9 maggio 2017

INFORMAZIONI PER DECIDERE: CAPIRE LE NORME SUI MIGRANTI

Prima del 20 maggio ricordare Beccaria e la Costituzione


Le biografie contano sulla questione “migranti”. Le “nostre” biografie, le “nostre” genealogie ed esperienze nel vivere di fronte, e si spera sempre di più insieme, ai migranti, contano per noi che di questa Europa siamo cittadini.

04oddi-nannicini17FBContano le conversazioni di persona, tra un avvocato che lavora sul campo da ormai vent’anni e che ne ha viste tante e che è anche un poco un giurista sulla materia d’elezione (immigrazione, asilo e cittadinanza), una psicologa che ha su questo pratica e ha passione politica da più di vent’anni, (e noi due insieme con Daniela Pistillo abbiamo scritto su ArcipleagoMilano del 9 settembre 2015 sulla “Marcia degli Scalzi”)e quelle ideali, come con Jo Fox che considerò la crisi europea sui migranti come “la cicatrice della nostra coscienza collettiva per generazioni” (vedi l’articolo di Adriana Naccinini su ArcipelagoMilano del 28 settembre 2016). Tema di generazioni a significare che non è e non potrà diventare una questione secondaria anche nel dibattito quotidiano nazionale.

Conversazioni tra mondo dei giuristi e quello cosiddetto “sociale”, filosofico e sociologico, viviamo insieme l’esigenza e il desiderio pressante di costruire nuovi inizi e rinnovate alleanze. Conversazioni che si allargano a coinvolgere attivisti che da lati diversi promuovono e stanno organizzando la manifestazione del 20 maggio a Milano; come è noto se “come l’effettivo superamento della Legge Bossi-Fini, l’approvazione della Legge sulla Cittadinanza” sono obiettivi condivisi da tutti, su decreto Orlando Minniti (non menzionato nell’appello del 20 maggio) le valutazioni sono diverse.

Oggi, dunque, conta rileggere i testi giuridici sul tema “stranieri, migranti” alla ricerca di una dimensione politica nella veste tecnica, perché siamo ben consapevoli di quanto e come le battaglie portate avanti per i diritti degli stranieri possano essere intese come battaglie di e per tutte e tutti.

L’obiettivo è di rendere sempre più visibile quel filo rosso che unisce le normative su immigrazione e asilo e di come queste rendano le garanzie del diritto degli intralci per chi amministra il fenomeno … un processo legislativo europeo e interno in realtà molto complesso, fatto di spinte e contro-spinte; in realtà le contro-spinte hanno avuto la meglio, se le intendiamo nel senso di quell’impostazione che sottrae alla giurisdizione (e quindi anche alla difesa) molti pezzi dell’applicazione delle normative in nome dell’efficienza (e dell’emergenza).

PAROLE CHIAVE

immigrazione

Per i cittadini extra europei sono i trattati di Schengen dei primi anni Novanta a erigere l’Europa fortezza, che deliberatamente, per garantire la libera circolazione interna con l’abbattimento delle frontiere interne, hanno rinforzato enormemente le frontiere esterne, trasformandole in confini esterni molto difficilmente penetrabili. Abbiamo un Codice delle frontiere comuni e una banca dati, il Sistema Informativo Schengen.

È con Schengen che emerge con chiarezza la distinzione tra cittadini comunitari, che godono del diritto alla libera circolazione, e cittadini extracomunitari che, in maggioranza, per fare accesso allo spazio Schengen (cioè allo spazio europeo) devono munirsi di visto e sottostare a svariati controlli e condizioni. Il loro accesso era ed è rimasto regolamentato dai singoli Paesi con meccanismi vari, da noi tramite i fallimentari decreti flussi. Non esiste una politica europea comune che stabilisca quanti stranieri extracomunitari possano fare ingresso regolare nel territorio dell’Unione. Ciascun stato fa ancora da sé.

asilo

Tutti i paesi membri devono garantire il diritto di asilo perché tutti hanno aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto di rifugiati. Parallelamente dai primi anni ’90 si vara la Convenzione di Dublino che stabilisce la regola (ancora vigente e al centro delle tante polemiche e dei tentativi di revisione) che il primo Paese d’approdo aderente alla Convenzione ha il dovere di esaminare la domanda del richiedente asilo e che solo lì quest’ultimo può avanzare la domanda.

