14 dicembre 2009

MILANO RECIPIENTE


Famosa è la Container City di Londra, progettata dall’architetto Nicholas Lacey, un piccolo quartiere (ma sarebbe meglio dire una piccola palazzina) poco oltre Canary Wharf, appollaiato in un’ansa del Tamigi nel cuore degli East Docks, che guarda verso il Millennium Dome sull’altra sponda del fiume. È bella, di per sé, la costruzione, fatta di container recuperati e montati su una struttura di sostegno in acciaio, coibentati e rifiniti all’interno con lastre di cartongesso. Si tratta di studi professionali e piccoli uffici, ma anche qualche abitazione è stata aggiunta in questo insieme multicolore addobbato con fiori e piante e dove, lì a fianco, un altro container diventa un piccolo postoristoro in cui mangiare ottimi hamburger.

Tutto ciò risale al 2001, ed è stato il primo passo di tutta una serie di applicazioni di tale sistema da parte della USM (Urban Space Management): mercati, ampliamenti di scuole e così via, fino alla recente aula addizionale (del 2008) per la Cyril Jackson School, montata in un solo weekend.

La cronaca dell’architettura contemporanea è variamente punteggiata di container, ma sembra comunque un modello non proprio mediterraneo, dove le applicazioni hanno visto scale e modalità d’intervento ben diverse da un nord Europa o una West Coast dove un abbondante surplus fa dei container una sorta di diretto materiale da costruzione. Il modello non è solo anglosassone, però.

Un interessante libro sfogliato di recente, “Vernacular Architecture Contained”, prende in esame i vari baraccamenti costruiti con container nel sudest asiatico, con Hong Kong come baricentro, e ne analizza le conformazioni trovandovi analogie con le tipologie dell’architettura vernacolare cinese, a corte, a palafitta eccetera. E tale matrice cinese la sta sfruttando la Travelodge con un hotel sperimentale a Uxbridge, nel distretto ovest di Londra, fatto di container importati dalla Cina, con bagno e finestre preinstallati, il che permette di accorciare i tempi di assemblaggio del 25% (e costruirlo in 12 settimane) e ridurre i costi del 10%, anche in vista dei giochi olimpici londinesi del 2012. Poi, lo stesso criterio può essere usato anche per case studentesche e residenze urbane, dicono i costruttori della Verbus System che hanno sviluppato il sistema modulare.

Ed è la stessa cosa che avrà pensato Masseroli nell’annunciato programma di housing sociale del Comune di Milano per affrontare il problema della casa a basso costo – per chi non può accedere, per reddito, né alle case popolari pubbliche né agli esorbitanti affitti di mercato – e ravvisando nel container, icona ormai abusata a dir il vero, una possibile soluzione.

In Italia, in effetti, i precedenti non mancano, ma sempre finalizzati a limitati usi nel tempo e nello spazio. Allestimenti di mostre temporanee, come il progetto Restart di Maurizio Navone di qualche anno fa, a Milano, oggetto che non presupponeva costi e oneri aggiuntivi come effetti collaterali della sua ben determinata funzione culturale. A Lecco è attivo da qualche anno Campus Point, su progetto di Arturo Montanelli commissionato dal Politecnico di Milano, per dare spazi immediati a sette laboratori di ricerca durante la fase di espansione dell’Università nell’area dell’ex ospedale, la cui fine lavori è prevista per il 2010. Sono 27 (simil) container rosso vivo, assemblati a secco su tre livelli, con una facciata in moduli vetrati di 3×3 metri. Ma il tutto è appoggiato a un edificio esistente, di cui sfrutta risorse già date, e una volta esaurita la sua funzione verrà smontato e ricollocato all’interno del Campus con altri usi, a diretta gestione studentesca. Per uscire dalla stretta logica formale del container e allargare il campo ad altri sistemi di prefabbricazione, da anni lo studio Atelier 2 di Milano, con la partnership di Dubosc e Landowski di Parigi, sta sviluppando il sistema “Armadillo” nato come ospedale di emergenza per Emergency, ma variamente declinabile anche come possibile abitazione.

Insomma, il tema è fecondo, da un punto di vista progettuale. Ma pensarlo come alternativa a una più seria, strutturale, politica per la casa a Milano, per quanto temporanea, fa sorgere delle perplessità, anche perché si ventila la “novità” della formula del riscatto: la possibilità, cioè, di trasformare l’affitto in rata per un acquisto futuro. Ma che senso ha acquistare un’abitazione a termine? O quel termine, forse, potrebbe non essere tale?

Michele Calzavara



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