9 novembre 2016

musica – POVERO MOZART


Se possiamo accettare che prima Alexandr Puškin (un letterato), poi Peter Shaffer (un drammaturgo e sceneggiatore) infine Miloš Forman (regista e attore) abbiano potuto massacrare e falsificare la figura umana e la personalità di Mozart, non possiamo invece perdonare a John Axelrod (musicista e direttore d’orchestra) di averci “azzuppato il pane” come si dice a Napoli. È vero che vi è il precedente di Nikolaj Rimskij-Korsakov che la notte di Natale del 1898 al Teatro Solodovnikov di Mosca mandò in scena un suo “Mozart e Salieri, scene drammatiche dalla omonima tragedia di Puškin” rendendosi così almeno in parte complice dello stesso misfatto, ma la settimana scorsa, all’Auditorium con laVerdi, Axelrod ha fatto traboccare il vaso. Con il suo “Amadeus, versione in forma semiscenica dell’omonima commedia di Shaffer” ha pescato nel fondo del barile con un gesto che non esiterei a definire poco nobile: ha descritto  Mozart (Francesco Bonomo) come un povero deficiente accattone, sua moglie Constanze (Dajana Roncione) come una puttanella, e Salieri (Luca Barbareschi) come un cinico assassino.

musica36fbIl misfatto più grave, storicamente, è stato quello perpetrato nel 1984 da Forman con quel film che, proprio per l’enorme diffusione avuta grazie alla straordinaria bellezza, ha creato una immagine totalmente distorta di Mozart che si è ahimè impressa nell’immaginario collettivo e che sarà molto difficile scardinare, almeno nelle generazioni che hanno visto e che vedranno il film. L’idea di Salieri tanto invidioso da diventare assassino, e soprattutto quella di Mozart divino fanciullone, rozzo e incolto, inconsapevole della propria genialità (ricordate la sua insulsa risata?) non sono soltanto false, ma – come sostiene la musicologa Lidia Bramani che ha scritto preziosi volumi sull’argomento (uno per tutti “Mozart massone e rivoluzionario”, per Mondadori) – sono l’esatto contrario della realtà. Qualcuno potrà dire che facendo dell’arte (teatro, letteratura, musica) si può volare alti e inventare, ma bisogna anche fare attenzione ai danni che si possono creare. E di danni ne sono stati prodotti tanti se in questi giorni, alla Scala, il giovanissimo regista Frederic Wake-Walker – forse non a caso inglese come Shaffer – si permette di mandare in scena le Nozze di Figaro come fossero un vaudeville (“commedia leggera e brillante, basata sull’intrigo e la satira”) e non quell’opera rivoluzionaria che fu duramente censurata in Francia a Beaumarchais e che fu scelta personalmente da Mozart – vero animale politico nella Vienna asburgica, alla vigilia della rivoluzione francese – con la conseguenza di procurarsi un mare di guai e di farsi condannare alla miseria.

Lo spettacolo creato da Axelrod si svolge sulla ribalta del palcoscenico, con Salieri-Barbareschi che legge istrionicamente dei testi seduto a una scrivania e i due monelli – Wolfgang e Constanze – che girano fra gli orchestrali (immobili e ostentatamente estranei alla scena, tanto da sembrare “belle statuine”) e le poltrone di platea, provocando scherzosamente il pubblico, litigando fra loro, dialogando con Salieri e raccontando amenamente i loro problemi con brani presi in parte da Beaumarchais, e in parte da Puškin e da Shaffer. Ogni tanto la “commedia” si interrompe per lasciare spazio a esecuzioni orchestrali di musiche mozartiane. E qui andiamo ancor peggio perché il nostro direttore texano sceglie qua e là, senza apparenti ragioni, un solo tempo di una sinfonia, un altro dalla Serenata per 13 strumenti, un terzo ancora  di un concerto per pianoforte e orchestra (al pianoforte c’è sempre lui, il demiurgo, che si alterna nei ruoli di autore, direttore, esecutore e spettatore) e, per non perdere nulla, vi aggiunge le Ouverture delle Nozze di Figaro e del Don Giovanni.

Ma tutto ciò che ho raccontato fin qui non è nulla rispetto al finale dello spettacolo quando, con il cadavere “ancora caldo” di Mozart disteso sulla ribalta del palcoscenico (e tutto il pubblico è con gli occhi puntati per vedere se respira e se si muove), entrano in scena altri quattro cantanti (per fortuna bravissimi: Marie-Pierre Roy soprano, Eva Vogel mezzosoprano, Patrick Grahl tenore e Thomas Tatzl basso) e inizia l’attesissimo Requiem.

Ditemi voi quale può essere stata la concentrazione e conseguentemente la profondità e la qualità dell’interpretazione dei magnifici professori dell’orchestra Verdi, dei cantanti del coro (peraltro assai ben istruito come sempre dalla Erina Gambarini), dei solisti e del direttore davanti al cadavere di Mozart, avendo appena assistito alla disinvolta uscita di scena della vedova mentre disinvoltamente comunica che “il prezzo dei suoi manoscritti l’ho fissato in base all’inchiostro. Tante note, tanti scellini. Mi sembra il sistema più semplice”.

A me sembra, caro Axelrod, che questo sia il sistema più semplice per abbindolare il pubblico. Il quale, va detto con tristezza, pare aver gradito moltissimo, visto che le tre recite sono state sold out e che gli applausi non finivano mai.

Paolo Viola

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

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