Il quadro europeo muta con il varo di alcune direttive (le cosiddette qualifiche, procedure e norme minime sull’accoglienza) che introducono anche una seconda forma di protezione, la cosiddetta protezione sussidiaria, per chi essenzialmente fugge da conflitti ed è vittima di violenze indiscriminate (cioè la protezione si estende a chi scappa non solo perché perseguitato individualmente per i vari motivi previsti dalla convenzione di Ginevra – etnia, religione, condizioni personali o sociali discriminate, criminalizzate come anche l’orientamento sessuale etc.).

Oggi la gamma delle protezioni possibili è, dunque, buona e ampia e, in Italia, abbiamo la possibilità di concedere anche un terzo tipo di protezione, c.d. umanitaria, in situazioni di specifiche vulnerabilità ma rimane aperta la questione fondamentale che il richiedente protezione non può scegliere dove andare a chiedere asilo, con tutte le contraddizioni che sappiamo.

Negli ultimi anni l’afflusso massiccio di profughi avrebbe potuto essere affrontato con una direttiva in vigore – ma mai applicata (la n. 55 del 2001) – che prevedrebbe una protezione umanitaria a livello europeo, previo accordo tra gli stati membri in ordine alla suddivisione degli oneri dell’accoglienza. Questa direttiva avrebbe il merito di consentire un minimo in più di libera circolazione tra coloro destinatari di questo tipo di protezione, ma ragioni politiche ne impediscono l’applicazione

Il risultato è che in assenza di accordo i paesi membri si sono limitati a prevedere, al momento, degli inefficienti (e disumani) meccanismi di ricollocazione per quote di profughi sbarcati in Grecia e in Italia, sostanzialmente disattesi e osteggiati furibondamente dai Paesi del centro-est Europa. Anzi alcuni di questi, come l’Ungheria, hanno sostanzialmente sigillato le frontiere e varato normative molto repressive e detentive nei confronti dei richiedenti protezione.

Tutto il tema dei canali umanitari per fare sì che i richiedenti possano raggiungere i nostri territori in modo sicuro, evitando i tragici viaggi nel Mediterraneo o attraverso i Balcani, non è all’ordine del giorno e la norma sulla possibilità per gli stati membri di rilasciare dei “visti per motivi umanitari” giace inapplicata nel Codice delle frontiere Schengen.

La revisione del Trattato di Dublino (il Dublino 3) è all’esame del Parlamento europeo, ma al momento non si vedono miglioramenti alle porte. C’è una buona proposta di mediazione della deputata italiana Elly Schlein.

Gli accordi con la Turchia e quelli recenti, con la Libia, hanno un evidente deficit democratico, sono adottati senza alcun dibattito parlamentare. Si inseriscono nella pericolosa tendenza di esternalizzare il controllo alle frontiere esterne, processo illegittimo, perché concordato con Paesi che non hanno sottoscritto le convenzioni internazionali a tutela dei diritti dell’uomo.

La “comunitarizzazione” delle materie dell’immigrazione e dell’asilo ha riguardato solo alcuni aspetti, quelli più repressivi e di controllo e definito alcune norme “minime” comuni su visti, ricongiungimenti familiari, lungo soggiornanti e protezione internazionale.

Si può affermare senza dubbio che da Maastricht al Trattato di Lisbona il processo di comunitarizzazione è in corso ma che al momento non esiste né una politica comune che regolamenti le migrazioni per motivi di lavoro né una vera e propria politica d’asilo europea (se non con le caratteristiche che ha “Dublino “e ricollocazioni).

cittadinanza

C’è una simbolica, e solo simbolica, “cittadinanza europea”, ma ogni stato membro ha una sua propria legislazione sulla concessione della cittadinanza, alcune accedono allo jus soli, altre allo jus sanguinis, molte con temperamenti tra le due impostazioni. In Italia è ancora in vigore la legge n. 91 del 1992, rigorosamente basata sull’arcaico jus sanguinis, e la proposta di legge di modifica che introdurrebbe uno jus soli temperato insieme a un cosiddetto jus culturae – molto sostenuta dalla società civile che si è molto attivata con la campagna L’Italia sono anch’io – è stata approvata solo dalla Camera.

Qui forse è evidente quanto sia inaccettabile per tutti i cittadini italiani, per quelli che lo sono da sempre, figli e nipoti di Beccaria, di Gramsci, eredi del 1789, che ancora non sia legge nel parlamento del nostro Paese, perché come scrive Nadia Urbinati: “Ius soli significa una cosa di grandissima importanza: che il centro di gravità dell’appartenenza politica è la persona, non la sua famiglia, non la nazione o l’etnia di appartenenza, non il colore della pelle. Un fatto di coerenza con i fondamenti della democrazia, la quale ai suoi cittadini chiede solo una competenza: quella di essere attori responsabili delle proprie azioni, e per questo punibili. Se siamo responsabili delle nostre azioni allora siamo competenti abbastanza per decidere. Su questo ragionamento basilare riposa l’idea dell’eguaglianza politica. Già dall’avvento della democrazia moderna questa disposizione giuridica all’inclusione apparve chiara se è vero che durante la Rivoluzione francese fu deciso che bastava un anno di residenza per avere il diritto di voto”.

