26 settembre 2017

PIANO DI GOVERNO DEL TERRITORIO. UNA MUTAZIONE? PER QUALE CITTÀ?

L’allargamento dell’orizzonte apre un dibattito essenziale teorico e politico


Che ne facciamo del Pgt? Nello scorso mese di agosto l’assessorato all’Urbanistica, Verde e Agricoltura ha licenziato due documenti: il Documento di obbiettivi per il Piano di governo del territorio e a suo supporto un documento dal titolo Aggiornamento del Piano di Governi del Territorio, Rapporto preliminare – Documento di scoping.*

01editoriale31FBQuesti due documenti – ma soprattutto il primo – non so se saranno oggetto di discussione in Consiglio comunale prima della redazione definitiva e presentazione del nuovo Pgt al consiglio stesso con relativa bozza di delibera.

Comunque sia l’iter formale previsto, i due documenti, se fosse necessario dirlo, fanno capire che il Piano di Governo del Territorio è il più importante atto amministrativo sul quale deve in ogni caso confrontarsi la Giunta nel corso del suo mandato, anche perché la sua scadenza quinquennale di fatto esclude che Sindaco e Giunta possano evitare di incapparvi, a meno di incidenti di percorso.

La scadenza quinquennale, fissata nel 2005 dal legislatore regionale, si ritenne fosse sufficientemente breve da consentire che le “necessità” o, come preferirei dire io i “bisogni” della città trovino puntualmente soddisfazione in un nuovo Pgt.

Vi era sotto sotto però una sottile ipocrisia: far finta di non sapere che, con una legge del 1990, ricorrendo all’Accordo di Programma previsto dalla legge stessa – accordo tra enti pubblici al quale poteva partecipare anche un privato – se adottato costituiva variante automatica del Pgt e con qualche maestria, soprattutto per le operazioni meno dirompenti, si scavalcava il Pgt e tutte le sue procedure indubbiamente poste a tutele dell’interesse pubblico.

È quello che oggi accade con l’Accordo di Programma per gli scali ferroviari.

Che senso ha dunque una discussione profonda sul Piano di Governo del Territorio quando le maggiori opportunità sono concentrate negli scali ferroviari, nelle aree Post Expo, nella Piazza d’Armi, a Città Studi, sulla riapertura dei Navigli affidata (forse) a un referendum? Aree tutte e luoghi il cui destino si vuol definire a prescindere e precedendo un Piano che sembra doverle accogliere come un dato acquisito di realtà.

Nei documenti prodotti dalla amministrazione si indicano otto obbiettivi: attrattività e inclusione, rigenerazione urbana, qualità degli spazi pubblici e dei servizi, resilienza, semplificazione e partecipazione il tutto in una logica prevalentemente milanocentrica comunale.

Di là dall’osservazione sulla quasi totale indifferenza rispetto alla Città metropolitana, ci si domanda: tutto questo nell’interesse di chi? Di quali cittadini? Con quali priorità? Soprattutto emerge che nessuna delle operazioni prospettate o degli interventi strutturali suggeriti è accompagnata da una analisi preliminare (scoping) delle risorse necessarie a darvi concretamente corpo e alla loro reperibilità.

Va dato atto ad Amat, l’Agenzia comunale per la mobilità, l’ambiente e il territorio, di aver redatto un documento – 250 pagine di testo e ricche tabelle – che descrive la realtà territoriale milanese e le procedure da seguirsi per la redazione del Pgt in maniera esaustiva, spaziando dagli aspetti della città “fisica” agli aspetti demografici, dalle attività economiche agli aspetti sanitari. È una miniera di dati che farà la delizia dei ricercatori.

La sua natura di “osservatorio” si ferma a una soglia importante: per ognuno degli aspetti presi in esame non sono state rilevate le criticità note e ovviamente il grado di gravità delle stesse.

Sul Documento di obbiettivi per il piano di governo, elaborato dal Centro Studi Pim, il discorso è tutto da fare, trattandosi di un testo di natura “politica”, e vale la pena di porsi molte domande cominciando ad esempio da due:

  • L’attrattività, ossia l’afflusso di residenti e risorse economiche – perché di questo in sostanza si parla – lo si valuta solo quantitativamente?

  • L’auspicato aumento della popolazione proveniente dall’hinterland ma anche da più lontano è un obbiettivo corretto?

Il dibattito è aperto con una notazione finale: la rilevanza e la pervasività del Pgt, farebbero quasi cadere il connotato esclusivamente “urbanistico” del provvedimento per fargli assumere il ruolo più generale di “Piano di governo” tout court: la morte definitiva dei piani tradizionali e finalmente una discussione aperta sui criteri di indici, destinazioni d’uso e dintorni, il bagaglio statico degli urbanisti vecchia maniera.

Luca Beltrami Gadola

(*) In italiano analisi preliminare



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