10 ottobre 2017

REFERENDUM SUI NAVIGLI. UN’OCCASIONE DI CIVILTÀ?

Chiamare al voto cittadini informati


Con le dichiarazioni del sindaco Sala e il successivo voto consigliare si è riaffacciata a Milano la grande questione della riapertura dei Navigli. L’opportunità politica di riaprire in questo momento un dibattito certamente divisivo, con quel che c’è per aria, è una scelta quantomeno discutibile. Tuttavia.

01editoriale33FBNaturalmente si riapre il dibattito tra favorevoli e contrari e le pagine dei principali quotidiani milanesi si affollano ancora di interviste, pareri, editoriali che ripropongono le vecchie posizioni di entrambi i fronti con qualche nuova considerazione. Riassumiamole.

I favorevoli dicono: riaprire vuol dire restituire a Milano le sue vecchie vie d’acqua che decisioni del passato hanno deciso di rinterrare sull’onda di un “marinettismo” un po’ fascista – velocità e movimento – e in ossequio a una nuova viabilità urbana, tutta veicolare, del periodo della ricostruzione postbellica ma anche per ragioni igieniche. Si vorrebbe una sorta di risarcimento e riscoperta di scenari milanesi attrattivi per il turismo e – non poteva mancare – in favore di una riduzione del traffico automobilistico, ricreando luoghi di socializzazione com’è stato per la Darsena. Infine nel 2011 è già stato fatto un referendum che anticipava solo una decisione e al quale ha partecipato il 48% degli aventi diritto: il 98% di voti a favore. Va detto che era trascinato da altri quattro quesiti di ben altra portata e vi si parlava praticamente solo di Darsena.

I contrari si dividono in molti gruppi: chi è contrario in linea di principio a un progetto antistorico di ricostruire quello che non potrà mai essere come nel passato, visti gli irreversibili mutamenti morfologici della città e delle sue architetture; chi, anche approvando alcune delle ragioni dei favorevoli, ritiene che Milano non sia in grado di affrontare lavori di questa importanza con competenza sufficiente, ragionevolezza e senza paralizzare ancora la città come con la M4; chi ritiene che il costo previsto sia “italianamente” sottostimato con quel che segue; chi ritiene che sarà una “fogna” a cielo a aperto da mantenere pulita; chi infine ritiene, pur approvando l’idea, per il Comune di Milano sia un onere finanziario eccessivo che andrà a scapito di altri assai più urgenti investimenti quali case popolari, scuole, strade, arredo urbano; chi infine dice che, se dei Navigli ci dobbiamo occupare, quelli esistenti, in particolare nel loro ingresso in città, avrebbero bisogno di un sostanziale riordino.

Il dibattito non sembra accendere un interesse diffuso tra i cittadini, quasi fosse una polverosa questione accademica, molto lontana dagli interessi reali e immediati della collettività milanese. Dunque nasce un problema.

Eccolo. La questione della quale non si parla è la validità dello strumento referendario nel caso della riapertura dei Navigli – ma anche in molti altri casi – quando tutto dipende dal testo del quesito, e dunque ne aspettiamo con interesse il contenuto. Il precedente, del 2011, era: “Volete voi che il Comune di Milano provveda alla risistemazione della Darsena quale porto della città e area ecologica e proceda gradualmente alla riattivazione idraulica e paesaggistica del sistema dei Navigli milanesi sulla base di uno specifico percorso progettuale di fattibilità?”.

Che cosa avreste risposto? SÌ, ovviamente. Chi, ignorando però le condizioni al contesto, avrebbe risposto NO? Chi poi al momento della realizzazione della Darsena non si è opposto sapeva che l’onere economico sarebbe andato a carico dell’operazione Expo 2015 e dunque non avrebbe gravato sulle casse milanesi. Disagio per i cantieri? Quasi nessuno. Oggi questo nuovo referendum così come sembra prospettarsi potrebbe ricordare la famosa gag di Petrolini “Volete che Roma sia più bella e più forte che pria?“.

Adesso però il caso è completamente diverso. Il quesito referendario non può chiamare la gente al voto semplicemente dicendo: “Volete riaprire i Navigli?” … perché è bello o simili. Il quesito referendario dovrà, senza finzioni o subdole omissioni, indicare in che contesto si chieda di valutare il progetto così come l’ha recentemente proposto il sindaco Sala: in buona sostanza va chiesto un voto indicando le ragioni del SÌ e le ragioni del NO.

La spiegazione delle ragioni del SÌ potranno essere sintetizzate dall’amministrazione che le propone, per le ragioni del NO bisognerà che siano indicate e dunque chi le propugna si riunisca in un comitato e provveda alla redazione di un documento di sintesi chiedendo con forza di poter rappresentare le sue opinioni con pari dignità al momento del referendum.

Bello sarebbe copiare i nostri vicini svizzeri che in casi come questo manderebbero agli elettori un piccolo pieghevole di qualche pagina redatto dai fautori del SÌ e da quelli del NO. Civiltà d’oltralpe di un Paese “federalista” – messaggio alla Lega – e non populista – messaggio per M5S.

La civiltà della vera partecipazione questo richiede: andare al voto informati.

Luca Beltrami Gadola



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