IL CONTESTO ATTUALE IN ITALIA

Le politiche nazionali sono pericolosamente in caduta libera dopo la riforma del testo unico immigrazione da parte della legge 189/2002 (Bossi-Fini). In Italia è il centro sinistra a introdurre per la prima volta una forma di detenzione amministrativa per i soli immigrati, nell’ordinamento la legge Turco-Napolitano del 1998.

Sorvegliare, punire ed espellere potrebbero essere le parole chiave della Bossi-Fini e dei vari pacchetti sicurezza che si sono succeduti (soprattutto quelli Maroni del 2009).Il ruolo dei difensori dei migranti viene “ristretto” enormemente dalla Bossi-Fini che prevede modalità espulsive molto poco garantiste e lunghi tempi di trattenimento.

Abbiamo condotto battaglie molto dure nei CIE per far rispettare i diritti dei migranti e fuori dai CIE, nella società, per far comprendere l’inutilità e la disumanità di queste strutture di reclusione.

Tra il 2002 e il 2011 il nostro Paese ha anche arrestato, processato per direttissima e poi anche fatto eseguire la pena in carcere, molti stranieri che quale unica colpa avevano quella di non essersene andati entro 5 giorni su ordine del questore.

La norma è stata cancellata dalla Corte di Giustizia dell’Ue, perché in contrasto con la direttiva rimpatri. Questo ha portato alla criminalizzazione vera dei migranti, molto più del reato di ingresso o soggiorno illegale (il cosiddetto reato di immigrazione clandestina, il 10bis del testo unico immigrazione introdotto da Maroni) sanzionato con una multa da 5 mila a 10 mila euro e sostanzialmente poco contestato ma, da ultimo, non depenalizzato.

La Lega aveva introdotto altri due obbrobri giuridici: l’aggravante della clandestinità e il divieto di sposarsi in Italia per lo straniero sprovvisti di permesso di soggiorno; due modifiche gravi al codice penale e civile, spazzate via dalla Corte Costituzionale in pochi anni.

Il decreto Orlando Minniti del 2017 mantiene e rafforza la logica politica del precedente paradigma e cioè la repressione del fenomeno migratorio in un’ottica emergenziale. (per una lettura approfondita ed al contempo divulgativa per chi esperto giurista non è vedi qui) e i punti salienti nella lettura del decreto sono questi: uso ingiustificato della decretazione di urgenza; appello negato e la voce inascoltata dei ricorrenti; giudici specializzati e dubbi di discriminazione; un CIE in ogni regione; rimpatri a tutti i costi.

L’ASGI ricorda che l’avvocato ha la funzione di garantire al cittadino l’effettività della tutela dei diritti (art. 2, comma 2, legge 247/2012). Il Decreto Legge vuole creare un “diritto processuale civile speciale” sul dato della nazionalità, mentre esiste l’articolo 102 della Costituzione, secondo il quale “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”.

Oggi gli avvocati sono feriti e messi all’angolo dai decreti Orlando Minniti, perché vedono ancor più restringere gli spazi di difesa dei più vulnerabili da un lato (i richiedenti protezione) e di coloro che devono essere espulsi dall’altro, che sebbene indesiderati devono potere essere difesi.

L’abrogazione del grado d’appello per i denegati status e la contrazione fortissima del giudizio per decidere di questi status sono un colpo molto duro assestato ai principi fondamentali dell’ordinamento.

Espellere e bandire (espulsioni senza garanzie, allontanamenti anche da zone della città, da singoli luoghi con l’altro decreto Minniti che estende il DASPO agli “irregolari di qualunque nazionalità”) sembrano essere ancora le parole d’ordine.

Dunque un decreto che riduce diritti e garanzie del sistema d’accoglienza italiano in una sempre più inaccessibile “fortezza Europa” timorosa di implodere da un momento all’altro sotto la pressione dei flussi migratori.

L’auspicio è che la politica trovi una soluzione per regolarizzare i migliaia di denegati status integrati nel nostro paese. Su questa richiesta di stanno già impegnando molte realtà come la rete torinese Senza Asilo. Sarebbe bello che dalla marcia del 20 maggio, in tutte le sue componenti, si alzasse forte questa richiesta.

Paolo Oddi e Adriana Nannicini



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