l’Album per la gioventù (Album für die Jugend op. 68) di Robert Schumann a proposito del quale egli stesso scrive a Clara «Queste cose ti stupiranno, cose folli e qualche volta solenni, scritte ridendo e piangendo» … Ho chiesto a Michele Campanella, grande interprete che le ha eseguite tante volte in concerto, di dirci cosa ne pensa e – con vero piacere e con profonda gratitudine – gli cedo la parola.

musica36FBPenso siano ben pochi i pianisti che non abbiano avuto occasione di conoscere qualche brano dell’Album della gioventù durante i primi approcci con lo strumento. I pregi didattici dell’opera schumanniana sono fuori discussione: nelle loro piccolissime dimensioni i frammenti della raccolta sono assai ricchi di spunti per l’insegnamento e per l’apprendimento del fraseggio, del canto, della caratterizzazione. Dunque, il loro valore è soltanto questo? Sono essi brani degni di essere eseguiti da un pianista maturo, degni di essere inclusi nel repertorio alla pari con le altre raccolte schumanniane?

Se sono qui a scriverne, evidentemente penso di sì, ma per decenni ho sacrificato questa piccola grande opera alla doverosa indagine sulle opere maggiori di Schumann, quelle che lui stesso chiamava Große Stücke; e dava sui suoi Kleine Stücke giudizi sempre più distaccati. Con il metro estetico di oggi, Papillons e Intermezzi, Kleine Stücke giovanili appunto, sono l’inveramento della grande rivoluzione schumanniana, la svolta che eleva il frammento sino a renderlo alternativo alla «Forma Sonata» tradizionale, ormai sclerotizzata.

Negli anni in cui Schumann scriveva Trii, Quartetti e Sinfonie, la produzione per pianoforte si ridusse drasticamente e perciò il numero d’opera 68, e l’anno di pubblicazione 1848, rappresentano un significativo ed eccezionale sguardo all’indietro. Sguardo arricchito da due motivi che si erano sviluppati in quegli anni: il Lied e l’Hausmusik. Dimensioni che avevano entrambe prodotto spettacolari risultati musicali e aperto nuove prospettive alla creatività schumanniana.

Nel nostro caso le conseguenze di queste diverse esperienze si manifestano nel linguaggio: tutto è canto, canto senza parole, ma inequivocabilmente vocale. E il Lied ha affinato in Schumann la capacità di miniaturizzare una forma semplificata ma efficace, straordinariamente comunicativa. Con essa nascono il quadretto di genere, il bozzetto, il ritratto, luoghi dove appunto si realizza ciò che l’Hausmusik predilige (si veda Canto del Nord, Siciliana, Canto dei marinai italiani, La Befana, La canzone del nuovo anno e tanti altri). Il salotto chopiniano o lisztiano si riduce al soggiorno di casa, per un ascolto limitato alla famiglia borghese, ove non c’è posto per grandi gesti né pianistici né letterari.

Questa riduzione al minimo esprime da una parte un mestiere, una maturità formale indiscutibile, dall’altra quella tendenza all’arretramento che – si può grossolanamente dire – caratterizza la creazione del tardo Schumann. Gli slanci e il coraggio dei primi brani pianistici sono gradatamente abbandonati per conquistare una solidità ed una pacatezza consona ai fruitori musicali della classe borghese tedesca cui Schumann si rivolgeva: canto popolare, corale luterano, oltre a un prudente gusto per l’esotismo (Schéhérazade) e un certo sapore zuccherino, sono insieme stili musicali ed annotazioni di costume.

Resta intatto il prodigioso dono della poesia, la quale si annida anche nelle paginette che si preannunciano di maniera. Ecco perché, al di là del poco prestigio che un rispolverare l’Album può produrre, questi brani emanano un fascino discreto e malizioso (ascoltate Mignon …) cui, una volta preso in mano lo spartito, non si resiste.

Si pensa che l’Album sia un’opera facile, per principianti: lo è. Ma come tutte le opere facili, in cui manca uno spessore denso e virtuosistico del dettato pianistico, l’Album nella concretezza si rivela molto pericoloso: il pericolo sta nel fatto che le piccole cose richiedono un controllo del suono ben superiore a una Rapsodia ungherese. «Tecnica» – sia chiaro – non è virtuosismo espresso prevalentemente in velocità e forza, bensì produzione del suono. Anche un solo accordo richiede una definizione tecnica perché produca una giusta ed efficace sonorità. E l’Album è quindi, nei fatti, difficile.

Michele Campanella

questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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