3 maggio 2017

musica – IL MOZART DI ISABELLE FAUST


Vedere Isabelle Faust, la violinista che la settimana scorsa ha debuttato alla Società del Quartetto insieme alla Orchestra of the Age of Enlightenment (OAE – Orchestra dell’Illuminismo), muoversi insieme al suo Stradivari del 1704 era già uno spettacolo, a prescindere dalla musica. Può essere piaciuta o meno ai compassati ascoltatori della grande sala Verdi del Conservatorio, ma bisogna riconoscere che questa quarantacinquenne tedesca, longilinea e sinuosa, prima ancora di suonarla, la musica, la descrive con il suo intero corpo, tanto bene che potrebbe ascoltarla anche un sordo.

musica16FBE poiché l’Orchestra inglese era diretta da un violinista seduto al primo leggío, quello usualmente destinato alla “spalla”, sembrava che la bella Isabelle dirigesse lei l’orchestra, con quelle movenze tanto intense ed espressive.

L’Orchestra dell’Illuminismo – al cui nome, già assai curioso, si aggiunge un sottotitolo che recita “Non tutte le orchestre sono uguali” – è stata creata a Londra 31 anni fa da un gruppo di musicisti che si è dato fin dall’inizio una sorta di statuto che dice pressappoco: Eviteremo la routine, perseguiremo solo opzioni creative, non lesineremo i tempi delle prove, non ci appiattiremo ad un solo direttore, non daremo più importanza alle registrazioni che alla creatività, etc.

Dichiarano di essere una “orchestra democratica” (uno sberleffo a Fellini?) -tanto che nominano loro, sulla scia dei Berliner, i propri direttori -, suonano strumenti d’epoca e, quando non è previsto un solista, suonano in piedi disposti in circolo sul palcoscenico.

Il giovedì dopo Pasqua sono approdati a Milano (l’orchestra aveva già fatto un’apparizione diciassette anni fa per il ciclo delle Cantate bachiane) con un programma di grande impatto: il primo e l’ultimo dei 5 Concerti scritti da Mozart per violino e orchestra nel 1775 (1) (e cioè il n° 1 in si bemolle maggiore K 207 e il n° 5 in la maggiore K 219), preceduti da due Sinfonie di poco precedenti, e a dire il vero un po’ sbiadite, rispettivamente di Haydn (la n° 49 in fa minore del 1768) e di Carl Philipp Emanuel Bach (la n° 1 in sol maggiore del 1773).

Come si vede, e come ha sottolineato Gaia Varon nella introduzione al concerto, tutte e quattro le opere sono nate negli stessi anni, ma gli autori erano di età molto diverse: nel 1775 (Beethoven era un bambinetto di 5 anni!) Mozart aveva 19 anni, Haydn 43, mentre il secondo figlio di Johann Sebastian Bach aveva già 61 anni. Dunque un programma molto compatto che sembrava fatto apposta per mettere in evidenza la grandezza del giovanissimo Mozart.

Delle cui opere, non a caso, si è personalmente occupata Isabelle Faust nella parte di solista e di star. Tutto faceva pensare a una star: non solo i movimenti spettacolari ma anche la mantella nera a pipistrello che svolazzava sopra la lunga e stretta tunica arancione.

La qualità del suono e la disciplina di quell’orchestra (26 elementi: 6+6 violini, 4 viole, 3 violoncelli, 2 contrabbassi, 2 oboi, 1 fagotto e 2 corni) insieme all’intelligenza e alla passione della solista hanno fatto sì che si siano ascoltati quei due Concerti come forse li si è sempre sognati. Il Concerto n° 5 è una delle più celebri opere di Mozart, conosciuta a memoria da chiunque ami e conosca quel genio, ma l’altra sera era nuovo, eccitante (la tonalità del la maggiore mette da sola il buon umore), di inedita brillantezza, con una distribuzione dei volumi sonori come mai l’avevamo udita. Il tutto poi era sottolineato, raccontato ed esaltato dal corpo della Faust che si muoveva in perfetta sintonia con il suo violino quasi a formare un unico grande strumento. Un vero spettacolo.

Unica caduta di stile, a mio giudizio, è stata l’aver introdotto in tutte e due i Concerti le modeste cadenze (2) scritte da un pianista e clavicembalista tedesco contemporaneo, tale Andreas Staier (Göttingen, 1955), come se non esistesse già un magnifico e collaudatissimo repertorio di cadenze cui attingere, scritte dai più grandi violinisti di questi due secoli. Un’operazione che mi sembra avere qualche attinenza con la tendenza di molti registi contemporanei ad introdurre forzatamente nell’opera lirica incongrui elementi di contemporaneità. Siamo perfettamente d’accordo che le grandi opere del passato debbano essere rilette alla luce della modernità e che non debbano essere ripetute acriticamente sempre eguali a sé stesse. Si scrivano pure nuove cadenze per i concerti classici, ma devono essere più belle ed interessanti di quelle che già conosciamo altrimenti non ne val la pena.

Strattonato da una parte dalla spettacolarizzazione su cui mi sono sin qui dilungato e dall’altra dall’uso degli strumenti d’epoca che normalmente ammosciano le esecuzioni, ho trovato sorprendente la sobrietà e la limpidezza della lettura che l’orchestra britannica e la Faust hanno proposto: una esecuzione mirabilmente asciutta, rigorosamente senza vibrati, e una interpretazione forse un po’ calvinista, ripulita degli infiniti orpelli che nel tempo (due secoli e più) l’hanno trasformata in opera romantica. Infine, con il bis di non frequente esecuzione – il Rondò in do maggiore K 373, sempre di Mozart e sempre per violino e orchestra ma del 1781 – si è concluso un concerto che avrebbe meritato il tutto esaurito e che invece si è tenuto davanti a una sala dolorosamente mezza vuota.

Paolo Viola

(1) Secondo Poggi e Vallora (Signori, il catalogo è questo) non vi è dubbio che il primo Concerto risalga all’aprile del 1775 e che il quinto sia del dicembre dello stesso anno. Nel programma di sala, invece, Oreste Bossini riporta discordanti pareri di studiosi che vorrebbero il primo precedere gli altri di due anni.

(2) Nei concerti la cadenza era un’occasione di esibizione tecnica che il compositore offriva al solista mentre l’orchestra taceva; in origine il solista improvvisava le cadenze, ma da Beethoven in poi esse vengono scritte abitualmente dallo stesso compositore. (da Otto Karolyi, La grammatica della musica, Einaudi).

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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