24 gennaio 2017

musica – VECCHIO E NUOVO MONDO


Ritorno con un po’ di ritardo sull’ultimo concerto della Filarmonica della Scala del 9 gennaio, non solo perché la settimana scorsa mi premeva raccontare l’intrigante recital di Schiff al Conservatorio, ma anche perché il programma di quel concerto e la direzione d’orchestra di Andrés Orozco-Estrada mi hanno costretto a una riflessione più lunga.

musica03FBPartiamo dai fatti. Il trentanovenne colombiano di Medellin dalla sorprendente carriera (nel 1997 viene in Europa a studiare direzione d’orchestra, debutta nel 2004 al Musikverein di Vienna e in una dozzina d’anni brucia tutte le tappe dirigendo le maggiori orchestre del mondo) ha proposto un coraggioso programma così concepito: le “Danze di Galánta” di Kodály, il Concerto per violino e orchestra di Ligeti e la Sinfonia “Dal Nuovo Mondo” di Dvořák. Coraggioso perché accosta le opere di due compositori, rispettivamente l’ungherese e il boemo, arcinote e amatissime dal pubblico della Scala, a un’opera molto poco digeribile da quello stesso pubblico come il concerto del compositore rumeno, affidato per giunta a una violinista moldava, Patricia Kopatchinskaja – trentanovenne come il direttore e come lui debuttante nel teatro milanese – effervescente ed eccentrica come raramente è dato da vedere.

Orozco-Estrada con questo programma fa una full immersion nell’Europa orientale portandovi il proprio temperamento sudamericano che è come dire immergere il diavolo nell’acqua santa. Ma lo fa con una civetteria tutta particolare perché come pezzo forte sceglie proprio l’opera con cui lo schivo mitteleuropeo Antonín Dvořák compie il percorso inverso e si affaccia al mondo americano descrivendo i primi sintomi di ciò che lì sta accadendo nel mondo musicale (siamo nell’anno 1893, a New Orleans sta per nascere il jazz, mentre Gershwin non è ancora nato!). Questo incrocio a doppio senso fra le due culture, americana ed europea, è stato il leitmotiv del concerto e gli ha dato quel senso vagamente straniante che ha “acchiappato” e convinto il pubblico.

Il quale pubblico, bisogna dirlo, si è fatto coinvolgere anche dalla simpatia e dalla vivacità della Kopatchinskaja che – come hanno narrato le cronache della serata – suona a piedi scalzi (per “sentire le vibrazioni del pavimento”!), canta quel che suona (e anche qualche nota in più) e si agita e si contorce con lo strumento come fosse indiavolata. Forse il difficile e aspro concerto di Ligeti è stato accolto tanto favorevolmente – oltre che per il grandioso corale del secondo tempo e per la travolgente cadenza e l’impressionante “botto” finale – anche grazie alla simpatia di questa specialissima solista.

Il concerto è un’opera degli anni novanta che segna il superamento della Scuola di Darmstadt e accompagna il nascere di una contemporaneità più amichevole e simpatetica con il pubblico. (Ho avuto il privilegio di ascoltare il Concerto per violino e orchestra appena scritto da Fabio Vacchi ed eseguito a Bari – per ora solo in prima assoluta – da Francesco D’Orazio con la direzione di John Axelrod, e sono rimasto molto colpito dal processo evolutivo che emerge dal confronto fra le due composizioni. Con Ligeti si ha la sensazione che la musica contemporanea – credo si possa definire tale un’opera che ha meno di trent’anni – abbia finalmente imboccato una strada positiva; ascoltando Vacchi se ne ha la conferma e soprattutto la certezza che nella produzione musicale “alta” il nostro paese non solo esista ma abbia anche un posto più che decoroso nel mondo).

La “Sinfonia numero 9 in mi minore opera 95 Dal Nuovo Mondo” di Dvořák è il monumento che tutti sappiamo e amiamo e con il quale siamo anche un po’ cresciuti grazie alla popolarità del tema dominante, tanto cantabile da essere stato devastato dall’eccessivo uso che se ne è fatto nelle circostanze più disparate (compreso, ahimè, il deprecabile accompagnamento di spot pubblicitari). La lettura che ne ha fatto Orozco-Estrada è stata impudicamente affettuosa, nel senso più positivo del termine. La morbidezza e la pervasività del tema principale, e dei temi che da quello derivano e nutrono l’intera opera, sono emerse in tutto il loro splendore così come le ha volute l’autore per raccontare – lui, il mitteleuropeo che stava vivendo il declino dell’impero asburgico – l’emozione di scoprire il “nuovo mondo” e le speranze e le aspettative che lo travolsero (e che poi, come si sa, finirono col deluderlo).

Sono stati emozionanti in particolare l’intenso “Largo” e il serratissimo “Scherzo“, ma soprattutto quell’elegantissimo fraseggio che ha accompagnato tutta l’opera (assecondato perfettamente dall’orchestra che quando ci crede è magnifica!) fino al maestoso “Allegro con fuoco” con il quale si è concluso un concerto di grandissima godibilità.

L’incontro fra i due mondi, quello “vecchio” e quello “nuovo”, incarnati anche dalle figure del direttore e della solista che in certo modo si scambiavano le due parti, aveva un sapore di attualità e di modernità del tutto speciale che – dobbiamo darne atto alla nostra Filarmonica – è stato espresso nel migliore dei modi.

Paolo Viola

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema





9 aprile 2024

VIDEOCLIP: LA MUSICA COME PRODOTTO AUDIOVISIVO

Tommaso Lupi Papi Salonia






20 febbraio 2024

SANREMO 2024: IL FESTIVAL CHE PUNTA SUI GIOVANI

Tommaso Lupi Papi Salonia



20 febbraio 2024

FINALMENTE

Paolo Viola



6 febbraio 2024

QUANTA MUSICA A MILANO!

Paolo Viola


Ultimi commenti