31 gennaio 2017

musica – BARENBOIM A NEW YORK


In questa rubrica del 21 dicembre scorso scrivevo “… L’altra follia viene dagli States dove a fine gennaio, alla Carnegie Hall di New York, la Staatskapelle Berlin diretta da Daniel Barenboim sarà in tournée con il seguente programma: nove concerti in nove giorni con le nove Sinfonie di Bruckner, accoppiate a nove diversi Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart, con lo stesso Barenboim al pianoforte …”.  Ebbene vorrei raccontare ora, da New York, come è andata la quinta di queste serate il cui programma era un po’ diverso dalle quattro precedenti e dalle quattro successive in quanto è stato eseguita, prima della prevista V Sinfonia di Bruckner, la Sinfonia Concertante di Mozart in mi bemolle maggiore per Oboe, Clarinetto, Fagotto, Corno e Orchestra K.297b e non un altro concerto per pianoforte e orchestra.

musica04FBDella Sinfonia Concertante è presto detto: è una delle opere più felici e gustose di Mozart che ne testimoniano il buon carattere. Scritta in quattro e quattr’otto durante un soggiorno molto deludente a Parigi per soddisfare il protagonismo di quattro strumentisti dell’orchestra dei Concerts spirituels (persa e ritrovata più di un secolo dopo e rimaneggiata da più musicisti) questa partitura ha una grazia – e manifesta una gioia di vivere – fra le più solari dell’intera produzione mozartiana. La giocosa allegria del primo movimento, il tono solenne e di ispirazione massonica dell’Adagio, la spensieratezza da “fanciullo divino” del tema e delle dieci variazioni dell’Andantino finale, ne fanno una vera “festa musicale”, un godimento continuo.

Tutt’altra musica, invece, quando si passa a Bruckner. Si dice che si nasce mahleriani e si muore bruckneriani, ma questa Quinta Sinfonia mette a dura prova la passione del musicofilo maturo. Si è scritto molto e di tutto sulle nove (o undici, se vogliamo includere anche quelle non entrate in catalogo) sinfonie del grande organista austriaco, uomo dal carattere difficile (e forse anche un po’ malmostoso, per usare un’espressione milanese), supercattolico e in perenne contrasto con Brahms protestante, che si è con grande difficoltà diviso fra l’amore per Bach e la dipendenza psicologica da Wagner che gli ha offerto protezione ed amicizia.

Giunto anch’io in età più che matura, e pertanto ineluttabilmente coinvolto fin nelle viscere dalla ricerca e dalle passioni di Bruckner, non posso fare a meno di dire che questa Quinta Sinfonia non è un capolavoro. É un’opera colossale, di durata mahleriana (è di cinque minuti più lunga della Nona di Beethoven), che fa soffrire l’ascoltatore per l’esasperante frammentazione e per gli insistiti tecnicismi e classicismi che l’allontanano clamorosamente dalla freschezza e dalla poeticità delle coeve Sinfonie di Brahms. Solo alla fine, nel ricco, grandioso, appassionato “Allegro moderato”, la Sinfonia volge a una vera apoteosi: un solenne corale affidato ai potenti ottoni si sviluppa dapprima in una vasta e complessa fuga a doppio soggetto, con episodi luminosi e la ripresa del trascinante primo tema del primo movimento, e si conclude poi, alla grande, in un nuovo possente e maestoso corale (laddove si vede come la dipendenza da Bach e la familiarità con l’organo sono per lui fortissime ispirazioni).

Ma se si fa fatica a seguire la pervicace e pur colta ricerca di classicità di Bruckner, una fatica maggiore è richiesta all’ascoltatore per seguire gli intendimenti di Barenboim che – forte di una prodigiosa memoria e di un consumato mestiere – dirige un’opera tanto complessa senza averne la partitura sott’occhio e alla continua e disperata ricerca del senso di ogni nota e di ogni passaggio, della sottolineatura di ogni segno dinamico, a danno di una visione prospettica e d’insieme dell’opera, senza riuscire a portare a sintesi e a unità – tranne che nel finale – il ricco e composito materiale che Bruckner dissemina lungo tutto il percorso.

Anche nella Sinfonia Concertante di Mozart – complici i quattro orchestrali che hanno eseguito le parti da solisti senza averne la statura – un po’ di sciatteria e di approssimazione ha penalizzato l’ascolto. Ma come si può pretendere dall’orchestra e dal suo direttore, per quanto bravi possano essere e anche di alto lignaggio, che siano pronti a eseguire per nove sere di seguito programmi ogni volta diversi e con opere tanto impegnative? Come fanno a suonare qualcosa che hanno provato giorni e giorni prima, avendo nel frattempo eseguito ogni sera programmi diversi?

Caro Barenboim, siamo tutti suoi grandi ammiratori, abbiamo trascorso serate memorabili con i suoi recital pianistici di tanti anni fa, quando ancora viveva solo per il suo strumento, e più tardi con le opere di Wagner che lei ha diretto magistralmente alla Scala, perché ora vuole strafare e mettere a repentaglio la sua straordinaria credibilità?

Detto ciò non posso fare a meno di dire che la Carnegie Hall lo ha applaudito smodatamente, facendolo tornare una gran quantità di volte sul palcoscenico e sommergendolo con urla da stadio, tanto che d’ora in poi ci sentiremo meno provinciali assistendo ai festeggiamenti che il pubblico dell’Auditorium milanese riserva ai suoi beniamini battendo rumorosamente i piedi sul pavimento! Ma non credo che il successo, nel regno del marketing in cui viviamo, sia sinonimo di eccellenza.

Paolo Viola

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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