16 maggio 2017

musica – IL LABORATORIO MUSICALE DI BANNA


Qualche lettore ricorderà che un anno fa, in questa rubrica, furono raccontati “i seminari, i laboratori e le conferenze sull’arte e sulla musica contemporanee per promuovere l’approfondimento delle pratiche artistiche e dei temi più rilevanti del dibattito filosofico ad esse correlato” che la “Fondazione Spinola-Banna per l’arte” organizza nella deliziosa e grandiosa tenuta fra Asti e Torino. Anche l’altra sera, come ormai ogni anno dal 2007, la Fondazione ha aperto le porte a 150 invitati provenienti da tutta Italia per ascoltare le composizioni frutto dell’undicesimo Laboratorio Musica.

musica18FBQuest’anno è stata la volta di un particolare esperimento: la composizione per pianoforte ed elettronica sviluppata in collaborazione con l’IRCAM del Centre Pompidou di Parigi, affidata a un docente di grande esperienza come Georges Asperghis.

Due giovani autori, e precisamente Giulia Lorusso ed Emanuele Palumbo, hanno presentato i lavori commissionati loro dalla Fondazione e creati per l’occasione nel corso del laboratorio. Il brano del docente (Dans le mur) e i due dei discenti (rispettivamente Entr’ouvert e InnerVoice) sono stati composti per “piano augmenté” (all’interno dello Steinway da concerto erano sistemate apparecchiature elettroniche capaci di aggiungere suggestive sonorità alle vibrazioni delle corde) e magistralmente eseguiti da una giovane pianista napoletana con un grande temperamento musicale, Mariangela Vacatello, coadiuvata per il supporto informatico da Mike Salomon.

Non sono un appassionato della musica colta contemporanea, e soprattutto non amo che opere contemporanee siano introdotte nei programmi dei concerti di musica “classica”, proposte o meglio imposte a un pubblico che spesso non ha né l’interesse né il piacere di ascoltarle. Credo invece che gli ascoltatori abbiano il diritto di scegliere il tipo di musica che loro interessa e che senza una specifica ragione non si debbano mescolare generi e linguaggi tanto diversi.

Tutt’altra cosa è invece un concerto esclusivamente di musica contemporanea, ancor più se identificabile come musica sperimentale: l’ascoltatore passa dalla condizione passiva (o dallo stato d’animo) di chi è costretto a subire pezzi che possono essergli ostici, alla condizione attiva di chi partecipa insieme agli autori e agli esecutori a una ricerca o a un esperimento. Così capita, ed è successo sabato sera a Banna, di imbattersi in magnifiche sorprese.

Più che la musica in sé (il cui interesse era avvalorato dalla grande attenzione del pubblico, composto in gran parte da “gente del mestiere”, vale a dire da musicisti, musicologi, interpreti, artisti, critici, storici, editori) ha molto colpito la prestazione della Vacatello, una specialista di musica contemporanea con capacità interpretative ed esecutive assolutamente fuori dal comune.

Di fatto la serata si è presentata come un suo concerto personale, un concerto di musiche appena uscite dalla penna (o meglio dal computer) dei compositori, eseguito su un “pianoforte aumentato” che -come dice Giorgio Pestelli nel programma di sala – è l’ultimo capitolo di una lunga vicenda nata quando, “soprattutto nel secondo dopoguerra, si diffonde la ricerca sul suono di pianoforti preparati, amplificati, modificati con dispositivi elettronici in tempo reale … per aprire nuovi orizzonti al mondo del suono”.

L’aspetto sorprendente del concerto è stata la sua conclusione: dopo i tre pezzi di cui si è detto, la Vocatello ha eseguito – tenetevi stretti – la Sonata n° 32 op. 111 in do minore di Beethoven (ovviamente per pianoforte … naturale). Sorprendente da molti punti di vista. Innanzitutto la scelta dell’ultima Sonata del grande Nume dell’epoca classica, già affacciato sull’abisso – o sull’oceano – della modernità, quasi a voler dimostrare che i presupposti della contemporaneità erano già in gran parte presenti nel monumento beethoveniano.

Ma ancor più il modo in cui la Vocatello l’ha impostata: nulla a che fare con quello dei grandi pianisti che l’hanno preceduta, l’ha eseguita esattamente come fosse l’opera di uno dei tre autori appena presentati, scevra di ogni aspetto emotivo o eroico (il possente Maestoso), o di quello spirituale, ascetico, intimo (la paradisiaca Arietta). Ha evitato di essere rassicurante usando il pianoforte come uno strumento a percussione (il che ha peraltro una sua legittimità) ruvido ed essenziale, e trattando la Sonata come opera meramente, squisitamente concettuale.

Con essa, con il taglio interpretativo che ha scelto, la Vocatello ha ottenuto un doppio risultato: da una parte ha accreditato presso il pubblico la contiguità della musica contemporanea con quella che l’ha preceduta; dall’altra ha disvelato – più di quanto già non se ne avesse contezza – l’incredibile modernità di Beethoven. Non è stata – credo volutamente – una lettura gradevole né esemplare ma, ascoltata di seguito alle tre opere “nuove”, è risultata illuminante e coerente.

L’esempio di Banna e dei suoi Laboratori – che in certo modo si specchiano alle iniziative di Milano Musica (l’associazione diretta per anni da Luciana Abbado Pestalozza e oggi presieduta da Rosellina Archinto), di Sentieri Selvaggi (l’ensemble guidato dal compositore Carlo Boccadoro), di Divertimento Ensemble (diretto da Sandro Gorli) – è fortemente indicativo delle modalità appropriate e convincenti per far apprezzare la musica contemporanea.

Bisogna prescindere dalle lobbies (che nel mondo della musica come altrove dominano mercato e orizzonte culturale), operando una rigida selezione degli autori da presentare e da promuovere, soprattutto accostandola al repertorio classico non come una sfida, ma con grande attenzione e intelligenza insieme a tutte le opportune precauzioni.

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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